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Notizie dal continente dimenticato


Eurobond
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19 novembre 2023
GRAVE CRISI ECONOMICA AFFLIGGE IL KENYA, SULL’ORLO DEL COLLASSO

William Ruto, è stato eletto presidente del Kenya nell’agosto dello scorso anno. La sua agenda politica, fortemente incentrata su un populismo economico chiamato “bottom-up”, intende favorire la base della piramide socioeconomica del Paese rialzando il loro benessere con misure sociali ad alto impatto, come l’edilizia popolare, la protezione universale della salute, l’accesso al mercato del lavoro.
Come ogni subentrante, anche Ruto si è dovuto confrontare con gli scheletri lasciati dai suoi predecessori, il più “voluminoso” tra tutti il rimborso del primo Eurobond contratto nel 2014 sotto la prima presidenza Kenyatta figlio, per un valore di 2 miliardi di dollari.

L’emissione di questa obbligazione del Paese, dunque sovrana, è stata sottoscritta da investitori istituzionali e privati di tutto il mondo.

Il Kenya in seguito ha emesso altri eurobond: nel 2019, 2021 e 2023. L’emissione più recente, del valore di 300 milioni di dollari, sarà collocata a dicembre 2023.

Il Kenya utilizza gli eurobond per finanziare progetti di sviluppo infrastrutturale, come strade, ferrovie e impianti di energia, ma ovviamente una quota di queste emissioni viene accantonata per rimborsare prestiti contratti precedentemente.

 

Ecco una tabella che riassume le emissioni di eurobond del Kenya:

Emissione        Data                  Importo

Kenya 24   24 giugno 2014   2 miliardi di dollari

Kenya 27   22 maggio 2019  900 milioni di dollari

Kenya 28   28 febbraio 2018 1 miliardo di dollari

Kenya 32   22 maggio 2019  1,2 miliardi di d ollari

Kenya 34   23 giugno 2021   1 miliardo di dollari

Kenya 48   28 febbraio 2018 1 miliardo di dollari

Kenya 50   10 novembre 2023 300 milioni di dollari

Come si può vedere, si tratta di emissioni ripetute che aiutano lo sviluppo del prodotto interno lordo, oggi assestato a prezzi correnti attorno ai 26 miliardi di dollari.

Rimane innegabile che la tentazione di ricorrere alle emissioni obbligazionarie per compensare il deficit del Paese è forte; tuttavia, anche ammettendo che una percentuale del debito sia stata finanziata e rimessa con queste emissioni, è altrettanto vero che il Fondo Monetario Internazionale vigila affinché l’equilibrio tra rimborso del debito e investimenti produttivi sia mantenuto al disopra della decenza economica.

Da circa sei mesi il dibattito nel Paese oscilla tra disfattisti e ottimisti, ossia coloro i quali vedono il Kenya dirigersi verso il default su un’obbligazione sovrana creando un effetto spirale, e gli altri, Presidente in testa, pervicacemente ostinati nell’affermare che il debito sarebbe stato onorato.

Per fare ciò, la strategia messa in atto dal ministro delle Finanze, Njuguna Ndung’u (economista, ex Governatore della Banca Centrale e professore all’università di Nairobi) è stata quella di intavolare un negoziato volto ad anticipare il rimborso tramite un piano di riacquisto del debito, scontando al passaggio qualche punto percentuale sull’interesse. Un approccio chiamato “buyback”, ossia il riacquisto di parte dei propri impegni finanziari, come spesso accade per le società per azioni.

Così ha fatto il Tesoro keniota, ricomprando una quota della prima emissione, la cui scadenza naturale è luglio del 2024.

L’altro giorno il presidente nel discorso alle Camere sul consuntivo del suo primo anno di mandato, ha annunciato che il Kenya terrà fede agli impegni assunti ripagando la prima di queste tranches per arrivare al saldo in anticipo sulla scadenza naturale.

Al tempo della prima emissione, il clima economico mondiale era molto più ottimista di adesso e i tassi di interesse ne riflettevano la situazione; tuttavia, il rimborso di questa tranche viene anche sostenuto tramite l’emissione di nuovo indebitamento, alimentando una spirale dalla quale sarà molto difficile districarsi.

A ciò si aggiunge che lo scellino keniota ha perso circa il 30 per cento del proprio valore contro dollaro e euro da quando Ruto è stato eletto nel 2022 confermando la dipendenza del Paese dall’estero e frustrando la crescita e lo sviluppo.

A titolo di esempio, per ogni tre container di merce importata dal Kenya, a malapena l’equivalente di uno viene esportato, spesso con prodotti di base dell’agricoltura non trasformati.

Lo Stato ha da par suo provveduto negli ultimi sei mesi a strutturare una politica fiscale più incisiva, spremendo il contribuente tramite leve di primo impatto sui consumi, quali il prezzo dei carburanti, non più sussidiato, che ha quasi raggiunto ormai gli standard europei.

Se l’attendibilità finanziaria internazionale del Paese è stata per adesso salvaguardata, bisogna attendere l’esito delle prossime stangate che cadranno sulla testa dei cittadini e degli imprenditori locali per misurare il grado di accettazione del sacrificio che attende il popolo prima della fine dell’anno.

Il test più duro non è quello di onorare anticipatamente la scadenza del debito, ma soprattutto vedere come l’elettorato vivrà gli aumenti incombenti, necessari per compensare, almeno in parte, il debito contratto internazionalmente, di cui il Paese ha ancora disperato bisogno. Il cerino acceso adesso è passato al prossimo nella coda cioè gli elettori,, con buona pace degli investitori istituzionali. Può darsi vi siano reazioni se martedì la benzina passerà a 300 scellini kenioti/litro. Ma proprio stamattina il governo ha smentito: la benzina adesso non sarà aumentata per i prossimi sei mesi. Ma qui a Nairobi nessuno ci crede.


Manifestazioni in Kenya contro il carovita
Manifestazioni in Kenya contro il carovita

14 luglio 2023
KENYA IN RIVOLTA: LA GENTE CHIEDE POLENTA E RICEVE PALLOTTOLE

Eunice Mutheu, 23 anni, doveva laurearsi quest’anno in “sartoria” (tailoring), all’università di Kisii, una città di 112 mila abitanti a 300 chilometri da Nairobi.
Una pallottola esplosa dalla polizia la ha trapassata da fianco a fianco e l’ha uccisa quasi sul colpo. Era andata a trovare nel negozio il cognato, che la manteneva agli studi.
Cinquantatré bambini della scuola primaria Kihumbuni di Nairobi sono stati trasportati d’urgenza alla Eagle Nursing Home perché intossicati dai lacrimogeni lanciati dalle forze dell’ordine e finiti nelle loro aule.
Margaret N., 50 anni, domestica a ore in una famiglia nel centro della capitale kenyana, non è potuta tornare a casa nel suo villaggio per paura dei disordini e per lo sciopero dei matatu, i tipici pullmini urbani.
Eunice, gli scolari (tra i 10 e i 15 anni), Margaret sono – in modo molto differente – le vittime innocenti dei disordini che da venerdì 7 luglio a mercoledì 12 hanno sconvolto una parte ampia del Paese.
Una protesta contro il carovita così generalizzata non si era mai vista: almeno 20 delle 47 contee sono state contrassegnate da caos, distruzione e morte. Per la prima volta, mercoledì, è stata devastata l’Expressway, la gigantesca autostrada costruita recentemente dai cinesi che sovrasta una parte della capitale.
Kenyan Railways ha sospeso, giovedì mattina 13 luglio, la circolazione dei treni su una tratta messa in pericolo da atti vandalici di contestatori.
Almeno 7 le vittime ufficiali, ma secondo Kenya Human Rights Commission, i morti sarebbero almeno 12. L’Ipoa, l’authority indipendente che controlla l’operato della polizia, ha aperto un’indagine sulle azioni delle forze dell’ordine.
Anche se bisogna dire che non tutte le persone morte nella guerriglia urbana sembrerebbero incolpevoli. La ribellione ha portato in strada anche decine di disperati degli slums che costellano la capitale. In particolare, le tre vittime registrate a Mlolongo, città satellite della capitale dove si trova il casello autostradale.
Sassaiola, auto e pneumatici bruciati, casello semidistrutto, saccheggi nella zona circostante, hanno spinto la polizia a una reazione violenta per – dicono – non essere sopraffatta. Come è successo nell’altra cittadina satellite di Kitengela, dove un gruppo di giovani ha assaltato e dato alle fiamme la stazione dei gendarmi: due i morti.
All’origine dei moti di piazza, il malcontento alimentato dal leader dell’opposizione Raila Odinga, 78 anni, (perdente alle ultime elezioni presidenziali nel 2022).
Il vincitore, William Samoei Arap Ruto, 56 anni, viene contestato perché i provvedimenti presi dal suo governo il mese scorso, invece di alleviare la crisi economica, la avrebbe aggravata: aumento dell’Iva, delle tasse sulla benzina (un litro di diesel costa da giugno con l’aumento del 16 per cento, ben 186 scellini, 1,15 euro) e un prelievo dell’1,5 per cento sui dipendenti per finanziare nuove case.
La verità innegabile è che il costo della vita da un anno a questa parte è cresciuto e che il Paese è schiacciato da una montagna di debito estero.
“Noi stringiamo i nostri prezzi affinché voi non dobbiate stringere le vostre cinture”. Suona, così, l’accattivante slogan di una importante catena internazionale di supermarket a Nairobi. Ma la realtà quotidiana sembra molto diversa. “A colazione beviamo il thè senza latte e saltiamo il pranzo per risparmiare e poter pagare la scuola ai figli”, dice, infatti, Regina, una mamma di Nairobi.
“Un pacco di farina di mais costa il doppio rispetto al 2022. Diventa difficile ricavare la nostra polenta quotidiana. Dobbiamo morire di fame? “, si arrabbia Henry, un genitore di Kisii, sceso in strada con i rivoltosi. “Chiediamo polenta, ci danno pallottole”, per usare le parole del capo dell’opposizione.
Insomma, la pentola dei kenyani poveri (i ricchi, e sono tanti, non hanno certe preoccupazioni) è vuota di cibo e piena di rabbia. E alla fine è esplosa.
Anche perché toglie ogni speranza il ministro delle Finanze del governo kenyota, Njuguna Ndungu, 62 anni. “La cinghia dovremo stringerla per alcuni mesi, se vogliamo evitare la bancarotta nazionale”, ha dichiarato due giorni fa al Financial Times.
Il Kenya spende quasi 10 miliardi di dollari l’anno nel ripagare i debiti, soprattutto con la Cina e il prossimo anno dovrà rimborsare due miliardi di eurobond.
Lo scellino kenyano poi continua a perdere valore rispetto al dollaro e all’euro. Un anno fa per un euro “bastavano” circa 120 scellini, ora ne occorrono almeno 155. L’inflazione corre, come in mezzo mondo, anche a causa del conflitto ucraino.
Il quadro è disperante e venirne fuori non sarà facile. La situazione sembra, però, rasserenarsi un attimo per diversi fattori: il leader dell’opposizione ha rinviato un raduno nazionale che poteva diventare esplosivo; l’Alta Corte ha congelato gli aumenti varati dal governo. E sulla costa splende il sole dell’avvenire inteso come avvio della stagione turistica (anche se luglio e agosto non sono i mesi migliori): nessun segno di rivolta a Lamu, Malindi, Watamu, Diani. I vacanzieri sono benvenuti. Assieme ai fiori, al the, e al basilico (il Kenya – non ci credereste – è il principale fornitore dell’Europa!), essi costituiscono la risorsa più pregiata del Paese.


Miliziani di al-shebab hanno ucciso 5 civili nella contea di Lamu, al confine con la Somalia
Miliziani di al-shebab hanno ucciso 5 civili nella contea di Lamu, al confine con la Somalia

26 giugno 2023
NUOVA MATTANZA IN KENYA: CIVILI SGOZZATI DAI TERRORISTI SOMALI AL SHEBAB

Continua la mattanza dei terroristi somali in Kenya, dove domenica hanno attaccato due villaggi nella contea di Lamu, al confine con la Somalia.
La polizia kenyota ha confermato l’attacco a Juhudu e Salama, villaggi dove i sanguinari aggressori hanno ammazzato un sessantenne. L’uomo è stato dapprima legato con una corda e poi sgozzato. I terroristi hanno poi bruciato la sua casa con tutti i suoi averi. Altre tre persone sono state uccise in modo simile, mentre una quinta vittima è stata colpita da un proiettile.
Un residente ha raccontato che le donne sono state chiuse nelle case, mentre gli uomini sono stati fatti uscire, sono stati legati, poi sgozzati, alcuni di loro sono stati decapitati. Il testimone oculare ha poi aggiunto che tra le vittime c’è anche una ragazzo delle scuole secondarie.
Un’altra persona del luogo ha detto che prima di andarsene i presunti miliziani somali di al-shebab prima di andarsene, hanno sparato molti colpi per aria e rubato scorte alimentari.
La polizia ha descritto l’aggressione di domenica come “attacco terrorista”, terminologia usata solitamente dalle forze dell’ordine quando si riferiscono a incursioni dei miliziani del gruppo armato provenienti dal Paese confinante.
Poco meno di due settimana fa i terroristi hanno sferrato un altro attacco a un automezzo della polizia del Kenya. La macchina è esplosa dopo aver urtato un ordigno artigianale. Tutti gli otto agenti che viaggiavano nella vettura sono morti.
Al shebab non perdona al Kenya l’intervento in Somalia delle proprie truppe che, fin dal 2011, operano nell’area del porto di Chisimaio, inquadrate nella forza multinazionale dell’Unione Africana.
A fine maggio il gruppo armato affiliato a al Qaeda, ha assalito una base dell’Unione Africana, ammazzando 54 militari ugandesi, che fanno parte del contingente di ATMIS (Union Transition Mission in Somalia), che conta 22.000 uomini. ATMIS ha sostituito AMISOM (African Union Mission in Somalia) nell’aprile 2022 e assiste, come la precedente, il governo somalo nella lotta contro i terroristi al-shebab.
Ma i berretti verdi di ATMIS lasceranno gradualmente la Somalia entro la fine del 2024, i primi duemila militari partiranno già il 30 giugno prossimo. La base militare Haji-Ali nello Stato federale di Hirshabelle (nato nel 2016 dalla fusione delle due regioni Hiran e Middle Shabelle) è già stato consegnato alle forze somale martedì scorso.


Miliziani al Shebab
Miliziani al Shebab

16 giugno 2023
I TERRORISTI AL SHEBAB SI SCATENANO IN KENYA: UCCISI 8 POLIZIOTTI

Ed eccoli di nuovo in azione nella contea di Garissa, in Kenya, non distante dal confine con la Somalia. I terroristi di al-shebab hanno peso di mira un veicolo della polizia, che è esploso quando ha urtato un ordigno artigianale. Tutti gli occupanti, 8 agenti kenyoti, sono morti.
Lo ha confermato John Otieno, commissario regionale per il Nord Est del Paese, che ha poi aggiunto: “Sospettiamo che sia opera di al-shebab. I sanguinari terroristi stanno ora prendendo di mira le forze di sicurezza e i veicoli passeggeri”.
Al shebab non perdona al Kenya l’intervento in Somalia delle proprie truppe che, fin dal 2011, operano nell’area del porto di Chisimaio, inquadrate nella forza multinazionale ONU.
L’attacco in Kenya è avvenuto solo pochi giorni dopo che l’Etiopia ha dichiarato di aver sventato una aggressione suicida del gruppo nella città di confine di Dollo.
Nella stessa Somalia, al-Shabab continua a sferrare un attacco dietro l’altro. In un post sul proprio account Twitter, il ministero degli Esteri di Addis Abeba ha fatto sapere: “L’esercito etiopico ha fermato gli aggressori prima che potessero creare scompiglio nella città di Dollo, al confine tra Etiopia e Somalia”.
Secondo il sito statunitense SITE, specializzato nel monitoraggio dei gruppi radicali, il raggruppamento armato ha affermato, attraverso i suoi canali di comunicazione, di aver condotto due attentati suicidi in una base militare etiopica sul lato somalo del confine.
Il primo attacco ha preso di mira la sede del comando militare, mentre il secondo ha colpito un magazzino di armi e munizioni. I terroristi somali sostengono che: “Le due operazioni hanno provocato pesanti perdite in termini di morti e feriti”.
L’agenzia di stampa governativa, Somali National News Agency, (SONNA) ha riferito che il primo veicolo è esploso all’ingresso della base, causando “danni significativi” e ferendo quattro soldati.

Osman Nuh Haji, funzionario della sicurezza regionale somala, ha confermato che una macchina piena di esplosivo si è avvicinata alla base presidiata da forze somale e etiopiche. Il funzionario ha poi precisato a VOA Somalia che non ci sarebbero state vittime tra i soldati o i civili; le truppe avrebbero distrutto un veicolo pieno di esplosivo prima che raggiungesse la base.
L’anno scorso i terroristi hanno attaccato diversi campi militari etiopici al confine tra i due Paesi.
Anche l’Etiopia ha inviato migliaia di militari in Somalia per combattere i terroristi. Le truppe fanno parte della missione dell’Unione Africana (UA) a sostegno del governo somalo. Il governo di Addis Abeba dispone anche di forze non appartenenti al contingente dell’UA, sulla base di un accordo bilaterale con il governo di Mogadiscio, per combattere al-shebab e proteggere il proprio confine.

 

A fine maggio il gruppo armato affiliato a al Qaeda, ha assalito una base dell’UA, ammazzando 54 militari ugandesi, che fanno parte del contingente di ATMIS (Union Transition Mission in Somalia), che conta 22.000 uomini. ATMIS ha sostituito AMISOM (African Union Mission in Somalia) nell’aprile 2022 e assiste, come la precedente, il governo somalo nella lotta contro i terroristi al-shebab.


“I miei figli sono morti. Ne sono sicuro”.
“I miei figli sono morti. Ne sono sicuro”.

16 maggio 2023
STRAGE DELLA SETTA RELIGIOSA IN KENYA: SALGONO A 200 I MORTI E PIÙ DI 600 DISPERSI

Nei giorni scorsi, in una fossa comune, sono stati rinvenuti altri 29 corpi, compresi quelli di 12 bambini

È raddoppiato il numero dei morti della setta religiosa Good News International Church (chiesa internazionale della buona novella). Nella strage, scoperta il 26 aprile scorso, i morti accertati fino ad oggi sono 201. Sono stati tutti trovati nelle fosse comuni nella foresta di Shakahola, contea di Kilifi, tra Mombasa e Malindi.
La maggior parte si sono lasciati morire di fame su ordine del loro predicatore, ex tassista autoproclamatosi “profeta” Paul Mackenzie Nthenge. L’uomo aveva profetizzato la Fine del mondo ed era necessario morire – di fame – “per incontrare Gesù”. Dalle testimonianze dei sopravvissuti chi cercava di scappare veniva ucciso a sprangate o soffocato.
Solo 34 sono stati trovati vivi, pelle e ossa e in pessime condizioni, e trasportati all’ospedale di Malindi. (Il video arrivato ad Africa ExPress). Otto di loro sono morti. Nei giorni scorsi, in una fossa comune, sono stati rinvenuti altri 29 corpi, compresi quelli di 12 bambini.


Per il presidente, Nthenge è un terrorista

Mentre continua la triste esumazione dei cadaveri nel terreno di proprietà di Mackenzie Nthenge, il presidente Kenya, William Ruto lo definisce un terrorista. “I terroristi usano la religione per i loro terribili atti”.
“Persone come Mackenzie utilizzano la religione per compiere delle azioni esattamente come i terroristi. Abbiamo dato mandato alle agenzie competenti – ha dichiarato il presidente -. Vogliamo scoprire la radice che causa questi fatti e le religioni che li causano e portano avanti questa inaccettabile ideologia”.


Il dramma dei dispersi

Una decina di giorni fa alla Croce Rossa keniota risultavano 410 dispersi. Nel momento in cui scriviamo le persone scomparse sono diventate 610. Ma sorge un ulteriore problema: molti degli adepti alla setta di Mackenzie avevano cambiato nome. Diventa molto difficile sapere se sono ancora in vita.
Fatima Salim, aveva denunciato la scomparsa della sorella Shamim. “L’avevo registrata come Shamim Salim, ma non c’era nessun nome tra quelli salvati – ha raccontato al giornale keniota Nation -. Settimane dopo, ho mostrato agli agenti la foto di mia sorella. Era salva ma aveva dato il suo nome come Damaris Vidzo”. Le autorità sospettano che cambiare i nomi degli adepti fosse un piano deliberato della setta per non farli trovare dai parenti.


Negata la libertà su cauzione.
Al predicatore della “Setta della fame” il tribunale ha negato la libertà provvisoria su cauzione. Mentre Nthenge rimane in prigione sono state arrestate altre 26 persone sospettate di essere complici della strage.
Davanti a questa tragedia e la gente che chiede giustizia arrivano le rassicurazioni di Kithure Kindiki, ministro degli Interni keniota. “Il governo del Kenya farà tutto il necessario – ha confermato il ministro -. Farà in modo che Mackenzie e coloro che lo hanno aiutato paghino per questi crimini. Vogliamo che abbiano la punizione più dolorosa possibile e che Mackenzie non esca di prigione per il resto della sua vita”.