Traslator
Traslator

Le stragi del colonialismo in Africa


Colonialismo criminale

 

In alto a sinistra: le tese mozzate di indipendentisti camerunensi da parte dei francesi.
In alto a destra: le mani mozzate di congolesi da parte dei coloni belgi.
In basso a sinistra: un campo di concentramento in Kenya, dove gli inglesi inflissero agli indipendentisti inenarrabili torture: stupri, castrazioni, impiccagioni, alcuni venivano addirittura arrostiti vivi.
In basso a destra: le teste mozzate di separatisti mozambicani ad opera dei portoghesi.

Per gli "Italiani, brava gente!" (sic!) "Primi ed unici" ad usare armi chimiche in Africa! Leggi: "Un triste primato tutto italiano".
La guerra d’Etiopia fu per l’Italia la vergognosa guerra del gas, la guerra del colonialismo più becero e dei crimini più efferati.

Leggi:
"Olocausto africano"
"Colonialismo in Africa"
"Lo sterminio dei Mau Mau"


La «grotta dei ribelli» a Caia Zeret conserva i resti umani di migliaia di uomini, donne e bambini gasati dagli italiani nel 1939
La «grotta dei ribelli» a Caia Zeret conserva i resti umani di migliaia di uomini, donne e bambini gasati dagli italiani nel 1939


GLI ORRORI DELL’IMPERO COLONIALISTA IN AFRICA

 

Undicesimo comandamento: "Non desiderare la terra d'altri!" 

Il colonialismo europeo in Africa è responsabile di azioni di genocidio che rimangono ignorate dal grande pubblico.

Libia, Etiopia, Eritrea, Somalia, Algeria, Congo, Mozambico, Angola… È il passato che non passa, sono ferite che non si rimarginano. In periodi storici diversi, sotto regimi diversi, ma con la stessa, lunga scia di sangue.
Italia, Francia, Belgio, Spagna, Portogallo, così come Austria, Gran Bretagna, Germania: nel continente africano, i colonialismi europei si sono spesso trasformati in terrorismo di Stato.
Non è solo la storia di Paesi saccheggiati, di popoli sottomessi a forza, di ricchezze naturali depredate da multinazionali onnivore che mantenevano dittatori sanguinari. Questo è il colonialismo “classico”. Ma quello che si vorrebbe cancellare, seppellire nel dimenticatoio, è il terrorismo di Stato: sono le stragi di civili, le città e i villaggi dati alle fiamme, le popolazioni deportate, le fosse comuni, le pulizie etniche.

Un passato che chiama pesantemente in causa l’Italia. Altro che “italiani brava gente”.
Ci son voluti anni di ricerche storiche per dimostrare i crimini di guerra e contro l’umanità che le truppe italiane commisero in Libia, Etiopia, Eritrea… Somalia. Atrocità e torture impressionanti: a donne incinte venne squartato il ventre e i feti infilzati, giovani indigene violentate e torturate, teste mozzate portate in giro come trofei, torture anche su bambini e vecchi. Racconti documentati di massacri di massa, di uso sistematico dei gas (la strage di Zeret) contro la popolazione civile, di lager che nulla avevano da “invidiare” a quelli nazisti. Il colonialismo italiano è stato brutale, selvaggio, e dietro di sé ha lasciato solo rovine e una memoria che il tempo, non solo in Libia, non ha cancellato.
L’Italia ha tutto distrutto e nulla realizzato. A differenza di Francia e Gran Bretagna, che nei domini coloniali hanno formato una classe dirigente autoctona, l’Italia neanche questo ha fatto, impedendo anche l’istruzione, percepita come una minaccia.

L’Italia non è stata la sola a praticare il terrorismo di Stato in Africa. Vi sono pagine di vergogna, impastata di sangue, scritte da regni e democrazie europei che hanno depredato Paesi interi, massacrato popolazioni indigene, depredato le ricchezze naturali, sfruttato a livello di schiavitù anche i bambini.
È la storia del colonialismo belga nel Congo, di quello portoghese in Mozambico e Angola e poi della Francia, della Gran Bretagna, della Germania. Queste ferite sono ancora aperte perché hanno significato la morte di decine di milioni di persone, la negazione dei più elementari diritti umani, la schiavitù sessuale, le fosse comuni. Crimini che oggi la “civile” Europa non vuol riconoscere o imputa ad altri.
Senza memoria, non c’è futuro. E coltivare la memoria di un colonialismo “terrorista” significa non solo mantenere viva una verità storica, ma anche ragionare su scelte del presente rivelatesi scellerate. L’Italia sembra aver rimosso non solo il passato con tutta la brutalità che l’ha caratterizzato, ma anche le politiche del presente rivelano un atteggiamento complice che l’Italia condivide con l’Europa.


La storia del padre che contempla il piede e la mano tagliati alla figlia di 5 anni in Congo
La storia del padre che contempla il piede e la mano tagliati alla figlia di 5 anni in Congo


CONGO, IL GENOCIDIO DIMENTICATO

 

Uno degli esempi più famosi del colonialismo europeo in Africa responsabile di azioni di genocidio è quello del Libero Stato del Congo (l’attuale Repubblica Democratica del Congo), un possedimento privato del Re Leopoldo II del Belgio, l'Attila del XIX secolo. Sarebbe stato meglio per il mondo che non fosse mai nato!
In questo immenso territorio, ricco allora come oggi, di immense risorse, l’intera popolazione venne ridotta in schiavitù e costretta con metodi inumani, a produrre ricchezze da inviare in Europa. Almeno 20 milioni di persone hanno perso la vita tra il 1885 (anno di riconoscimento internazionale del Libero Stato del Congo) al 1908, quando il Congo, da possedimento privato del Re, divenne una colonia del Belgio.
Già all'epoca, varie personalità della cultura e della politica, avevano denunciato i metodi brutali utilizzati nel possedimento privato di Leopoldo II, tra questi ricordiamo lo scrittore Mark Twain. Un funzionario doganale belga, denunciò che dal Congo sbarcavano nei porti belgi diamanti, oro e altre ricchezze, mentre dal Belgio venivano inviati in Congo solo fruste, fucili e munizioni.

Dopo numerosi e fallimentari tentativi di acquisire ulteriori colonie in Asia, nel 1876 Leopoldo organizzò una compagnia privata con finti scopi scientifici e filantropici che chiamò Società Africana Internazionale o Associazione Internazionale per l'Esplorazione e la Civilizzazione del Congo. Nel 1878, sotto gli auspici di questa compagnia, ingaggiò il "famoso esploratore" Henry Stanley *** per formare una colonia nel Congo, un'area geografica settantasei volte più grande del Belgio e che venne istituita ufficialmente in colonia a partire dal 5 febbraio 1885.
Parecchie manovre diplomatiche si ebbero alla Conferenza di Berlino del 1884-85, alla quale rappresentanti di tredici paesi europei e degli Stati Uniti riconobbero Leopoldo come sovrano della maggior parte dell'area che lui e Stanley rivendicavano. Il 5 febbraio 1885 il risultato fu che Leopoldo fu libero di controllare come un dominio personale lo Stato Libero del Congo (più tardi Congo belga, poi Zaire, e oggi Repubblica Democratica del Congo).

Resoconti di sfruttamento selvaggio e diffuse violazioni dei diritti umani della popolazione nativa incluse schiavitù e mutilazioni, eseguite queste ultime in particolare quando le produzioni della gomma naturale (caucciù dal ficus elastica) non rispettavano i quantitativi richiesti), portarono alla nascita di un movimento internazionale di protesta già nei primi anni del Novecento. A peggiorare poi la situazione erano le frequenti epidemie di vaiolo e malattia del sonno che devastarono la popolazione a più riprese a partire dal 1896, uccidendo più di 5.000 africani nel solo villaggio di Lukolela presso il fiume Congo. Stime sulle perdite umane oscillano fra i 3 e i 10 milioni di morti e le atrocità commesse furono tali da costituire un genocidio. Alla fine, nel 1908, il parlamento belga costrinse il Re a cedere lo Stato Libero del Congo al Governo del Belgio, a partire dal 15 novembre di quell'anno, e il Paese fu ribattezzato Congo belga.

Re Leopoldo II del Belgio, un sovrano subdolo e crudele, che passava per essere un filantropo e che invece fu artefice di uno dei più grandi misfatti della storia recente. Nel 1885 Leopoldo II riuscì a impossessarsi di un immenso territorio (76 volte più grande del Belgio) ricoperto di foreste nel cuore dell’Africa − il bacino idrografico del fiume Congo − grazie a un’abilissima campagna di pubbliche relazioni, nel nome della promozione di ricerche geografiche e scientifiche, della lotta ai mercanti di schiavi arabi, e della diffusione della civiltà e del progresso.
Per raggiungere i suoi scopi, reclutò il più celebre esploratore del suo tempo, il "paraculo" Henry Morton Stanley***, che percorse il fiume, stipulò centinaia di contratti ingannevoli con capi tribù locali e mise le basi per la costruzione di un sistema di stazioni che facessero da collettori delle ricchezze della foresta che attraverso il fiume potevano giungere ai porti sulla foce e da qui in Europa.
Servi del caucciù. Ma che cos'erano a quei tempi le ricchezze della foresta? Ce n’era una, ambitissima dall'industria dell’epoca, una resina che si ricavava incidendo la corteccia dei cosiddetti alberi della gomma e si raccoglieva in recipienti messi ai piedi del tronco. Era il caucciù, che, grazie alla scoperta del processo di vulcanizzazione, era destinato a diventare il precursore della plastica. Per ottenere il controllo di questa materia prima strategica, re Leopoldo organizzò un vero e proprio regime commercial-militare fondato consapevolmente sul terrore.
Occorreva manodopera per raccogliere il caucciù e trasportarlo fino al mare, così tutti gli africani furono obbligati a raccogliere quella resina senza alcun compenso. Ogni villaggio doveva consegnare agli emissari del re-filantropo una certa quota del prezioso prodotto vegetale: chi si rifiutava, o consegnava quantità minori di quelle richieste, era punito duramente, fino alla mutilazione: gli veniva tagliata una mano o un piede; alle donne, le mammelle. Contro i ribelli si ricorreva all'assassinio, a spedizioni punitive, distruzioni di villaggi, presa in ostaggio delle donne.
Crudeltà disumana. A fare il lavoro sporco erano circa duemila agenti bianchi, disseminati nei punti più importanti del “regno” di Leopoldo: molti di essi erano malfamati in patria e malpagati in Congo. Ogni agente comandava truppe di mercenari (sedicimila in tutto) e un certo numero di nativi armati, "bestie umane" prese da etnie diverse e dislocate nei singoli villaggi, per assicurare che la gente facesse il proprio dovere. Se la quota era inferiore a quella stabilita, si ricorreva a fustigazioni o mutilazioni. Era il metodo del terrore, tanto efficace quanto diabolico.
Tutto questo accadeva nello Stato Libero del Congo, così Leopoldo aveva chiamato il “suo” possedimento. Il risultato fu che nell'arco di un ventennio morirono circa dieci milioni di persone, direttamente per le amputazioni o per le violenze, o indirettamente per epidemie o per fame. Sì, per fame. Perché un’altra forma di punizione per chi non riusciva a portare le quantità volute di caucciù era la distruzione dei raccolti o addirittura dei villaggi. E portare la preziosa resina nelle quantità volute diventava sempre più difficile, perché le piante adatte, visto lo sfruttamento intensivo, si trovavano sempre più lontano dal fiume e molti villaggi non riuscivano a onorare le richieste.
Testimoni coraggiosi. Nell'agosto del 1908, poco prima di cedere ufficialmente la propria colonia personale al Governo del Belgio, Leopoldo II fece bruciare per otto giorni consecutivi la maggior parte dei suoi archivi. «Regalerò ai belgi il mio Congo, ma non avranno diritto a sapere ciò che vi ho fatto», disse. E, oltre alle carte ridotte in cenere, ridusse drasticamente al silenzio i testimoni scomodi. Fu così che una parte importante della storia della dominazione europea in Africa venne cancellata.
A gridare al mondo ciò che accadeva in Congo furono un pugno di eroi – giornalisti, esploratori, missionari o diplomatici – che fecero nascere il primo movimento mondiale per la difesa dei diritti umani: Edmund Morel, reporter e politico britannico, per primo indagò su ciò che accadeva in Congo.
Un genocidio che non ha mai avuto termine. In Congo negli ultimi vent'anni, nell'indifferenza dei media, ci sono stati oltre sei milioni di morti.

Nella foto: Un uomo di nome Nsala contempla una mano e un piede su un pavimento di una veranda. Quella mano e quel piede sono della figlia, Boali. La bambina, che aveva cinque anni, non solo venne mutilata, ma venne uccisa, insieme alla madre, ed entrambe furono smembrate e cannibalizzate. Il motivo? Durante la giornata di lavoro Boali non aveva raggiunto la quota del raccolto della gomma. Terminate le disumane punizioni, i mercenari di Leopoldo si presentarono da Nsala con mano e piede della figlia ormai morta, e psicologicamente uccisero anche lui, più di quanto la sua condizione di schiavitù non lo uccidesse ogni giorno. Una situazione tanto paradossale da costituire una realtà storica riconosciuta e conclamata fra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900: quella della dominazione di re Leopoldo II dell’odierna area del Congo. La fotografia fu scattata da Alice Seeley Harris, missionaria inglese, che ebbe l’enorme merito di far conoscere a tutto il mondo le atrocità che venivano commesse nello stato africano.
Agli abitanti del Congo, ridotti interamente in schiavitù, veniva imposto il raccoglimento di una quota giornaliera di gomma naturale, il caucciù, che doveva esser rispettata giornalmente. La pena era la morte. Per chi non riusciva a rispettare la quota era previsto il taglio della mano, prova della morte dello schiavo nei confronti dei controllori. La mano veniva tagliata per risparmiare un proiettile, e dimostrare la certezza del decesso di una persona.
In pratica, quando mancavano delle quote di gomma per le ragioni più disparate, era necessario fornire un quantitativo di mani tagliate che ne giustificassero l’ammanco. Come ovvio, nelle varie parti del paese iniziò un commercio di mani tagliate per giustificare i bassi livelli di fornitura di caucciù dell’uno o dell’altro villaggio. Si assistette a guerre fratricide dove un villaggio attaccava l’altro soltanto per impossessarsi delle mani dei vinti. Le sevizie dei soldati incaricati del controllo non si limitavano ovviamente all'amputazione delle mani degli schiavi, ma comprendevano ogni genere di torture e persecuzioni, oltre che l’esecuzione del tutto arbitraria di chiunque gli si parasse di fronte. Il taglio delle mani era divenuta una pratica del tutto normale, e spesso i soldati non uccidevano la vittima, dato il valore nullo della sua vita.

Negli ultimi anni, in Congo, perforazioni petrolifere, deforestazione e caccia selvaggia hanno ormai portato all'estinzione una specie di creature magnifiche, chiave per l’equilibrio naturale del proprio territorio. Nel 2013 il direttore del parco nazionale del Virunga, Emmanuel De Mérode, giunse in Europa per tentare un ultimo, disperato appello che fermasse non solo la caccia al gorilla, ma anche la deforestazione del suo areale, le perforazioni petrolifere della zona (giunte all’85% del territorio del Parco), e il commercio di carne di gorilla e souvenir legati al povero animale.

È una vera e propria strage di elefanti di foresta quella che si sta verificando a causa del bracconaggio nell'area del bacino del Congo dove, negli ultimi 8 anni, gli individui di questa specie sono crollati del 66%. La situazione per gli elefanti è particolarmente allarmante nell'area del «Tridom» (Dja-Odzala-Minkebe), zona protetta a cavallo tra Camerun, Repubblica del Congo e Gabon, dove il numero di questi animali è sceso addirittura del 70% nell'ultimo decennio.

A lanciare l’allarme è il Wwf che ha pubblicato dati di un censimento sulle specie a rischio dell’area realizzato nel periodo compreso tra il 2014 e il 2016. Il censimento, condotto in collaborazione con i governi locali, è stato realizzato in aree protette (il 20% dell’area presa in esame) di 4 paesi: Camerun, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica CentroAfricana e Gabon, ma anche in zone circostanti, aree dove il taglio delle foreste è autorizzato, così come la caccia e altri tipi di sfruttamento delle risorse naturali.

    ________________________________  

***  Henry Morton Stanley, in realtà il suo vero nome era John Rowlands. Sua madre lo abbandonò all'età di sei anni e non rivelò mai al figlio chi fosse suo padre, che forse poteva essere John Rowlands, un beone ben conosciuto a Denbigh nel Galles nord-orientale.
John finì in una casa di correzione dove si "commetteva ogni sorta di abuso", diretta da un alcolizzato "che si prendeva tutte le libertà sugli occupanti". I bambini dividevano i letti con gli adulti che davano sfogo alle loro pulsioni con i più piccoli. John Rowlands venne perseguitato tutta la vita dalla fobia per la sessualità e la vicinanza corporale.
Celebre è la frase da "ebetoide" che gli viene attribuita al momento dell'incontro con Livingstone il 10 novembre 1871, a Ujiji, vicino al lago Tanganica, in quella che oggi è la Tanzania, "Dr. Livingstone, I presume?" ("Dottor Livingstone, suppongo"). Non fu detta infatti in modo ironico o per creare un effetto di comicità, bensì l'atteggiamento inespressivo del volto e lo sguardo attonito di John rivelano nel soggetto la deficienza mentale!
Va detto che ancor oggi ben pochi fanno cenno alle nefandezze compiute in Congo da questo misantropo al soldo di Leopoldo II.

Un genocidio condiviso con Stanley (John Rowlands) quello commesso con inaudita crudeltà nello Stato Libero del Congo?
Sconcertante: Re Leopoldo II del Belgio non mise mai piede in Congo in vita propria. Il "rotto in culo" di Stanley sì!

    ________________________________  

Il genocidio silenzioso. Oltre sei milioni di morti in Congo in 20 anni, nell'indifferenza dei media
Il genocidio silenzioso. Oltre sei milioni di morti in Congo in 20 anni, nell'indifferenza dei media

 

Non vi è dubbio che i pigmei Twa, dell'odierna Repubblica Democratica del Congo, da generazioni uccidono i gorilla per mangiarli o per salvare, come loro dicono, i raccolti dalle loro scorribande, mentre i bracconieri li catturano perché qualche stupido fomenta il mercato, comperando ad esempio mani di gorilla, da usare come trofei o posacenere sulla scrivania…
Dalle loro mani, tagliate e imbalsamate, si ricavano preziosi portacenere da smerciare di contrabbando nei mercati orientali e statunitensi.

Vero è che dai tempi più remoti le teste, gli arti e le ossa di gorilla vengano usati dai pigmei per riti magici, mentre il corpo veniva mangiato, in quanto ritenuto, al pari di quella di altri primati, carne prelibata. Motivati dal sapore della carne umana, oltre che dall'odio razziale, i pigmei già intorno al 1000 d.C., "divoravano" cadaveri delle popolazioni Bantu al fin di acquisirne forza ed aspetto fisico. I Bantu non ebbero difficoltà a reagire sottoponendo i pigmei alla stessa se non peggior sorte.

Ora, agli animali catturati e uccisi, tagliano testa e mani mentre il corpo, meno remunerativo e molto più ingombrante da spostare, viene abbandonato, pur essendo ancor oggi la carne di gorilla molto apprezzata dai locali.
I cuccioli vengono venduti agli zoo, anche se per catturarne uno è spesso necessario abbattere tutta la famiglia.
Essere capaci di perdonare simili delitti, è raro, mentre amare gli animali, per me è la norma.

Ma, "Particolarmente pregiata, in Congo, è la carne di un tipo umano, il Pigmeo", questa la frase oggi, come in passato, propagandata dalle popolazioni pigmee congolesi. Tra le loro paure ancestrali, infatti, c’è quella di essere mangiati.
Non è certo il caso di disquisire sulle origini dei popoli della Regione dei Grandi Laghi africani, va semplicemente osservato che i coloni belgi per primi, per soggiogare la popolazione, si basarono sulla semplice osservazione dell'aspetto fisico degli appartenenti ai diversi gruppi etnici dell'area: i Twa erano di bassa statura, gli Hutu erano di media altezza, e i Tutsi erano molto alti e snelli, con lineamenti del volto e del naso più sottili.
La presunta supremazia dei Tutsi li portò al potere, mentre agli Hutu e ai Twa erano riservate mansioni più umili e meno retribuite. Una volta estromessi dal comando dalla superiorità numerica degli Hutu, i Tutsi per 100 giorni subirono massacri e barbarie di ogni tipo: vennero uccisi più di un milione di Tutsi in maniera pianificata e capillare. Il genocidio ebbe termine nel luglio 1994. Per dare un'idea sommaria di quello che avvenne, basti pensare che in un giorno vennero uccise circa ottomila persone di etnia Tutsi, circa 333 all'ora, ovvero 5 vite al minuto. Il massacro degli "scarafaggi", così venivano chiamati i Tutsi dagli estremisti Hutu, non avvenne per mezzo di bombe o mitragliatrici, ma , come per i gorilla, a colpi di machete!
Come poter negare quindi che la stessa sorte riservata ai gorilla (come il taglio delle mani), i coloni di Leopoldo II la destinarono ai "selvaggi africani"?
leggi: "Pigmei-Antico popolo della foresta".

 

Oggi il Congo, devastato da un ventennio di potere dittatoriale e cleptomane della famiglia Kabila, con il sistema sanitario e le forze armate corrotti ed inefficaci, non possiede non solo la necessaria capacità organizzativa, ma neppure la volontà di controllare il diffondersi dell’epidemia di ebola.
Inoltre, l’est del Paese è infestato da oltre 140 gruppi armati congolesi e stranieri implicati nello sfruttamento illegale dei minerali preziosi, causa di innumerevoli conflitti: massacri che si consumano di continuo e in silenzio, ma preferiti dalla popolazione al posto della presenza reale dello Stato.
A queste debolezze strutturali si aggiunge un altro terrificante fattore: il fanatismo religioso.
Negli ultimi dieci anni, l’est del Congo ha visto un proliferarsi di decine di sette cristiane, per la maggior parte orientate a speculare sull'ignoranza e la disperazione della popolazione. Varie chiese locali o straniere si sono installate nelle province del Kivu (nord e sud), trasformando il credo religioso in un colossale business. Dietro la promessa di miracoli e attuando astute tattiche di condizionamento mentale, i pastori si arricchiscono alle spalle della popolazione, ridotta alla fame, ed esercitano su di essa un controllo e una forma di autorità che ha superato quella dell’amministrazione pubblica o delle chiese ufficiali cattoliche e protestanti.

È proprio questo controllo sulla psiche della popolazione, esercitata da truffatori che astutamente giocano il ruolo di messia e salvatori, a rendere difficile in controllo dell’epidemia. Le varie sette cristiane da un anno stanno diffondendo fake news sull'epidemia di ebola che vengono prese in seria considerazione dalla popolazione.
Varie teorie del complotto, totalmente infondate, sono state propagate da questi pastori e divenute verità assolute per le centinaia di migliaia dei loro seguaci. Ebola sarebbe un virus creato in laboratori americani e diffuso in Congo per uccidere la popolazione a favore di un espansionismo territoriale del vicino Rwanda. I centri sanitari allestiti dalle autorità non avrebbero il compito di contenere l’epidemia e di curare le persone infette. Questi centri diffonderebbero ebola, seguendo precisi ordini provenienti da Washington, con la complicità diretta del Governo congolese. I pastori invitano la popolazione a non recarsi nei centri sanitari appositamente allestiti per controllare e combattere l’epidemia. Invitano a rifiutare i vaccini, in quanto sarebbero proprio essi a trasmettere ebola. Propongono, in alternativa delle cure mediche, preghiere, facendo credere ai loro seguaci che il virus colpisca solo i peccatori. Questi deliri sono diffusi durante le sessioni di preghiere per rafforzare l’autorità e gli introiti finanziari dei pastori. Tutti rivendicano di essere messia inviati da Dio per salvare il Congo.
Questa opera nefasta ha indotto gran parte della popolazione a non adottare misure preventive. Molti non vogliono essere vaccinati. I centri di trattamento di Ebola sono visti come emanazione di satana. Sotto le tute di protezione del personale sanitario si nasconderebbero mostri satanici che non vogliono rivelare la loro identità demoniaca. Quando una persona viene colpita da ebola si rivolge ai pastori che, tramite le preghiere e la fede, salverà la vittima.
Questa delirante propaganda frutto di un voluto e calcolato fanatismo religioso ha portato a vari fenomeni di violenza inaudita. Molti centri sanitari nella zona di Butembo, Lubero e nell’Ituri sono stati attaccati dalla popolazione e rasi al suolo. Dinnanzi alla nefasta opera di questi ‘messia’, l’amministrazione pubblica e le autorità sanitarie, corrotte non già nel passato prossimo ma in quello remoto, sono soggette alla diffidenza popolare, che li identifica come nemici che seguono piani diabolici di sterminio a favore degli Stati Uniti e del Rwanda.
Il dilagare del fanatismo religioso, che ha assunto dimensioni tali da costituire un contro-potere, è il diretto frutto dell’assenza dello Stato voluta dal dittatore Joseph Kabila per mantenere il suo controllo sul Paese e la rapina delle risorse naturali. La popolazione dell’est del Congo, che vive in condizioni disumane di povertà estrema, è diventata mano d’opera forzata delle varie bande armate per estrarre i minerali. Educazione e sanità sono pressoché inesistenti così come le possibilità di impiego. Per uscire dall'incubo imposto cinicamente da un Governo lontano migliaia di chilometri, la popolazione si rifugia nella religione, nel misticismo. Abili impostori dotati di primordiale carisma ne hanno approfittato, creando sette religiose che assicurano a loro inauditi profitti, plagiando le menti di persone disperate e allo sbando. La debolezza del Governo viene dimostrata anche dall'assenza di misure repressive contro queste sette, nonostante le azioni di plagio e truffa siano più che evidenti.
Il mancato intervento delle autorità e forze dell’ordine, la costante povertà e totale assenza di futuro, ha rafforzato il potere di questi "messia". Un potere così radicato tra la popolazione da costituire ora una minaccia sanitaria regionale in quanto ostacola in modo virulento il trattamento della malattia, le campagne di vaccinazione e le azioni di contenimento del contagio.
Questo fanatismo religioso si associa ad una situazione di insicurezza che ha provocato una grave crisi umanitaria senza paragoni. Si calcola che circa 2 milioni di persone siano state costrette a divenire dei rifugiati interni. I campi allestiti per accoglierli possono facilmente diventare focolai di malattie tra cui Ebola.

I centri sanitari continuano a essere bersagli del furore popolare mentre l’esercito è riluttante a difenderli per paura del contagio.

Come poter negare che le tradizioni dei secoli passati e le superstizioni messe in atto ai danni dei primati, abbiano oggi fomentato il dilagare del fanatismo religioso a danno dei sanitari? Fanatismo che ha assunto dimensioni tali da costituire un contro-potere, tale da favorire il propagarsi dell'epidemia di ebola. Ebola, il castigo inflitto a costoro da Dio!

L’epidemia di ebola nella Repubblica Democratica del Congo, che ha causato la morte di 2.099 persone, viene ampiamente diffusa dai media di tutto il mondo. Ma un altro virus, silenziosamente, sta devastando il Paese.
Questo virus è il morbillo che nel 2019 ha già ucciso 3667 persone, prevalentemente bambini tra i 6 e i 59 mesi. Dal 5 al 11 agosto 2019, si può osservare come i numeri relativi al morbillo e quelli relativi al virus ebola siano molto differenti. Per quanto riguarda il morbillo, ci sono stati 141 morti. Mentre per quanto riguarda l’ebola nella stessa settimana, sono stati confermati 45 decessi.
Questo significa che, in media, il morbillo uccide circa tre volte più persone alla settimana dell’ebola.


Persone di etnia Herero in un campo di concentramento. Il primo genocidio del ’900 ebbe luogo nell’Africa tedesca del sud-ovest (oggi Namibia) fra il 1904 e il 1907
Persone di etnia Herero in un campo di concentramento. Il primo genocidio del ’900 ebbe luogo nell’Africa tedesca del sud-ovest (oggi Namibia) fra il 1904 e il 1907


LO STERMINIO DEGLI HERERO E DEI NAMA IN NAMIBIA

 

Un altro genocidio africano, a lungo dimenticato dalla storia, è quello delle popolazioni Herero della Namibia, da parte delle Germania. La Namibia, vasto territorio dell’Africa del sud-ovest che si affaccia sull'Oceano Atlantico, era all'epoca una colonia tedesca.
Tra il 1904 e il 1915, oltre 80 mila Herero sono stati massacrati dalle truppe guidate dal generale Lothar von Trotha. Il metodo impiegato era particolarmente crudele. Le tribù Herero venivano spinte dalle truppe tedesche nel deserto Omaheke, dove tutti i pozzi erano stati avvelenati. I soldati avevano l’ordine di uccidere chiunque - uomo, donna, bambino - avesse cercato di fuggire dal deserto.

Contesto storico
Gli Herero sono una tribù di allevatori di bestiame che abitano nel Damaraland, nel nord della Namibia. Nel 1884, all'epoca della spartizione dell'Africa fra le potenze coloniali europee, l'odierna Namibia fu dichiarata protettorato tedesco; all'epoca era l'unico territorio d'oltremare considerato adatto per lo stanziamento dei bianchi acquisito dalla Germania. In questa terra arida e scarsamente popolata, vennero inviati 2000 coloni, in maggioranza uomini.
I tedeschi incontrarono la resistenza di diverse popolazioni locali alla loro occupazione, anche se nel 1894 venne siglato un accordo con i Khoikhoi. In quell'anno Theodor Leutwein divenne Amministratore imperiale della colonia, che entrò in un periodo di rapido sviluppo, mentre la Germania inviava le truppe imperiali chiamate Schutztruppe per pacificare la regione.
La politica coloniale tedesca, per quanto migliore di quella francese o belga, era apertamente non egualitaria: i coloni furono incoraggiati a sottrarre la terra alle popolazioni locali, i nativi (compresi gli Herero) vennero adoperati come schiavi, e le risorse di rilievo (in particolare le miniere di diamanti) vennero sfruttate dai tedeschi. Questa situazione creò un crescente malcontento.
Gli Herero giudicarono la situazione intollerabile. Samuel Maharero, il loro condottiero, guidò il suo popolo in una grande sollevazione contro i tedeschi. Il 12 gennaio 1904 vennero sferrati i primi attacchi. La maggior parte delle fattorie dei coloni venne distrutta, e almeno 123 tedeschi furono uccisi; fra loro anche sette boeri e tre donne.
Leutwein fu costretto a richiedere al Governo di Berlino rinforzi e un ufficiale d'esperienza per risolvere la crisi. Nel frattempo in Germania i nazionalisti e i sostenitori dei coloni inscenarono manifestazioni dipingendo gli Herero come "selvaggi da sterminare".
Il 3 maggio 1904 il kaiser Guglielmo II ordinò all'esercito di andare a "reprimere i selvaggi africani" e mise al comando delle truppe un personaggio dalla feroce reputazione, il tenente generale Lothar von Trotha venne nominato Comandante supremo ("Oberbefehlshaber") dell'Africa del Sud-Ovest, e l'11 giugno arrivò con un contingente di 14.000 soldati.
Nell'ottobre 1904, gli Herero si allearono con gli assai meno numerosi Nama, una tribù meridionale.
Pochi mesi dopo scoppiò la rivolta dei Maji Maji.

Il genocidio
L'11-12 agosto 1904 le truppe guidate da von Trotha sconfissero un esercito di 3.000-5.000 Herero nella battaglia di Waterberg, presso l'altopiano omonimo, ma non furono in grado di circondare ed eliminare i sopravvissuti in ritirata.
Le forze tedesche li inseguirono e tennero sotto pressione, evitando che gruppi di Herero si allontanassero dal contingente in fuga e sospingendoli verso il deserto di Omaheke. Meno di 1000 profughi, alla guida di Maharero, riuscirono ad attraversare il Kalahari e raggiunsero il territorio britannico del Bechuanaland, dove ricevettero asilo politico.
In particolare, von Trotha mise in atto misure volte a sterminare per fame e per sete i nemici, facendo presidiare o avvelenare i loro pozzi (risorse estremamente preziose nel territorio arido della Namibia). Le pattuglie tedesche trovarono in seguito scheletri intorno a buche profonde 13 m, scavate nel vano tentativo di trovare acqua.
Il 2 ottobre von Trotha mandò agli Herero questo avvertimento mediante un proclama, datato 2 ottobre 1904:
«Il popolo Herero deve lasciare il paese. Ogni Herero che sarà trovato all'interno dei confini tedeschi, con o senza un'arma, con o senza bestiame, verrà ucciso. Se non lo fa, lo costringerò a farlo usando il grande fucile [l'artiglieria]. Qualunque Herero maschio, armato o inerme, con o senza bestiame, trovato entro la frontiera tedesca sarà fucilato. Non accoglierò più né donne né bambini, li ricaccerò alla loro gente o farò sparare loro addosso. Queste sono le mie parole per il popolo Herero.»
Il proclama, inviato a Berlino via mare e non via telegrafo. giunse nella seconda metà di novembre dove, seppur per motivazioni diverse, l'iniziativa di von Trotha venne condannata per ragioni umanitarie, economiche, diplomatiche e politiche, oltre a ritenere la "Politica di annientamento" (Vernichtungspolitik) irrealistica. Ciò convinse il kaiser, Guglielmo II di Prussia e Germania, a rovesciare la politica di von Trotha e ad offrire un'amnistia agli Herero che si arrendevano senz'armi e che non avevano commesso dei crimini.
Si tentò, come si tenta ancor oggi da parte dei tedeschi, di giustificare il genocidio perché non venne ordinato da nessun superiore né da Berlino e lo "sterminio di massa" venne perpetrato esclusivamente su iniziativa di Trotha.
La morte di massa degli Herero viene quindi cinicamente definita come il frutto di "pratiche belliche standard" e non di una politica mirante al genocidio.
L'11 dicembre 1904 il Cancelliere del Reich, Bernhard von Bülow, ordinò a von Trotha di erigere dei "campi di concentramento" (Konzentrationslager) allo scopo di dare "sistemazione temporanea" a "ciò che rimaneva del popolo Herero". Alcuni prigionieri furono impiegati come schiavi presso aziende pubbliche e private, altri usati come cavie umane in esperimenti medici.

Campi di concentramento
Gli Herero sopravvissuti, la maggior parte dei quali erano donne e bambini, furono deportati nei campi di concentramento come quello di Swakopmund, il porto principale della colonia, dove furono costretti a lavorare come schiavi per i militari e per i coloni tedeschi; tutti i prigionieri venivano schedati in gruppi, a seconda che fossero o meno idonei al lavoro. Molti Herero moriranno per malattie, per malnutrizione o per il troppo lavoro.
Un'altro campo di concentramento fu costruito in un porto fuori mano sull’isola di Shark, lontano dalla vista e inaccessibile. Questo fu un vero e proprio campo di sterminio: lo scopo per cui i prigionieri venivano condotti là non era quello di raccoglierli per adoperarli come schiavi, ma quello di eliminarli definitivamente. La maggior parte delle vittime di Shark Island tuttavia non furono Herero. Dopo essere stato testimone del genocidio degli Herero, il popolo meridionale dei Nama si era infatti a sua volta ribellato contro i tedeschi. I Nama non furono dispersi come gli Herero, ma divennero le nuove vittime del genocidio. Nella Germania di allora si diceva espressamente che i Nama non possedevano alcun merito, e che non avevano motivo di vivere non avendo alcuna utilità nel mondo. Il campo di Shark Island fu chiaramente connesso con i "campi di sterminio" (Vernichtungslager) del regime nazista.
Le grandi uccisioni industriali di Auschwitz e degli altri campi erano ancora da programmare, ma l’idea di segregare le persone e di ucciderle nel più breve tempo possibile nacque probabilmente su Shark Island, l'anticipazione della follia nazista!

L'alta mortalità registrata nei campi fu dovuta alla scarsa dimestichezza dell'esercito tedesco con la logistica, un'attività che gli ufficiali ambiziosi, in cerca di promozioni, non intraprendevano, essendo questa vista come un'attività ausiliaria, focalizzandosi quindi sulle attività di combattimento. Nonostante la scarsa considerazione che riceveva, la logistica era essenziale in una colonia senza infrastrutture, cibo e acqua come l'Africa tedesca del Sud-Ovest e l'esercito tedesco soffrì per questa mancanza, oltre ai prigionieri. Inoltre la condizione dei prigionieri non era una priorità per l'esercito.
Lo scopo dei campi era quello di far fallire la guerriglia allontanando la popolazione civile, con il risultato di sgombrare il campo di battaglia e facilitare quindi la lotta contro i combattenti che restavano, una tattica efficace in un territorio scarsamente popolato come quello della colonia. Le incompetenze amministrative, il razzismo diffuso e la rotazione degli ufficiali provocava molte inefficienze (in quest'ultimo caso anche sul campo di battaglia. Le razioni alimentari erano fissate da von Trotha e prevedevano un quinto della carne prevista dalla più punitiva delle razioni destinate dalla Gran Bretagna ai civili internati durante la Guerra Boera e soltanto un sesto della razione ricevuta dai soldati di linea tedeschi, una razione che, di due terzi di quella standard, causava tra le Schutztruppen diffusi fenomeni di denutrizione e di scorbuto.
I successori di von Trotha aumentarono e diversificarono la razione ufficiale, ma essa continuò a risultare insufficiente, continuando a perpetuare il deficit alimentare tra i prigionieri, pur non volendo mai, da quanto risulta dalla loro corrispondenza, la loro morte. Secondo l'esercito tedesco, la mortalità nei campi era del 45%, contro i 25% dei campi britannici in Sud Africa. Se però i morti nei campi britannici cessarono grazie all'indignazione pubblica e all'intervento politico, nei campi tedeschi l'amministrazione rimase volutamente militare, una scelta consona alla mentalità politica tedesca del periodo. L'unico moto che poteva far chiudere i campi, non poteva quindi che essere un moto interno: fu il colonnello Ludwig von Estorff a dare ordine di chiuderli, mosso dal sentimento d'orrore provato alla visita dei campi e dall'onore personale.

Esperimenti medici
Eugen Fischer, uno scienziato tedesco, giunse nei campi di concentramento per condurvi esperimenti medici sulla razza, usando come cavie sia mulatti (figli di madri Herero e padri tedeschi) che prigionieri Herero adulti. Gli esperimenti comprendevano la sterilizzazione e l'inoculazione dei germi del vaiolo, del tifo e della tubercolosi.
L'ossessione per la purezza della razza e l'amministrazione coloniale tedesca furono sconvolte dai numerosi casi di bambini di sangue misto. Eugen Fischer studiò 310 mulatti, sottoponendoli a numerose verifiche come misurazioni della testa e del corpo ed esami degli occhi e dei capelli. A conclusione dei suoi studi caldeggiò il genocidio delle presunte "razze inferiori", affermando che «chiunque consideri a fondo la nozione di razza, non può giungere a una conclusione diversa».
Altri esperimenti furono condotti dal dottor Bofinger, che inoculò in Herero affetti da scorbuto varie sostanze, fra cui arsenico e oppio, di cui poi indagava gli effetti mediante autopsie sui cadaveri.
Secondo Clarence Lusane gli esperimenti medici di Eugen Fischer possono essere visti come un "banco di prova" per le successive procedure mediche adottate durante l'olocausto nazista. Fischer divenne in seguito rettore dell'Università di Berlino, dove insegnò medicina ed ebbe fra i suoi allievi Josef Mengele, noto per gli esperimenti genetici condotti sui bambini ebrei nel campo di concentramento di Auschwitz.

Numero di vittime e i costi
Un censimento effettuato nel 1905 rivelò che nell'Africa Tedesca del Sud-Ovest erano rimasti 25.000 Herero Essi erano circa 100.000 prima del genocidio.
Secondo il Rapporto Whitaker delle Nazioni Unite del 1985, la popolazione degli Herero fra il 1904 e il 1907 si ridusse da 80.000 a 15.000 "rifugiati affamati". Le perdite tedesche furono di 1.500 uomini, di cui la metà morì di malattia. In totale, la guerra costò 600 milioni di marchi.

Riconoscimento del genocidio
Molti storici moderni, e le stesse Nazioni Unite, considerano le guerre Herero come il primo caso di genocidio del XX secolo, in quanto lo scopo esplicito dell'azione di von Trotha fu, come ebbe a dire l'etnologa Larissa Förster, "eliminare tutti coloro che appartenevano a un determinato gruppo etnico, solo perché appartenevano a quel gruppo etnico". Come nel caso dell'olocausto, ci sono autori negazionisti che rifiutano di accettare la definizione delle guerre Herero come "genocidio".
Nel 1998, mentre il presidente tedesco Roman Herzog si trovava in visita in Namibia, ricevette una richiesta pubblica di scuse da parte del capo Herero Munjuku Nguvauva. Herzog espresse rammarico ma non scuse formali, e non accolse la proposta di versare un indennizzo nei confronti delle comunità native namibiane.
Nel 2001, gli Herero presentarono un'istanza agli Stati Uniti chiedendo un indennizzo da parte della Germania e della Deutsche Bank. La Germania non poté essere condannata perché all'epoca del massacro nessuna legge garantiva la protezione dei civili e le convenzioni internazionali avrebbero contemplato il reato di genocidio soltanto qualche decennio dopo, mentre troppi anni erano trascorsi per intentare una causa civile di fronte a un tribunale tedesco.
Scuse ufficiali da parte tedesca vennero il 16 agosto 2004 (centesimo anniversario della decisiva battaglia di Waterberg) da parte del ministro tedesco Heidemarie Wieczorek-Zeul. Wieczorek-Zeul affermò che i tedeschi accettavano la propria responsabilità storica e morale e riconoscevano la propria colpa. Wieczorek-Zeul ammise anche che quanto avvenuto nel Damaraland rispondeva alla definizione di genocidio. Anche Wieczorek-Zeul, tuttavia, rifiutò di concedere un indennizzo economico alla Namibia, sostenendo che i torti subiti dalla popolazione erano stati ampiamente ripagati con anni di aiuti economici stanziati a favore della Namibia (oltre 11 milioni di euro). In cento anni, meno di 169 euro di risarcimento per ogni "selvaggio" Herero ucciso! (sic!)
Leggi: anche"Il genocidio Herero: l’accordo Namibia-Germania".

 


Massacri di Serif 1945
Massacri di Serif 1945


I CRIMINI DELLA COLONIZZAZIONE FRANCESE IN AFRICA

 

«La colonizzazione è un crimine contro l’umanità». Difficile stabilire quanto questa dichiarazione di Emmanuel Macron abbia contribuito alla sua elezione a presidente della Francia nel ballottaggio del 7 maggio 2017 contro Marie Le Pen.
Pronunciata nel febbraio 2017 ad Algeri, in piena campagna elettorale, durante una intervista a una tv privata algerina, fu chiaramente opportunista e diretta a guadagnare il voto dei franco-algerini, la più numerosa delle comunità di origine straniera.
Il calendario delle elezioni presidenziali in Francia infatti è casualmente coinciso con gli anniversari di due delle pagine più nere della colonizzazione francese in Africa.

In Madagascar l'anniversario dell’8 maggio 2017 è stato ricordato con particolare rilievo.
Il 5 maggio 1947 i militari francesi del distretto d’Ambatondrazaka avevano rastrellato presunti insorti e li avevano caricati prima dell’alba su tre vagoni bestiame. Il treno con i 166 ostaggi arrivò nel primo pomeriggio a Moramanga. Verso mezzanotte i militari di guardia, col pretesto che gli insorti si apprestassero a liberare i prigionieri, ricevettero l’ordine di mitragliare il treno. I 71 sopravvissuti furono incarcerati, ma il giorno dopo, di nuovo portati nei vagoni, senza cibo. Nel pomeriggio dell’8 maggio furono divisi in tre gruppi e messi davanti al plotone di esecuzione. Caddero uno dopo l’altro.
Conosciamo i dettagli attraverso un’unica straordinaria testimonianza. un malgascio di nome Rakotoniana, il solo sopravvissuto del “treno di Moramanga”. Quando una fucilata lo colpì al petto e lo fece precipitare nella fossa comune, mentre i corpi degli altri ostaggi gli cadevano addosso, Rakotoniana rimase solo ferito. Decise di non muoversi e attendere la notte per fuggire in quel terribile 8 maggio 1947.
L’insurrezione nel Madagascar era iniziata il 29 marzo 1947, un anno dopo si calcola che i morti siano stati circa 100.000.

Due anni prima, l’8 maggio 1945, la Francia festeggiava la fine della guerra. Nello stesso giorno in Algeria, a Sétif alcune migliaia di algerini manifestavano pacificamente per quella liberazione che invece il loro paese non aveva ancora avuto. La bandiera algerina venne fatta sventolare; i gendarmi ne chiesero la consegna, ma per i patrioti algerini era oggetto sacro. Il portabandiera, un giovane scout, fu abbattuto, e subito dopo dalle finestre alcuni europei cominciarono a sparare sulla folla che lasciò altri morti e feriti.
Alcuni gruppi cercarono di reagire attaccando gli europei. La risposta fu terribile. Sétif, Guelma e altre cittadine della regione di Costantina furono invase dai militari e dalle milizie dei coloni a caccia dell’arabo. A fronte di un centinaio di morti europei, impossibile stabilire la cifra esatta dei caduti algerini, sicuramente diverse migliaia in poche settimane (il Governo di Algeri avanza oggi la cifra di almeno 45.000 morti).

Il sanguinario massacro di Addis Abeba
Il sanguinario massacro di Addis Abeba


LA STORIA SEPOLTA DA DEFORMAZIONI DELLA MEMORIA ED INFORMAZIONI PALESEMENTE FALSE

 

Gli storici sembrano avere una memoria selettiva, i “crimini di guerra” dei nazisti durante il conflitto mondiale sono riconosciuti, quelli successivi compiuti nel vano tentativo di conservare le colonie europee invece non lo sono.
E la perdita di memoria colpisce anche gli italiani.
A 82 anni dalla strage dei monaci etiopi eseguita il 21 maggio 1937 nel monastero di Debre Libanos, a nord di Addis Abeba, nessuno ha mai pagato, come se quello coloniale fosse solo un lontanissimo passato. Eccidio che costò la vita non solo ai monaci, ma anche a diaconi, civili, insegnanti, studenti di teologia e sacerdoti di altri monasteri. Angelo Del Boca, considerato il maggiore storico del colonialismo italiano, a tal proposito scrisse: «Mai nella storia dell'Africa, una comunità religiosa aveva subito uno sterminio di tali proporzioni».
Nel 2008 lo storico Matteo Dominioni, riportando gli studi di Campbell e Gebre-Tsadik, affermò che tra il 21 e il 29 maggio fu ordinata la fucilazione di 1500-2000 tra preti, diaconi e disabili che abitavano a Debra Libanos, tra i quali almeno 400-500 ragazzi arrestati a Chagel e fucilati nel villaggio di Engecha il 26 maggio.
A questi morti si devono aggiungere le persone che carabinieri e militari italiani uccisero, senza segnalarlo nei rapporti, e quelli fatti da squadristi e civili. Queste le testimonianze di un giornalista accreditato dal regime e dei pochi civili italiani che rimasero inorriditi per quanto videro: «Tutti i civili che si trovano ad Addis Abeba, in mancanza di una organizzazione militare o poliziesca, hanno assunto il compito della vendetta condotta fulmineamente con i sistemi del più autentico squadrismo fascista. Girano armati di manganelli e di sbarre di ferro, accoppando quanti indigeni si trovano ancora in strada. Vengono fatti arresti in massa; mandrie di negri sono spinti a tremendi colpi di curbascio come un gregge. In breve le strade intorno ai tucul sono seminate di morti. Vedo un autista che dopo aver abbattuto un vecchio negro con un colpo di mazza gli trapassa la testa da parte a parte con una baionetta. Inutile dire che lo scempio si abbatte contro gente ignara ed innocente».
«Molti di questi forsennati li conoscevo personalmente. – riferisce il vercellese A. Dordoni – Erano commercianti, autisti, funzionari, gente che ritenevo serena e del tutto rispettabile. Gente che non aveva mai sparato un colpo durante tutta la guerra e che ora rivelava rancori ed una carica di violenza insospettati. Il fatto è che l’impunità era assoluta».
«Per tre giorni durò il caos, – racconta Dante Galeazzi – per ogni abissino in vista non ci fu scampo in quei terribili tre giorni in Addis Abeba, città di africani dove per un pezzo non si vide più un africano».
Le stime del sanguinario massacro di Addis Abeba portano all'ipotesi di circa 19.000 vittime, secondo fonti etiopiche i morti furono circa 30.000.

E come non ricordare una delle stragi più efferate di tutta l’occupazione italiana dell’Etiopia avvenuta tra il 9 e l’11 aprile 1939 nella caverna di Zeret?. Vedi il video
E così il luogo comune di "italiani, brava gente", continua a permanere nella nostra memoria collettiva.

La tratta degli schiavi dall'Africa alle Americhe
La tratta degli schiavi dall'Africa alle Americhe


LA TRATTA DEGLI SCHIAVI DALL'AFRICA ALLE AMERICHE

 

Il colonialismo europeo è responsabile anche della tratta degli schiavi, dall'Africa alle Americhe.
Non vi sono stime precise su quante persone sono state strappate dalla loro terra con la forza e condotte in catene verso “il Nuovo Mondo”. Secondo alcune fonti, in tre secoli, dal 1550 al 1850, 100 milioni di africani sono stati ridotti in schiavitù; stime più prudenti riducono questo numero a 20-30 milioni. Si calcola poi che solo il 30% degli schiavi sia giunto vivo a destinazione.
Leggi: "Tratta degli schiavi e schiavitù".

Un immigrato non gradito a Johannesburg
Un immigrato non gradito a Johannesburg


L'AFRICA INIZIA A REAGIRE

 

Da anni, nel silenzio complice dei media e dei politici occidentali, i coloni boeri del Sudafrica sono oggetti di rapine, saccheggi assassini commessi da bande di negri. Oltre 3 mila bianchi, uomini, donne e bambini, sono stati massacrati nelle loro fattorie nell'ultimo decennio; la statistica è per difetto, perché è stata vietata la pubblicazione di statistiche su questi omicidi – “dissuadono gli investimenti esteri” – e la polizia comunque tende a non riportare i fatti.
Secondo una inchiesta indipendente (Genocide Watch) è un vero e proprio genocidio per odio razziale: lo dicono le modalità delle stragi, spaventose. Donne e bambini violentati prima di essere uccisi; uomini torturati per ore; famiglie intere aperte coi machete, le loro interiora appese come festoni alle porte; altri legati ai loro stessi automezzi e trascinati per chilometri, fino alla morte.
I leader dei partiti di sinistra stanno minacciando di “sgozzare tutti i bianchi, di eliminarli tutti entro cinque anni”, e a tal proposito vi offriamo l'articolo "li uccideremo tutti" del dicembre 2018.
Ma l'ondata xenofoba non si limita ai soli bianchi. Da anni molte comunità di cittadini di altri Paesi africani sono vittime di attacchi mirati in Sudafrica, dove quasi un terzo della popolazione è disoccupata. Centinaia di manifestanti si riversano sulle strade dei quartieri periferici e saccheggiano e distruggono negozi di stranieri. Secondo la stampa locale la richiesta della folla inferocita è sempre la stessa: rimandare a casa bianchi e migranti negri di altri paesi.

Conoscendo la loro crudeltà, la loro invidia, la loro assoluta mancanza di freni inibitori, mi domando se con la nostra accoglienza senza limiti ai “migranti” africani, ci stiamo procurando da noi stessi un simile problema!