Translator
Translator

Africa Ultime Notizie 2021



Africa Breaking News 2021
Africa Breaking News 2021

 

 

Africa Breaking News 2021

 

Africa Ultime Notizie 2021

 

Notizie dal continente dimenticato


Donne e bambine a Cabo Delgado
Donne e bambine a Cabo Delgado

15 dicembre 2021
MOZAMBICO. CENTINAIA DI RAGAZZE SCHIAVE VENDUTE DALL’ISIS A 1.600 EURO

Un’indagine di Human Rights Watch svela l’incubo di almeno 600 donne e ragazzine mozambicane rapite dai jihadisti

Rapite, diventate schiave del sesso e vendute o restituite dopo il pagamento di un riscatto milionario. È stata questa la sorte imposta dai jihadisti a centinaia di ragazzine mozambicane di Cabo Delgado, nell’estremo nord del Mozambico al confine con la Tanzania.
L’indagine Di Human Rights Watch. Un’indagine di Human Rights Watch (HRW), pubblicata il 7 dicembre, svela l’incubo, vissuto tra il 2018 e il 2021, di almeno 600 donne e ragazzine mozambicane. Responsabile di tutto ciò è il gruppo jihadista Al Sunnah wa-Jammà (ASWJ), chiamato dalla popolazione Al-Shabab o “mashababos”.
L’ong per i diritti umani, tra agosto 2019 e ottobre 2021, ha intervistato 37 persone. “Erano ex rapiti, loro parenti, fonti di sicurezza e funzionari governativi e ha monitorato i rapporti dei media sui rapimenti. I mashababos, durante gli attacchi in vari distretti di Cabo Delgado, hanno rapito donne e ragazze. I rapimenti sono avvenuti anche a Mocimboa da Praia, quartier generale jihadista, a marzo, giugno e agosto 2020, e Palma nel marzo 2021.
Le oltre duecento adolescenti sparite. Una funzionaria locale, sotto minaccia delle armi degli islamisti, è stata obbligata a mostrare le case dove c’erano ragazzine tra 12 e 17 anni. È successo a Diaca, cittadina a una sessantina di chilometri a sud-ovest di Mocimboa da Praia. La donna ha contato 203 ragazze. Un testimone ha riferito che le madri delle giovani imploravano di non prendere le figlie offrendosi al loro posto. “Uno dei mashabo ha detto che non volevano donne anziane con bambini e malattie”, ha raccontato.
Ragazze schiave del sesso o vendute a stranieri per 1.600 Euro. Secondo le informazioni raccolte da HRW, Al Sunnah wa-Jammà ha costretto le donne e le ragazze rapite più giovani a sposare i suoi combattenti. Sono le giovani dall’aspetto sano e con la pelle più chiara. Quelle con la pelle scura diventano schiave e vengono abusate sessualmente dai combattenti al ritorno da ogni attacco terroristico..
Altre sono vendute ai jihadisti stranieri a un prezzo compreso tra 530 e 1.600 euro. Per le donne e le ragazze rapite di origine indiana o pakistana viene chiesto un riscatto alle famiglie.
Le due ragazzine rilasciate per 13 mila Euro. Le due figlie adolescenti di Fatimah sono tra quelle rapite di origine straniera. “Il padre delle ragazze ha ricevuto una telefonata da qualcuno che sosteneva di essere un leader di Al-Shabab. Ha chiesto un riscatto di 1 milione di meticais (13.300 euro) per rilasciare le sue due figlie”, si legge nell’indagine di HRW. Dopo aver pagato il riscatto, le ragazze sono state rilasciate e la famiglia è fuggita a Dar es Salaam, Tanzania. Fatimah a raccontato: “Le mie figlie sono profondamente traumatizzate. La più giovane non parla con gli uomini, nemmeno con suo padre. Ha incubi di notte e si rifiuta di andare a scuola”.
La guerra si é spostata da Cabo Delgado al Niassa. “Negli ultimi quattro anni, ASWJ ha commesso più di mille attacchi contro obiettivi militari, governativi e contro la popolazione civile – sostiene il rapporto -. I distretti di Cabo Delgado Macomia, Mocimboa da Praia, Muidumbe, Nangade, Palma e Quissanga sono quelli assaltati dai jihadisti”. Il gruppo Al Sunna wa-Jammà, era operativo a Cabo Delgado dall’ottobre 2017, nell’aprile 2018 ha giurato fedeltà allo Stato Islamico. Nell’agosto 2019 l’ISIS, attraverso la Provincia dell’Africa centrale dello Stato islamico (ISCAP), in Congo-K, l’ha riconosciuto come affiliato. Sino ad oggi la guerra a Cabo Delgado ha causato oltre 3.100 morti e oltre 830 mila sfollati. La missione dei Paesi SADC e dei militari ruandesi – in totale circa 4.000 soldati – ha interrotto le violenze jihadiste. Ora gli attacchi degli insorti si sono spostati a ovest di Cabo Delgado, nella provincia del Niassa. Le forze militari mozambicane, ruandesi e della SADC hanno salvato alcune donne rapite, ma la maggior parte rimangono disperse.
By Africa Express


Aeroporto di Cape Town, vuoto
Aeroporto di Cape Town, vuoto

10 dicembre 2021
SUDAFRICA. NONOSTANTE SIA MENO GRAVE LA VARIANTE OMICRON METTE IN GINOCCHIO IL PAESE


Durante una conferenza stampa, tenutasi a New York una settimana fa, il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, ha manifestato disappunto per la chiusura delle frontiere, misura precauzionale messa in atto da molti governi per arginare la trasmissione di omicron, la nuova variante del temibile virus. “L’unico modo per ridurre il rischio di trasmissione pur consentendo i viaggi sono ripetuti test sui viaggiatori, insieme ad altre misure appropriate e veramente efficaci”
Secondo Guterres, le nuove restrizioni messe in atto da molti governi per arginare la nuova variante omicron sono inefficaci, oltre a essere ingiuste e punitive. Anche il presidente della Commissione dell’Unione Africana, Moussa Faki Mahamat, ritiene che le restrizioni dei viaggi siano assolutamente ingiustificate.
Guterres è d’accordo con gli scienziati, bisogna insistere sulle vaccinazioni. Tutti devono avere la possibilità di immunizzarsi. Il virus si evolve rapidamente proprio perchè a livello mondiale la percentuale delle persone vaccinate è ancora bassa, tutti devono avere accesso alla prevenzione contro il covid. Un monito del capo dell’ONU, espresso già più volte in passato.
Omicron si è manifestato a novembre in Sudafrica, nella provincia di Gauten, dove si trovano la capitale amministrativa Pretoria e quella economica, Johannesburg.
Mercoledì scorso sono stati registrati ben 20 mila nuovi casi di covid-19 in Sudafrica e, in base al rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, dalla scorsa settimana i contagi sono più che raddoppiati.
Tra il 14 novembre e l’8 dicembre sono stati ricoverati 1.633 pazienti affetti da coronavirus negli ospedali dell’area metropolitana di Pretoria, dove è stato segnalato il primo caso di omicron. Il 31 per cento dei malati sono in terapia intensiva, mentre durante la prima ondata di covid sono stati più del doppio, 67 per cento, mentre all’inizio della seconda il 66. Le morti accertate dall’inizio della scoperta della nuova variante sono “solamente “ 22.
Nell’ultimo rapporto pubblicato da National Institute for Communicable Diseases (NICD) non è stato ancora precisato se i pazienti in gravi condizioni siano stati vaccinati o meno.
Dai primi accertamenti sembra che omicron sia più trasmissibile delle precedenti varianti, con sintomi meno gravi e dunque i livelli di ospedalizzazione sono inferiori, soprattutto nei pazienti vaccinati. Gli scienziati di NICD hanno sottolineato che lo studio sulla nuova variante sta andando avanti, ma necessita ancora di peer-review (nell’ambito scientifico, è la procedura di valutazione e di selezione degli articoli o dei progetti di ricerca effettuati da specialisti del settore per verificarne l’idoneità alla pubblicazione) e i casi più gravi potrebbero presentarsi solo nel pieno della quarta ondata.
Le nuove ripercussioni economiche sono devastanti per il Sudafrica. Ora il presidente, Cyril Ramaphosa è ancora indeciso se introdurre un nuovo look-down ridotto, eventuali provvedimenti saranno presi dopo la prossima riunione con il comitato scientifico sudafricano. E qualche giorno fa il capo di Stato ha lanciato un nuovo appello alla popolazione: “Il Sudafrica ha ora forniture sufficienti di vaccini, la vaccinazione è essenziale per la nostra ripresa economica”.
Gran parte dei Paesi del continente africano sono a corto di vaccini; solamente il 7,5 percento della popolazione ha completato il piano vaccinale. Ma in Nigeria sono state perse quasi un milione di dosi e, secondo una fonte interpellata da Reuters, sarebbero arrivate a quattro-sei settimane dalla scadenza e non sarebbe stato possibile procedere tempestivamente alle somministrazioni, nonostante gli sforzi delle autorità sanitarie nigeriane.
Eppure nello Stato più popoloso del continente, solamente al 4 per cento degli adulti sono stati sottoposti a un ciclo vaccinale completo.
Il gigante dell’Africa ha ricevuto quasi un milione dosi di AstraZeneca, provenienti dall’Europa e fornite tramite COVAX (ente creato e guidata dalla Global Alliance for Vaccines and Immunization (GAVI), l’OMS, la Coalition for Epidemic Preparedness Innovation (CEPI), il programma fa parte del progetto Access to COVID-19 Tools Accelerator, iniziativa avviata nell’aprile 2020 dall’OMS, dalla Commissione europea e dal governo francese in risposta alla pandemia).
A livello mondiale rappresenta la più grande partita andata persa. La breve durata di conservazione dei vaccini donati non aiuta le nazioni africane, che spesso hanno un sistema sanitario fragile e vulnerabile. Il personale sanitario è insufficiente, altrettanto i mezzi per conservare i vaccini – frigoriferi e generatori, in quanto manca spesso la corrente elettrica – e non va assolutamente sottovalutato il problema del trasporto nelle zone remote e difficilmente accessibili.
Il mese scorso, alcuni Paesi, tra questi Sud Sudan e Repubblica Democratica del Congo (entrambi a corto di vaccini) hanno dovuto rimandare al mittente migliaia di dosi, perché non sono riusciti a distribuirli in tempo. E tutto ciò non aiuta a debellare il virus, anzi aumenta le disuguaglianze, l’apartheid dei vaccini.
By Africa Express


Uhuru Kenyatta, presidente del Kenya.
Uhuru Kenyatta, presidente del Kenya.

16 settembre 2021
KENYA: SCONTRI, SCUOLE BRUCIATE E VIOLENZA: COSÌ IL PAESE SI PREPARA ALLE PRESIDENZIALI DEL 2022

Tra meno di un anno in agosto 2022, avranno luogo le elezioni presidenziali e quelle per i senatori e deputati del Kenya. Nei mesi antecedenti la campagna ufficiale, si assistono a segnali non tanto velati di un solito rimescolamento delle alleanze che si tessono per assicurarsi un “posto a tavola” alla guida del Paese. Naturalmente non si tratta di scontri tra ideologie o sensibilità politiche diverse ma solo di lotte per acquisire potere e privilegi.

Il primo elemento palese è la forte fluidità (e forse immaturità) di queste alleanze: allorquando il Kenya nel 2017 confermava un bipartito classico composto dalle solite coalizioni tribali (Kikuyu, di cui fa parte il Presidente Kenyatta, e Kalenjin, del defunto presidente Moi, con Ruto oggi come Vice Presidente), ora il baricentro sembra palesarsi verso una ricomposizione di leadership Kikuyu-Luya-Luo con una moltitudine di cespugli e ciuffetti etnici minori, che si attaccano al carro del vincitore.
Il tutto accade in modo disinvolto, anche se la matematica elettorale è scandita dal metronomo etnico Kikuyu, attorno cui varie maggioranze spontanee e di convenienza possono comporsi in subalternità.
A un anno dunque dalle elezioni, per le quali gli osservatori internazionali non sono certamente ottimisti, le schermaglie sono iniziate a tutti i livelli della società. In tutte le contee del Paese si assiste al ritorno di leitmotiv ricorrenti sostanzialmente di tipo economico, ovviamente nobilitati da eleganti principi di nessun interesse. In quelle attorno al Monte Kenya il ritornello è sempre lo stesso: l’appropriazione da parte di famiglie che una volta erano coloniali perlopiù britannichei di vasti appezzamenti di terra ora rivendicati dalle popolazioni locali che nel parecchio tempo fa hanno sofferto un’esproprio di terre.
Tali confische spesso hanno contorni confusi e sembra perlomeno strano che un latifondista voglia inimicarsi chi in fondo apporta valore, conoscendo le terre meglio del proprietario stesso.
Rimane tuttavia il fatto che questo giustizialismo un po’ becero avviene ad ogni elezione, proprio quando i candidati di alcune contee (Laikipia, Samburu, West Pokot e Baringo, circa 49,000Km quadrati di territorio) agitano gli spiriti con intenti dichiaratamente infiammatori.
Ne sa qualcosa la conservazionista italiana Kuki Gallman, che in due occasioni è stata presa a fucilate da parte di facinorosi che, aizzati a bella posta, hanno invaso il suo parco faunistico a Laikipia, con il solito motivo: invadere la terra per far pascolare il bestiame. Non senza dimenticare che le aree come quelle amministrate dalla nostra compatriota sono riserve faunistiche, ossia con animali selvaggi solitamente carnivori.
La contea di Laikipia si trova a meno di 200 chilometri a nord di Nairobi. Si tratta di un altopiano dominato dalla vista del Monte Kenya, la vetta più alta del Paese. Il parco faunistico di Kuki Gallman si chiama Ol Ari Nyiro, a sinistra in alto nell’immagine, e il suo nome significa “origine di molte sorgenti”.

L’ultima “punizione” mirata, a fucilate, inflitta alla Gallman data di maggio scorso. Successivamente nella contea sono scoppiati violenti disordini.
La punizione generale invece, ha investito ultimamente proprio gli indigeni che in un modo o l’altro beneficiano degli sforzi dei proprietari terrieri non autoctoni intenti a mantenere in condizioni di sostenibilità le terre, sviluppando un equilibrio tra fauna e agricoltura: da un lato un’inestimabile valore in termini di conservazione delle specie in via di estinzione e dall’altra l’unica risorsa reale dei locali.
Una contraddizione sfociata in un conflitto reale che dura da decenni: difficile conciliare carovane di turisti che portano e pagano in valuta pregiata per vedere e fotografare elefanti e leopardi, con esigenze dei pastori e contadini locali interessati a pascoli per le loro mandrie o terreni per coltivare e vivere…..
Scuole bruciate, uccisioni, risse al machete che hanno spinto il Ministro dell’Interno Matiang’i a inviare sul posto truppe di élite per ristabilire l’ordine. I politici locali, dal canto loro, in cerca di un nuovo scranno continuano a gettare olio sul fuoco, provocando incidenti che coinvolgono anche quegli elettori che tra meno di un anno si esprimeranno.
Ma c’è di più. Qualcuno interessato a provocare disordini scheda i proprietari terrieri e sobilla pastori e contadini nella speranza che cresca il loro astio. Hanno buon gioco grazie ai social media che amplificano notizie spesso imprecise, molto più spesso errate e soprattutto infiammatorie degli animi. Ecco, come prova, questo Tweet di un certo Ali Mahamud che all’anagrafe è di identità incerta, e potrebbe essere un politico della contea vicina di Marsabit, o un passato Governatore o un semplice identitario affiliato al campo dell’aspirante Presidente 2022 William Ruto. Ali Mahamud pubblica la lista dei proprietari terrieri tutti regolarmente non Kenioti, con solerzia di dettagli falsi e, a volte, anche coloriti.

L'eiaculazione attacca ovviamente i presunti proprietari terrieri di quelle zone, adducendo banalità non verificabili.
La prima della lista, come detto oggetto di colpi d’arma da fuoco due volte in quattro anni, governa un parco faunistico proprio nella Contea. Già immagino la sua felicità nel vedersi associata a propositi provocatori che poco si confanno alla sua natura, allo spirito con il quale spesso ha difeso con unghie e denti questo angolo di natura incontaminata.
Gli altri proprietari terrieri della zona sono elencati con una certa malizia, il totale delle terre detenute è ovviamente calcolato per eccesso e non è del tutto reale, ma neanche i posti elencati sono tutti nella contea di Laikipia che, secondo le statistiche correnti, copre 8,696 chilometri quadrati. Un chilometro quadrato equivale a 247.11 Acri.
Per esempio il decimo della lista è uno dei soci fondatori della nota marca “Puma” e ha investito parecchio denaro per destinare la proprietà a riserva faunistica.
Il quattordicesimo terreno è di proprietà di una delle famiglie britanniche più longeve del Kenya, uomini politici, governatori e lady Delamere sindaca di Nairobi nei primi anni Sessanta, ai tempi di Jomo Kenyatta, il primo presidente.
Se avete voglia di leggere qualche pettegolezzo sulle proprietà in questione, andate qui: The aristocratic class that owns huge tracts of land in Kenya.
Se invece volete trarne una morale, pensate che queste terre, magari un secolo addietro o più, sono passate di mano per atto d’imperio, ma da quel momento in poi sviluppi successivi hanno portato benefici per tutti, compresi lavoro e ricchezza alla comunità locale.
Questo tipo di giustizialismo un po’ stantio certamente non giova alla classe più povere del Kenya ma neppure alle classe media e lavoratrice.. Piuttosto giova all’imbelle classe politica per affermare le sue ambizioni. La si potrebbe leggere come la versione locale di un populismo vernacolare che attizza qualche spirito sconnesso per incassare voti prebende a spese dei poveracci usaticome massa di manovra.
By Africa Express

Contea di Laikipia.
Contea di Laikipia.
Kuki Gallman accanto al cadavere di un elefante appena abbattuto dai bracconieri
Kuki Gallman accanto al cadavere di un elefante appena abbattuto dai bracconieri
Proprietari terrieri nella Contea di Laikipia
Proprietari terrieri nella Contea di Laikipia


Coronavirus variante delta
Coronavirus variante delta

17 luglio 2021
TERZA ONDATA DI COVID-19

La mancanza di vaccini mette in ginocchio l’Africa

“La mancanza di vaccini in Africa è inaccettabile“, ha affermato il numero due della Banca Mondiale, Axel van Trotsenburg, a Abidjan (Costa d’Avorio), dove giovedì scorso si è svolto un vertice dell’Agenzia internazionale per lo sviluppo (Ida) della Banca Mondiale in presenza di una quindicina di capi di Statobr/>. “E’ davvero intollerabile, ha sottolineato van Trotsenburg, che finora sia stato vaccinato solamente l’1 % della popolazione del continente (1,5 per cento secondo l’OMS n.d.r.) Dobbiamo fare di più, molto di più”. Durante il vertice – IDA20 – si è discusso sulla ricostituzione dei fondi e delle risorse dell’Agenzia per rilanciare l’economia dei Paesi africani fortemente in crisi a causa della pandemia.
Intanto diversi Paesi del continente sono già stati colpiti da una nuova ondata di covid-19. E, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nell’ultima settimana le morti causate dal virus sono aumentate del 43 per cento, ossia 6.273 contro le 4.384 della scorsa settimana. Attualmente i Paesi maggiormente colpiti sono Namibia, Sudafrica, Tunisia, Uganda e Zambia, dove è stato registrato l’83 per cento dei decessi totali in Africa.

Namibia:
Da metà giugno il governo ha messo in atto diverse restrizioni volte a arginare il propagarsi della pandemia. Due settimane fa è stato anche prolungato di un’ora il coprifuoco, che ora è fissato cioè dalle 21.00 alle 04.00, Mentre sono rimasti invariati gli altri provvedimenti, come gli spostamenti non indispensabili da una provincia all’altra, la vendita di alcolici è autorizzata solamente da lunedì a giovedì dalle 09.00 alle 18.00 e sono vietati assembramenti pubblici oltre dieci persone.
L’aeroporto internazionale Hosea Kutako di Windhoek è operativo, i viaggiatori non residenti devono presentare un tampone PCR eseguito non oltre 7 giorni prima del loro arrivo nel Paese, e, naturalmente resta in atto l’obbligo di portare le mascherine nei luoghi pubblici.
Gli unici valichi di frontiera aperti ai turisti sono Katima Mulilo, Ariamsvlei e Noordoewer e, via mare, Walvis Bay Harbor.
Due giorni fa le autorità di Windhoeck hanno annunciato che le misure messe in campo resteranno in vigore fino al 30 di luglio.

Ruanda:
Il governo ha annunciato proprio questa settimana un nuovo lockdown di due settimana nella capitale Kigali e in altri 8 distretti. Resteranno aperti solamente negozi di generi alimentari e di prima necessità, servizi sanitari e banche.
Tutti gli impiegati pubblici svolgeranno le loro mansioni da casa, eccetto coloro che operano in settori che richiedono la presenza sul posto di lavoro. Mentre restano chiuse le scuole di ogni ordine e grado. Il coprifuoco, in vigore dalle 18.00 alle 04.00, è esteso su tutto il territorio nazionale.
L’aeroporto internazionale della capitale resta aperto e le attività turistiche potranno continuare in osservanza delle norme sanitarie vigenti. I viaggiatori verso mete internazionali dovranno presentare un test covid negativo effettuato entro 72 ore. Le misure restrittive si sono rese necessarie dopo una nuova impennata di contagi.

Senegal:
La ex colonia francese ha registrato un nuovo picco di contagi tre giorni fa; il tasso di positività è schizzato al 25 per cento con 733 nuovi casi. Finora il consiglio dei ministri non ha voluto imporre nuove restrizioni.
Il presidente, Macky Sall ha chiesto la collaborazione dei leader religiosi per far rispettare l’uso delle mascherine, limitazione degli assembramenti. Sall ha anche sottolineato la necessità di procedere quanto prima con la campagna vaccinale.
Le persone immunizzate sono solamente 591.000, su una popolazione di 16 milioni. Molti sono diffidenti nei confronti del vaccino, comunque va sottolineato che le dosi a disposizione scarseggiano in parecchi centri vaccinali. Il sindacato dei medici ha già allertato il governo di un eventuale rischio di sovraffollamento delle strutture sanitarie in vista di una recrudescenza della pandemia e ha chiesto alle autorità di vietare ogni tipo di assembramento, sia religioso, culturale o politico.
L’epicentro della nuova ondata di covid-19 è Dakar, dove si sono verificati oltre la metà dei nuovi contagi. La situazione potrebbe facilmente degenerare nei prossimi giorni, in vista del Tabaski, la festa del sacrificio, particolarmente sentita e celebrata in Senegal. Il Tabaski è occasione di assembramenti e di viaggi attraverso tutto il Paese per raggiungere parenti e amici. A marzo il governo aveva tolto tutte le restrizioni, come coprifuoco e quant’altro, dopo imponenti manifestazioni in strade e piazze.
Qualora i contagi dovessero proseguire l’attuale trend, le autorità non escludono di dover ricorrere a un nuovo lockdown, coprifuoco, chiusura delle frontiere, divieto di spostamenti all’interno del Paese e altro. Lo ha annunciato Sall proprio ieri sera.

Sudafrica:
Domenica scorsa il presidente sudafricano, Cyril Ramaphosa, ha esteso le misure anti-covid 19 per altre due settimane. Le restrizioni messe in campo comprendono anche il divieto di assembramenti, la vendita di alcolici e un coprifuoco dalle 21.00 alle 04.00.
Per stessa ammissione del capo di Stato, gli ospedali e tutto il sistema sanitario del Paese sono tutt’ora sotto forte pressione. Dall’inizio del mese i casi di covid-19 sono in forte aumento, fino a 26mila al giorno.
Le immunizzazioni procedono a rilento, finora sono state vaccinate 4,2 milioni di persone su una popolazione di 60 milioni. Il governo spera di poter raggiungere l’obiettivo di 300 mila somministrazioni giornaliere entro la fine di agosto.
E come la pandemia non bastasse, il Paese dell’Africa australe è stato investito anche da un’ondata di disordini, scoppiati inizialmente per l’arresto per corruzione dell’ex presidente Jacob Zuma. Presto i disordini sono sfociati in vere e proprie proteste e rivolte contro la fame, che hanno portato a saccheggi e distruzione di supermercati e negozi.
Durante le insurrezioni, dovute anche alle disuguaglianze che persistono a tutt’oggi in gran parte del Sudafrica, malgrado l’abolizione da oltre un trentennio della supremazia della minoranza bianca, sono morte oltre 200 persone. La polizia ha arrestato 2.500 cittadini, sospettati di essere coinvolti in gravi atti di violenza.
Ora, secondo le autorità di Pretoria, sembra essere tornata la calma nella maggior parte delle aree coinvolte, ma i costi dei danni provocati sono enormi.

Tunisia:
Dall’inizio del mese i casi di covid-19 sono cresciuti in modo esponenziale, mettendo gravemente in ginocchio il sistema sanitario tunisino. I morti sono in continuo aumento, basti pensare che nella sola giornata di giovedì sono deceduti 147 pazienti, nei giorni precedenti si è arrivati anche a 170, secondo quanto riferito da Yves Souteyrand, rappresentante dell’OMS nel Paese, che ha precisato: “1.000 decessi in una settimana sono parecchi per un Paese di 12 milioni di abitanti”.
Finora è stato vaccinato solamente il 6 per cento della popolazione, e anche al presidente, Kaïs Saïed è stata inoculata la prima dose solamente pochi giorni fa. Il governo ha persino sguinzagliato l’esercito in alcune regioni per accelerare le immunizzazioni. Servirà forse a poco in quanto le dosi a disposizione non sono sufficienti, come del resto nella maggior parte degli Stati del continente.
Marocco e Francia hanno promesso l’invio di un milione di vaccini. Il ministero degli Esteri di Rabat ha annunciato che il regno sosterrà Tunisi anche con aiuti sanitari, che comprendono mille respiratori, due generatori di ossigeno e due unità di rianimazione complete e autonome per un totale di 100 posti letto.
Anche le associazioni della diaspora all’estero si sono mobilitate con raccolte di fondi grazie agli appelli lanciati via Facebook e altri social network.
La variante delta è responsabile in misura del 50 per cento dei nuovi casi registrati quotidianamente, tra 8.000 e 9.000. Di fronte a una tale emergenza gli ospedali non riescono a rispondere in modo adeguato e il personale sanitario si vede spesso nell’impossibilità di isolare tutti i pazienti affetti da covid-19 dagli altri malati.

Uganda:
Il ministro dell’Informazione ugandese, Chris Baryomunsi, ha accusato l’Occidente per la sua incapacità di fornire vaccini ai Paesi del continente africano, che necessita cento milioni di dosi con la massima urgenza per contrastare la terza ondata di covid-19.
“Finora l’Uganda ha immunizzato oltre un milione di persone, purtroppo non riusciamo ad ottenere altre fiale, pur avendo il denaro per poterle pagare”, e, senza mezzi termini il ministro ha detto ai reporter del The Guardian: “L’Occidente ha concentrato l’attenzione per lo più sulle proprie popolazioni e a questo punto sembra evidente che mostri poco interesse nei confronti degli africani”.
Già da metà giugno l’Uganda ha introdotto misure severe per contrastare i contagi da covid-19. Il presidente Yowreri Museveni, rieletto all’inizio dell’anno per un sesto mandato, ha detto che la variante indiana, più aggressiva delle precedenti, ha investito anche il suo Paese.
Grazie alle nuove norme anti-covid, i contagi hanno registrato una flessione negli ultimi giorni, passando da 1.700 e più al giorno a 500. A tutt’oggi il nuovo lockdown è ancora in atto, compreso il coprifuoco dalle 21.00 alle 05.30.
I trasgressori alle restrizioni anti-covid emanate dal governo sono puniti severamente e rischiano anche 2 mesi di prigione se colti in fragranza di reato.

Zambia:
Anche lo Zambia è stato investito pesantemente dalla terza ondata della pandemia. Il 16 giugno scorso, il presidente Edgar Chagwa Lungu, ha imposte rigide norme per contenere il propagarsi del virus. Scuole chiuse, eccetto superiori e università che possono proseguire le lezioni ma non presenza. Ristoranti e bar sono operativi solo per l’asporto. Sospesi festeggiamenti per matrimoni, il divieto è stato esteso a altre celebrazioni e ai funerali non possono assistere più di 50 persone. Conferenze, work-shop e altri meeting in presenza sono proibiti fino a nuovo avviso. Anche le funzioni religiose hanno subito limitazioni.
Il dettaglio delle attuali restrizioni sono state pubblicate nuovamente ieri sull’account facebook del ministero della Sanità zambiano. Nel post si legge che il 15 luglio le misure restrittive sono state riconvalidate fino a prossimo avviso. Tuttavia negli ultimi giorni si sono registrati leggeri miglioramenti rispetto al picco dei contagi di fine giugno e inizio luglio.

Zimbabwe:
All’inizio della settimana il presidente, Emmerson Mnangagwa, ha esteso il lockdown, in vigore dalla fine di giugno, per altre due settimane. Il capo di Stato spera che nel frattempo possano essere immunizzate un altro milione di persone (finora solo al 9 per cento è stata inoculata una dose e al 3,4 anche la seconda, su una popolazione di 15 milioni), dopo l’arrivo di altrettanti vaccini.
Malgrado le attuali restrizioni, i contagi stanno ancora aumentando a un ritmo allarmante, dovuto alla variante delta. E, se fino a poco tempo fa la pandemia aveva colpito per lo più i residenti delle città, ora ha raggiunto anche le aree rurali, dove l’assistenza sanitaria è insufficiente e inadeguata per curare i malati di covid-19. Mancano le bombole di ossigeno, materiale protettivo per medici e paramedici, e, soprattutto, reparti di isolamento.
By Africa Express


Operatori sanitari in Africa
Operatori sanitari in Africa

26 giugno 2021
OMS: AUMENTO PREOCCUPANTE COVID-19 IN AFRICA

Terza ondata e variante delta creano preoccupazione

Il Continente africano è alle prese con un aumento senza precedenti dei casi di Covid-19, a causa dell’arrivo, dallo scorso maggio, della terza ondata del virus e di varianti che hanno maggior presa sulle popolazioni africane, in corrispondenza con la stagione fredda e delle piogge che interessano specialmente le zone subsahariane e con un allentamento delle misure di contenimento da parte di molte nazioni e relativi cittadini.
L’allarme è stato lanciato dalla direzione continentale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dal Centro Africano per la prevenzione e il controllo delle malattie (Africa CDC).
Il direttore regionale dell'OMS per l'Africa Matshidiso Moeti, ha ammesso che il continente è alle prese con un'impennata dell'infezione da Covid-19 e ha avvertito della pericolosità dei nuovi ceppi arrivati nel continente, che agiscono con maggiore incisività nelle patologie preesistenti, mettendo in guardia le istituzioni e richiamando tutti ad una stretta osservanza dei protocolli di salute pubblica.
“La terza ondata si sta diffondendo con maggiore velocità delle precedenti – ha spiegato Moeti - e sta colpendo più duramente le persone vulnerabili. Il numero di casi nelle ultime cinque settimane è in rapido aumento e arrivano segnalazioni crescenti di malattie gravi. Così questa ondata minaccia di essere la peggiore mai sperimentata dall'Africa”.
Le statistiche dell'Africa Centre for Disease Control and Prevention (Africa CDC) indicano che il continente ha avuto 5.288.323 casi di Covid-19 e 139.226 vittime secondo i dati a tutto giovedì 24 giugno 2021.
Sono cinque i Paesi che hanno registrato fino ad ora più della metà dei casi segnalati: Sudafrica, Marocco, Tunisia, Egitto ed Etiopia che insieme raggiungono il 62% del totale.
Tra le nazioni in cui le positività e i decessi sono in netta ascesa ci sono anche quelle vicine al Kenya, come Uganda e Ruanda, mentre la Tanzania è stata messa sugli scudi dalle organizzazioni internazionali per la mancanza di dati attendibili, pur avendo ammesso, dopo la morte del Presidente “negazionista” John Magufuli, la presenza del virus e l’aumento di casi nel paese. Secondo Matshidiso Moeti, la variante delta, che si è inizialmente diffusa in India e da qui è stata portata in Africa, è stata già rilevata in 14 paesi e nell'ultimo mese è apparsa nella maggior parte dei campioni analizzati anche in Zambia e nella Repubblica Democratica del Congo.
Il direttore dell’OMS per l’Africa ha detto che ora la priorità per i laboratori del continente è quella di aumentare la capacità di monitorare e identificare le nuove varianti preoccupanti, per aumentare le misure di mitigazione, tra cui la diagnosi e il trattamento tempestivi.
by Malindikenya.net


Ambulanze in attesa di poter entrare a Togoga, Tigray, Etiopia
Ambulanze in attesa di poter entrare a Togoga, Tigray, Etiopia

23 giugno 2021
TIGRAY: CARNEFICINA AL MERCATO BOMBARDATO, 80 VITTIME, BLOCCATI I SOCCORSI


C’era molta gente ieri al mercato di Togoga, una cittadina nel Tigray, non lontana dal capoluogo Makallé, quando verso le 13.00, durante un raid dell’aeronautica militare è stata sganciata una bomba. E’ stato un massacro.
Almeno 80 tra morti e feriti e il bilancio è ancora provvisorio. Getnet Adane, portavoce militare del governo etiopico non ha né confermato, ma nemmeno negato il bombardamento.
Tanti morti. Troppi. Una testimone oculare ha riferito che l’aeroplano è piombato sul mercato all’improvviso: “Non ci siamo accorti e non abbiamo fatto in tempo a scappare – ha riferito una donna ai reporter di Reuters -. Siamo tutti corsi fuori dal mercato, ma dopo un po’ abbiamo dovuto e voluto rientrare per cercare di assistere i feriti. Anche mio marito e mia figlia di due anni sono stati colpiti”.

Un medico dell’ospedale di Makallé ha raccontato che gli operatori sanitari una volta arrivati sul luogo del disastro hanno potuto contare oltre ottanta vittime. Ma il bilancio dei morti e feriti è ancora provvisorio.
Forse molte persone avrebbero potuto essere salvate, invece le truppe di terra dell’esercito di Addis Ababa presenti a Togoga, non hanno permesso il trasferimento dei feriti nel nosocomio del capoluogo. Solamente 8 persone hanno raggiunto il pronto soccorso di Makallè, tra questi anche 3 bambini. L’ autista di un’ambulanza ha riferito di aver provato ben 4 volte a raggiungere Togoga, i soldati lo hanno bloccato ogni volta e così è accaduto a tutti gli altri mezzi di soccorso.

Brutalità senza fine. Un bimbo di appena 6 mesi, con gravi ferite all’addome, è stato bloccato nell’ambulanza per oltre 2 ore. E’ poi morto durante il tragitto, forse si sarebbe potuto salvare se fosse stato curato in tempo. “Ci è stato vietato di prestare soccorso. Hanno detto che se avessimo aiutato i feriti, avremmo dato una mano al nemico, cioè al Tigray People’s Liberation Front“, ha spiegato un operatore sanitario. Il TPLF era al potere nel Tigray fino all’inizio del conflitto. E’ stato poi spodestato dal governo di Addis Ababa nel novembre 2020.
In sette mesi di guerra oltre due milioni di persone hanno dovuto lasciare le loro case e 60 mila e più si sono rifugiati nel vicino Sudan. In questo periodo entrambi i contendenti hanno ucciso migliaia di persone.: truppe governative etiopiche con l’appoggio di quelle eritree – che utilizzano anche militari somali – e amhara da un lato e tigrini del TPLF dall’altro.
Ora si teme una carestia su ampia scala. All’inizio del mese le organizzazioni umanitarie hanno fatto sapere che 350 mila persone ne sono già colpite e, secondo recenti informazione dell’ONU, quasi il 90 percento della popolazione del Tigray necessita di aiuti umanitari. “E’ il dato più alto a livello mondiale”, ha specificato Marc Lowcock, sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari e Coordinatore dei soccorsi di emergenza, dopo la pubblicazione dell’ultima analisi di Integrated Food Security Phase Classification (Classificazione della fase di sicurezza alimentare integrata).
Le ONG hanno ancora difficoltà di portare gli aiuti in determinate zone, perchè respinti dai militari. Il primo ministro etiopico, Abiy Ahmed, Premio Nobel per la Pace 2019, al poter dal 2018, ha dichiarato qualche giorno fa di aver praticamente sconfitto i ribelli. Dal canto loro, i leader del TPLF hanno invece affermato il contrario e di aver riconquistato ampie zone del Tigray.
By Africa Express


RD Congo, il risveglio del Nyiragongo fa paura
RD Congo, il risveglio del Nyiragongo fa paura

27 maggio 2021
CONGO-K: IL RISVEGLIO DEL VULCANO NYIRAGONGO GOMA EVACUATA E 600 MILA PERSONE IN FUGA


Il vulcano Nyiragongo può eruttare ancora e rovesciare un lago di lava su Goma che minaccia di essere travolta. La popolazione è in fuga dopo che il governatore militare Constant Ndima del Nord-Kivu ha stabilito questa mattina l’immediata evacuazione di 10 quartieri della città. I video che pubblichiamo sono stati girati dallo stringer di Africa Express. Mostrano bene il caos che provocato da intasamento di vie e strade e anche al porto della città dove salpano i battelli per Cyangugu, all’estremità supposta del lago Kivu rispetto a Goma.
L’ordine di evacuazione riguarda seicentomila residenti. E, in un comunicato trasmesso attraverso le emittenti locali, il governatore ha spiegato che la situazione è assai critica: l’attività sismica e la deformazione del suolo indicano presenza di magma sotto la zona urbana di Goma e si sta espandendo, sempre muovendosi in profondità, in direzione del lago Kivu. E ha aggiunto: “Non si può escludere una fuoriuscita di lava sulla superficie terrestre o sotto il bacino. Potrebbe succedere anche fra poco, senza alcun preavviso”.
L’evacuazione è obbligatoria e i rischi sono amplificati per l’interazione della lava con l’acqua e dalla presenza di pericolose sacche di gas sotto il letto del lago Kivu.
Secondo un esperto consultato da Africa ExPress, che conosce bene la zona, una nuova eruzione del vulcano, oltre ai danni connessi, potenzialmente potrebbe innescare un evento catastrofico se la lava venisse a contatto con i 60 miliardi di metri cubi di gas metano presenti sotto il fondo del lago Kivu. Ricordando che sul bacino si affacciano, oltre alle congolesi città di Goma e di Bukau, anche, sulla sponda ruandese, Cyangugu, che si sta avviando ad essere la seconda città dell’ex colonia tedesca.
Inoltre, esiste la remota possibilità, che nel gergo dei specialisti viene chiamata “eruzione di tipo limnico“, di un raro disastro naturale che consiste nel rilascio improvviso di anidride carbonica (CO2), dalla profondità del lago Kivu, con conseguente disciogliendo nelle acque e soffocamento di flora e fauna.
L’ultima eruzione del vulcano Nyiragongo pochi giorni fa ha causato la morte di 2 persone e distrutto un centinaio di abitazioni. Altri sono morti in vari incidenti durante la grande fuga. La gente, malgrado le continue scosse sismiche, era ritornata nei propri quartieri e le attività commerciali stavano iniziando a riaprire, seppur con qualche difficoltà.
By Africa Express

Video Goma evacuazione
Video Goma evacuazione

In Malawi abolita la pena di morte
In Malawi abolita la pena di morte

17 maggio 2021
MALAWI: ABOLITA LA PENA DI MORTEA

Il Malawi abolisce la pena di morte e si aggiunge agli altri 21 Paesi dell’area subsahariana che hanno già abolito le esecuzioni capitalie

La Corte suprema del Malawi ha dichiarato incostituzionale la pena di morte e ha ordinato nuove sentenze per tutti i detenuti in attesa di essere sottoposti alla pena capitale. Il Paese dell’Africa meridionale, una striscia di terra tra Mozambico, Zambia e Tanzania, si aggiunge ai 21 Stati della regione subsahariana del continente che hanno già abolito le esecuzioni capitali. Secondo il più alto organismo della giustizia del Malawi, la condanna a morte non è compatibile con gli standard internazionali riguardanti i diritti umani. La massima pena nel Paese diventa così l’ergastolo. In Malawi la pena di morte era obbligatoria per tutti i detenuti condannati per i reati di omicidio o tradimento ed era prevista, ma opzionale, anche nei casi di stupro e furto in appartamento.

LAMNESTY INTERNATIONAL: “ULTIMA ESECUZIONE RISALIVA AL 1992”
Stando all’ong Amnesty International, però, le ultime esecuzioni sono state eseguite probabilmente nel 1992, quando vennero uccisi almeno 12 detenuti, e non oltre. Nel 1994, spiega la Dire (www.dire.it), il primo presidente eletto democraticamente dalla dichiarazione di indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1964, Bakili Muluzi, decise di non applicare più la pena capitale e commutò la sentenza di 120 prigionieri condannati a morte. La Malawi Human Rights Commission, un organismo statale, ha definito la decisione del più alto organismo della giustizia del Paese una scelta verso “il progresso” evidenziando che la pena di morte costituisce “un’abolizione del diritto alla vita”.


La disinformazione sessuale in kenya
La disinformazione sessuale in kenya

12 maggio 2021
SCIACQUI CON COCA-COLA, COSÌ LE GIOVANI KENIOTE CREDONO DI NON RESTARE INCINTE

La disinformazione sessuale in kenya

Sciacqui vaginali con cocacola e limone, così le adolescenti keniane credono di poter consumare rapporti sessuali non protetti senza rimanere incinte.
E’ uno degli inquietanti aspetti emersi da un summit sulla disinformazione sessuale da parte delle giovani condotto dall’associazione Youth Changers Kenya e resi noti durante un webinar organizzato dall’Agenda dei Giovani del Governo.
Molte ragazze intervistate hanno dichiarato di utilizzare questo metodo convinte che uccida gli spermatozoi, senza sapere che invece i frequenti lavaggi con la cocacola possono provocare danni agli organi riproduttivi.
La fondatrice di Youth Changers Kenya, Venoranda Rebecca Kuboka ha raccolto diverse testimonianze di adolescenti keniane, come riportato da un articolo del quotidiano Daily Nation. “Alcune ragazze assicurano che mettendo cocacola o limone nella propria vagina, non resteranno incinta, perchè “lavano via” gli spermatozoi - ha detto Kuboka durante il webinar – altre sono convinte che se non fanno sesso andranno incontro a problemi di ruggine o di ragnatele, questo perché qualcuno le ha convinte. Questo tipo di disinformazione deve essere affrontato e risolto attraverso un'educazione sessuale adeguata all'età”.
Rebecca Kuboka ha citato ad esempio l’Olanda, dove i giovani fin dalle classi elementari sono istruiti senza tabù sull’educazione sessuale e di conseguenza la percentuale di gravidanze adolescenziali è tra le più basse del mondo (4,8 ogni 1000 nascite).
“È molto importante capire che l'educazione alla sessualità non predispone i giovani a fare sesso, ma li rende consapevoli dei loro diritti – ha detto inoltre la presidente di Youth Changers - Sono quindi in grado di prendere le giuste decisioni”.
Il Kenya, ricorda il Daily Nation, è uno dei 20 paesi che hanno firmato un impegno ministeriale del 2013 sull'educazione sessuale completa e sui servizi di salute sessuale e riproduttiva per gli adolescenti e i giovani dell'Africa orientale e meridionale. Alla riunione ministeriale tenutasi a Città del Capo, in Sudafrica, hanno partecipato i ministri dell'istruzione e della salute.
Come implementare questo accordo, tuttavia, è stata una grande sfida in quanto diverse parti interessate, specialmente il clero, hanno opinioni radicali sull'educazione alla sessualità e sull'accesso ai servizi di salute riproduttiva.
D’altra parte, gli studi medici hanno stabilito gli effetti nocivi della pulizia della vagina con prodotti corrosivi o irritanti. Alcune sostanze chimiche contenute nella coca-cola possono danneggiare o irritare le cellule epiteliali vaginali e rettali aumentando così il rischio di trasmissione di malattie sessuali e dell’Aids, oltre che danneggiare l’apparato riproduttivo.
by Malindikenya.net


Cosa dicono le scritte sui camion del kenya
Cosa dicono le scritte sui camion del kenya

11 maggio 2021
COSA DICONO LE SCRITTE SUI CAMION DEL KENYA

Saggezza, sarcasmo e consigli "da strada"

Chiunque sia transitato sulle strade del Kenya e si sia trovato davanti un camion, un tir o un matatu, avrà sicuramente notato che quasi tutti hanno una scritta in swahili da qualche parte nel retro: può essere sul bordo superiore o inferiore, sopra la targa o sui parafanghi di gomma dura. Anche per chi non li capisce o nella migliore delle ipotesi ne cattura solo una o due parole, suonano come dei proverbi, delle sentenze, dei consigli. In effetti nella maggior parte dei casi lo sono, o al limite sono modi di dire spiritosi che nascondono la saggezza di strada o la goliardia dei proprietari dei mezzi e di chi li guida.
E’ un po’ la trasposizione di quello che sono le scritte sui kanga per le donne di Kenya e Tanzania, ovviamente in quel caso i detti e gli aforismi sono meno sarcastici e terra-terra di quelli da “camionista”, ma non per questo meno taglienti. (Per i Kanga vi rimandiamo a questo interessante articolo di una delle massime esperte dell’argomento, pubblicato dal nostro portale). Oggi si tende, specialmente sui matatu, a sostituire il swahili con l'inglese, ma l'effetto è meno poetico ed evocativo, anche per gli stessi keniani. Tra le migliaia che personalmente ho letto in oltre trent’anni e tra quelli che abbiamo fotografato nei nostri viaggi, ne segnaliamo alcuni come esempio di questa curiosa e radicata abitudine di “parlare” attraverso i veicoli.
UKIFANYA WEWE KEKI, MIMI SAMUSA NINA NYAMA NDADI. Letteralmente: “Se pensi di essere una torta, sappi che io sono una samosa e non una polpetta”. In poche parole, l’invito è quello di smetterla di credersi ciò che non si è e di essere sé stessi e non vergognarsene.
WE LALA UTAKIUTA UNACHOKIOTA Questa scritta è un invito a non sognare ad occhi aperti e a darsi da fare. La traduzione letterale è “Se dormi sempre, non puoi mangiare quello che sogni”.
USIONJE, UKIONA UTAZOEA E’ quasi il messaggio opposto di quello precedente: invita a non provare sempre cose nuove, a non darsi troppo da fare, perché tanto qualsiasi novità e qualsiasi entusiasmo diventerà presto un’abitudine. Insomma, secondo l’estensore del motto, accontentarsi è sempre l’abitudine migliore. “Non guardare, non provare o ne farai un’abitudine”.
UREFU NA UFUPI NI MAUMBILE, MIMBA NA UTAMBI NI BIDII YAKO Abbiamo preso ad esempio una delle tante scritte che riportano a frasi bibliche. Questa ricorda che siamo nati per innalzarci (verso il Sommo, si suppone) e che è Dio che decide quanto vivremo, ma le prove maggiori da superare per arrivare in alto sono la gravidanza e superare i travagli della salute. Letteralmente “L’altezza e la durata sono nella Natura, la gravidanza e le malattie sono il tuo sforzo”.
KUKU KALA MCHELE JIONI KALIWA NA WALI Questo aforisma più o meno ricalca il tema dell’essere e dell’apparire. Il messaggio cita testualmente: “Quando (di giorno) fai il pollo, colori il riso, poi la sera per il pesce sei riso in bianco”. Il riferimento è nel modo di cucinare il pollo byriani, in cui tradizionalmente si colora di arancione metà del riso e lo si chiama “Mchele”, mentre quando si mangia il pesce il riso che è bianco viene chiamato “wali”. Ma sempre riso è.
INZI AKIACHA UJINGA ANAWEZA TENGEZA ASALI Sui camion ogni tanto spuntano anche messaggi che invitano al sapere o quantomeno ad essere meno superficiali. Questo non ha bisogno di grandi spiegazioni, è un proverbio che può essere tranquillamente tradotto testualmente: “Se la mosca uscisse dalla propria ignoranza, potrebbe fare il miele”.
FILISIKA UJUE TABIA YA MKEO Non poteva spuntare, dai camionisti e driver, considerato anche il maschilismo ancora imperante in Kenya, una frase ironica sulle donne, particolarmente sulle consorti. Anche questa non ha bisogno di spiegazioni supplementari: “In bancarotta conosci il vero carattere di tua moglie”.
UKIKOSA TUMAINI UTAPATA TUMATUMBO Questa scritta è una delle più eloquenti di una certa filosofia dei keniani. E’ un invito a tenere duro, a non perdere la speranza, ma anche ad avere la consapevolezza che se non ci credi più, sai quello che ti aspetta. Letteralmente: “Se perdi la speranza, otterrai interiora”. Il riferimento è al cibo dei poveri per eccellenza, gli intestini degli animali. Insomma, qualcosa da mangiare lo troverai sempre, ma non sarà un granché. Vedi tu...
KAZI YA MOYO NA KUSUKUMA DAMU, LAKINI KUPENDA NI KIHEREHERE CHAKO Non poteva mancare un consiglio per la sfera emozionale. Qui l’autotrasportatore si trasforma in psicologo da quattro soldi, anzi da quattroruote e sentenzia che il vero amore passa dalla testa e non dal batticuore. Traduzione letterale: “Il cuore batte e pompa sangue per la circolazione, ma all’amore ci pensa il cervello”.
MSAFARA WA MAMBA MBURUKENGE HAWAKOSI JE WEE MJUSI? Terminiamo con una frase interrogativa, per proseguire il viaggio nella ricerca di una risposta che arrivi magari in contemporanea con un’area di sosta per fare i propri bisogni. Chiediamoci tutti: “Può una piccola lucertola viaggiare con una carovana di coccodrilli?”.
"Safari Njema", come si dice qui: buon viaggio!
by Malindikenya.net


Richiesta di aiuto evacuazione da Palma (Mozambico) assediata dai jihadistia
Richiesta di aiuto evacuazione da Palma (Mozambico) assediata dai jihadistia

9 aprile 2021
MOZAMBICO: 12 BIANCHI DECAPITATI DAI JIHADISTI DURANTE L’ASSEDIO DI PALMA

Un orribile massacro.

Sono stati scoperti i cadaveri di almeno dodici stranieri decapitati vicino all’hotel Amarula, a Palma, nella provincia di Cabo Delgado estremo nord del Paese. Un altro episodio di orrore in una provincia che dall’ottobre 2017 è sotto scacco dei terroristi islamici. “Non sono in grado di dire la nazionalità – ha detto Pedro da Silva, agente di polizia alla TV portoghese SIC – ma erano dodici stranieri. Di razza bianca”.

I cadaveri sono stati trovati la mattina di giovedì 8 aprile. Erano a un centinaio di metri dall’hotel che ospitava gli stranieri, attaccato e distrutto dai jihadisti di Al Sunnah wa-Jamma. Secondo il poliziotto, dal sangue sul terreno, se ne deduce che fossero stati decapitati sul posto e sotterrati alla meglio. Un atto atroce che somiglia ad una vera e propria esecuzione. È la prima volta che i jihadisti attaccano e massacrano stranieri a Cabo Delgado.

L’attacco jihadista a Palma è avvenuto il 24 marzo e per undici giorni quando le Forze di difesa e sicurezza mozambicane (FDS) hanno dichiarato di aver ripreso il controllo della città. Fino ad oggi non si conosce il numero ufficiale dei morti. Il governo ha dichiarato dozzine di decessi. Testimoni hanno affermato che nelle strade cittadine e sulla spiaggia c’erano cadaveri, anche decapitati, di adulti e bambini.

Migliaia di persone sono state salvate in un’ “operazione Dunquerque” con navi e battelli arrivati a Palma per trasportare la popolazione in porti sicuri. Altre decine di persone sono state salvate dai tre elicotteri dei mercenari di Dyck Advisory Group (DAG) che aiutano le Forze armane mozambicane (FADM). La maggior parte degli abitanti di Palma e scappata nella boscaglia o verso il vicino confine della Tanzania.

Tra i terroristi di Al Sunnah wa-Jamma, che hanno attaccato la città di Palma e ammazzato, “…c’erano anche bambini armati tra 9 e 12 anni”. Lo scrive il giornale mozambicano “Noticias” riportando la testimonianza di Pedro Rosario, guardia giurata della ITALSEC Segurança, residente a Palma.
By Africa Express


Elefanti in Botswana
Elefanti in Botswana

8 aprile 2021
BOTSWANA: APRE LA CACCIA ...

... e vende licenze per ammazzare 287 elefanti.

Il 6 aprile scorso è iniziata la stagione venatoria in Botswana. Per l’occasione il governo ha concesso licenze per l’uccisione di 287 elefanti. Non solo pachidermi, in vendita ci sono anche autorizzazioni per poter cacciare bufali, zebre e leopardi.
Insomma, le autorità di Gaborone vogliono mettere in moto l’industria della caccia malgrado la pandemia. La stagione dovrebbe concludersi il 21 settembre.

L’attuale presidente, Mokgweetsi Masisi, in carica dal 2018, ha dato il via libera, alla mattanza dei pachidermi, uno “sport” che era stato vietato dal suo predecessore Ian Khama. Masisi è convinto che la proliferazione incontrollata dei giganti dell’Africa minacci i mezzi di sostentamento, cioè i raccolti agricoli, della popolazione in alcune zone rurali.

Il Botswana ospita un terzo degli elefanti dell’Africa, si stima che attualmente ci siano 130.000 esemplari, 15.000 tra questi vivono nel Delta dell’Okavango, uno degli ecosistemi più insoliti del pianeta. Nel 1990 la presenza dei pachidermi nel Paese era nettamente inferiore. Allora si contavano solamente poco più di 90.000.

Va ricordato che lo scorso anno sono morti centinaia di elefanti e anche dall’inizio dell’anno fino a fine marzo sono state trovate altre 40 carcasse.
By Africa Express


Andry Rajoelina, presidente del Madagascar
Andry Rajoelina, presidente del Madagascar

3 aprile 2021
MADAGASCAR: L’INVENTORE DEL MIRACOLOSO INTRUGLIO ANTI COVID ...

... è morto di Coronavirus

È accaduto alla fine di marzo. Jean Adolphe Randriantsoa, considerato uno dei pilastri dell’Istituto di ricerche applicate (IMRA), era direttore generale di IMRA Natural Products, società produttrice della bibita che avrebbe dovuto prevenire e sconfiggere la pandemia, il Covid-organics.
Ovviamente la causa della sua dipartita non è ufficiale: nell’isola si nega l’evidenza, ma fonti autorevoli hanno confermato che l’illustre professore è morto di coronavirus.

Evidentemente l’intruglio adottato e pubblicizzato dal giovane presidente malgascio, Andriy Rajoelina non ha funzionato. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva già bocciato poco meno di un anno fa la miracolosa bevanda Covid-Organics e ora lo dicono anche i fatti.

Eppure solo qualche settimana fa Rajoelina, in un discorso alla TV di Stato aveva sollevato i suoi dubbi sulle immunizzazioni. “Non siamo contro i vaccini, attualmente siamo in fase di osservazione. Ci sono ancora troppe controindicazioni. Personalmente non sono ancora vaccinato e non ho intenzione di farlo”, ha dichiarato, mostrando una bottiglia di Covid-Organics.

Nel pianeta anti-vax africano, Rajoelina non è solo. Le sue teorie sono state condivise da John Magufuli, ex presidente della Tanzania appena deceduto – presumibilmente di covid – e dell’ex capo di Stato del Burundi, Pierre Nkurunziza, morto nel giugno dello scorso anno, ufficialmente per problemi cardiaci, ma era risultato positivo al coronavirus. Finora non risulta che siano giunte richieste di vaccini da parte dei nuovi leader dei due Paesi.
By Africa Express


Orania, Sudafrica
Orania, Sudafrica

17 marzo 2021
SUDAFRICA: ORANIA, UNA CITTÀ PER SOLI AFRIKANER

Vietato l'ingresso ad altre etnie.

Orania, una minuscola cittadina in Sudafrica, nella provincia del Capo settentrionale, un puntino così piccolo, che è difficile individuarlo sulle cartine geografiche, ma unica nel suo genere non solo nel suo Paese, in tutto il continente, forse nel mondo intero: questa comunità non accoglie concittadini neri, per loro questo luogo è un tabù.

La cittadina è nata negli anni ’90 come micro-volkstaat autogovernato e abitata solo da boeri, provenienti da tutto il Paese. L’articolo 235 della Costituzione sudafricana tutela il diritto di autodeterminazione a qualsiasi comunità che condivide un patrimonio culturale e linguistico comune nel territorio della Repubblica del Sudafrica.

Orania nasce proprio un anno dopo la liberazione di Nelson Mandela da Robben Island e tre anni prima delle elezioni del 1994, che hanno segnato la storia di questo Paese. In precedenza mai ci era una tornata elettorale democratica. Fu anche l’anno dell’"incoronazione" di Madiba, nominato capo dello Stato, dopo le sue lunghe lotte per libertà, giustizia, difesa della dignità umana.
Nella comunità vivono anche nomi eccelsi, come Carel Boshoff IV capo del movimento Orania. Carel è nipote dell’ideatore dell’Apartheid, Henrik Vorwoerd, la cui figlia, Anna, era la madre dell’attuale leader della cittadina.
E i fondatori di Orania furono proprio il padre e la madre di Carel, che alla fine degli anni Ottanta avevano fiutato che la fine dell’apartheid era ormai vicina. Insieme a un gruppo composto da una cinquantina di afrikaner, acquistarono un appezzamento di terra nella parte meridionale del fiume Orange, con lo scopo di instaurare un volkstaat per soli afrikaner.
Ma all’epoca, nell’area vivevano già quasi cinquecento persone, poverissime, neri, la maggior parte sudafricani. Si erano installati lì dopo l’inizio dei lavori di un progetto che prevedeva la costruzione di canali e dighe lungo il fiume Orange. Ovviamente con la creazione di Orania furono esclusi da tutto e, non solo, ironia della sorte, si trovarono con nuovi proprietari come vicini con concetti di vita tipicamente afrikaner.
Boshoff, interrogato all’epoca del perché della totale esclusione dei vicini, in un discorso alla comunità aveva sentenziato: “Non ho comprato un pullman con passeggeri” e, secondo lo storico dell’università di Cambridge, Edward Cavanagh, la creazione di Orania sarebbe stata uno dei maggiori sgomberi forzati durante l’oscuro periodo dell’apartheid.

Oggi Orania conta poco meno di duemila abitanti e è cresciuta soprattutto in questi ultimi anni con un incremento del 10 per cento per anno. E, grazie all’aumento demografico, è cresciuto notevolmente il mercato immobiliare con la costruzione di nuove case residenziali e palazzine. C’è anche una zona industriale con diverse fabbriche di alluminio e mattoni, prodotti che vengono commercializzati in tutto il Paese. Anche l’agricoltura è in piena espansione, per lo più sono piantagioni di noci pecan, che vengono esportate soprattutto in Cina.

Non una sola pietra è stata posata da un operaio sudafricano nero. Tutti lavori, anche i più umili, sono stati eseguiti da afrikaner. Nessun nero può entrare nella cittadina e a mala pena vien concesso loro di rifornirsi di benzina nella stazione di servizio situata al confine dell’abitato. Chi vive ancora oggi nelle vicinanze, ricorda quando i primi abitanti bianchi di Orania giravano con il fucile in spalla, un avvertimento chiarissimo che nessun residente delle zone limitrofe ha mai dimenticato.
Gli abitanti di Orania sostengono che il loro è semplicemente un progetto culturale, non ha nulla a vedere con il razzismo. Qui possono abitare e lavorare solamente gli afrikaner con lo scopo di preservare i propri usi e costumi.
Ma in realtà la situazione è un pochino diversa. In ogni rione, in tutte le strade ci sono bandiere dell’apartheid, monumenti dell’ideatore di quella oscena, discriminatoria dottrina. L’apartheid è terminata da ben trent’anni, eppure ancora oggi qualcuno la rimpiange, la fa rivivere.
Il medico della comunità per soli bianchi è arrivato qualche anno fa da Pretoria, la capitale del Sudafrica. Per lui Orania è un paradiso terrestre, giacché considera tutte le altre città del Paese “zone di guerra”. “Qui invece”, ha spiegato il dottore, “sembra di vivere nel Disneyland dei boeri, con la differenza che non devi mai tornare a casa”.
By Africa Express


John Magufuli
John Magufuli

17 marzo 2021
TANZANIA: MORTO IL LEADER JOHN MAGUFULI

Consigliava la prevenzione al Covid-19 con un intruglio.

Il presidente della Tanzania, John Magufuli, 61 anni, è morto ucciso dal Covid-19. Sulla sua malattia e sulla sua morte era stato steso un misterioso e purtroppo incredibile silenzio. Si sapeva che era ricoverato al Nairobi Hospital della capitale keniota ma solo perché la notizie era trapelata tra smentite ufficiali e conferme ufficiose.

Secondo la costituzione della Tanzania il posto di Magafuli è stato preso dalla sua vice, Samia Sulhu Hassan. Magafuli qualche settimana fa era diventato famoso sulle cronache dei giornali perché era un negazionista: sosteneva che il virus era un’invenzione occidentale e che comunque si poteva combattere con la medicina tradizionale africana.

Il capo di Stato tanzaniano non era più stato visto in pubblico dal 27 febbraio. Nel Paese è vietato parlare di una sua malattia. Un giovane è stato arrestato due giorni fa perché aveva osato dire che il presidente era in gravi condizioni. Il fatto è successo nella zona di Dar es Salaam.

Cattolico integralista, John Magufuli era famoso per odiare i gay e chiunque non fosse obbediente alla bibbia. Pur non essendo per niente amato dalla popolazione perché trattava l’opposizione con il pugno di ferro, aveva vinto le ultime elezioni qualche mese fa con brogli accertati dalla comunità internazionale.
Sosteneva che il Covid -19 non esiste, che era un’invenzione degli occidentali e quei sintomi da poco si potevano curare con le erbe e le inalazioni. Con disprezzo aveva poi vietato i vaccini.
Dopo aver negato la diffusione della pandemia in Tanzania, aveva anche spiegato che se mai il Covid 19 fosse arrivato nel Paese si sarebbe potuto combattere con un intruglio a base di zenzero, cipolle, limone e pepe. Aveva quindi fatto arrivare dal Madagascar una pozione che aveva definito miracolosa il Covid Organics (un’invenzione questa volta del presidente malgascio, Andry Rajoelina, altro negazionista) che secondo lui avrebbe fermato l’eventuale diffusione dell’infezione.
By Africa Express


Covid-19.  Oggi in Kenya
Covid-19. Oggi in Kenya

20 febbraio 2021
I CASI DI COVID-19 IN KENYA SI AVVICINANO A 104.000

Il bilancio delle vittime raggiunge 1.817

Test effettuati: 1,262,358
Confermati: 103,993
Deceduti: 1,817
Ricoverati: 85,540

Covid-19. Morti in Africa
Covid-19. Morti in Africa

John Magufuli, presidente della Tanzania
John Magufuli, presidente della Tanzania

7 febbraio 2021
TANZANIA: IL PRESIDENTE RIFIUTA IL VACCINO

Consiglia la prevenzione con un intruglio di erbe.

John Magufuli, il presidente della Tanzania, rieletto lo scorso ottobre per un secondo mandato, non vuole sentir parlare di vaccini per arginare la pandemia.

Senza menzionare dettagli e fornire prove, il capo di Stato ha affermato che il vaccino potrebbe essere addirittura nocivo, esortando i tanzaniani di fare piuttosto uso, come terapia, di piante medicinali, del resto non approvate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Mesi fa il presidente del Madagascar, Andry Rajoelina, aveva proposto una cura a base di erbe, Covid-Organics, prodotto nel Paese. L’intruglio non ha avuto però il successo desiderato.
Non è chiaro perché il presidente tanzaniano sia contrario al vaccino, ma durante il suo discorso ha sottolineato che il popolo non è disposto a fare da cavia. “Se l’uomo bianco è in grado di trovare immunizzazioni, avrebbe già dovuto preparare quelli contro il cancro, la tubercolosi e altre patologie gravi”, ha spiegato Magufuli.

Dal canto suo l’OMS, tramite Matshidiso Moeti, direttore per l’Africa, ha esortato il governo della Tanzania a preparare un piano vaccini Covid quanto prima e ha aggiunto: “L’immunizzazione funziona e siamo pronti a sostenere il Paese”.
A tutta risposta il ministro della sanità di Dodoma, Dorothy Gwajima. Non ha fatto altro che confermare la posizione del presidente, sottolineando che: “Abbiamo la nostra procedura per i medicinali e li ordiniamo solamente quando siamo soddisfatti del prodotto”.

La Gwajima ha rilasciato le dichiarazioni durante una conferenza stampa qualche giorno fa, durante la quale è intervenuto anche un funzionario del ministero che ha spiegato come preparare un intruglio a base di zenzero, cipolle, limoni e pepe. E, senza fornire prove, i due hanno affermato che la bibita miracolosa protegge dal contagio del micidiale virus.
Il ministro ha anche raccomandato ai cittadini di lavarsi spesso le mani con sapone e acqua corrente, utilizzare fazzoletti, fare vapori a base di piante e aumentare l’esercizio fisico quotidiano, consumare alimenti nutritivi, bere molta acqua, utilizzare rimedi naturali che si trovano sul territorio. “Ma non perché il virus abbia colpito il nostro Paese, dobbiamo prepararci, in quanto è presente nelle nazioni limitrofe”.

È evidente che molti medici non approvano le scelte del governo; non possono però esporsi, nessuno può fare dichiarazioni sulla pandemia, eccetto il presidente, il ministro della Sanità e tre alti funzionari.

Malgrado non si voglia ammettere la presenza della pandemia nel Paese, Mabula Mchembe, segretario permanente del ministero della Sanità, pochi giorni fa ha incoraggiato la popolazione a indossare le mascherine, ovviamente non a causa del coronavirus, ma per prevenire malattie respiratorie.

Ufficialmente la Tanzania registra 509 casi di Covid-19 con 183 guarigioni e 21 decessi. E a gennaio la Danimarca ha denunciato che due suoi concittadini di ritorno dalla Tanzania sono risultati positivi al test.
By Africa Express


Bambini soldato
Bambini soldato
Omar Al-Bashir
Omar Al-Bashir

6 febbraio 2021
UCCIDERE O ESSERE UCCISI

L’atroce tormento dei bambini soldato.

Nel 2019 quasi ottomila minori, alcuni anche di sei anni, sono stati arruolati ed utilizzati in tanti conflitti, per lo più in Africa. Lo afferma il Segretario generale dell’ONU in un rapporto dedicato alla situazione dell’infanzia nei conflitti. I Paesi interessati sono: Afghanistan, Colombia, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Iraq, Mali, Sudan, Sud Sudan, Somalia, Siria, Yemen, Myanmar, Nigeria, Filippine e coinvolge decine fra guerriglie ed eserciti regolari, puntualmente elencati nel predetto Rapporto.

Uccidere o essere uccisi, questo il tragico dilemma cui sono costretti tanti piccoli innocenti, rapiti da scuole e villaggi. I minori trasformati in combattenti sono sottoposti a violenze di ogni tipo: uccisioni, torture, mutilazioni, violenze sessuali ed uso di droghe, somministrate per eliminare dolore e paura. Il loro compito non è solo quello di essere guerrieri, ma anche cuochi, facchini, messaggeri; un particolare aspetto riguarda anche le ragazze, reclutate per fini sessuali e per matrimoni forzati, con gravidanze indesiderate e rischio AIDS.
Le ragazzine sono utilizzate anche per attentati suicidi, ad esempio in Nigeria da Boko Haram.
"I bambini", spiegava in passato Olara Otunnu, Rappresentante Speciale del Segretario Generale Onu per i bambini nei conflitti armati “non sono ancora pienamente coscienti delle loro azioni: possono essere facilmente indottrinati e trasformati in spietate macchine belliche".

Inoltre conflitti sempre più sanguinosi richiedono sempre nuova carne da cannone ed i fanciulli non disertano, non chiedono paghe e spesso, per loro, l’esercito rappresenta l’unico modo per potersi nutrire. In estrema sintesi fra i motivi che aiutano la diffusione del problema vi sono: l’enorme disponibilità di armi leggere (mitra, fucili, ecc) ampiamente fruibili nei Paesi più poveri del mondo; la mancata registrazione dei bambini alla nascita, che nega il diritto all’identità anagrafica; la facilità di indottrinamento dei più piccoli e il terrorizzare le popolazioni civili, obiettivo di tante guerre in corso.
Quando i piccoli combattono, le forze in campo tendono a considerare tutti i bambini come potenziali nemici, con conseguenze prevedibili. I combattimenti, inoltre, prendono di mira ospedali e scuole, in spregio di convenzioni internazionali, nell’adozione delle quali l’Italia ha svolto un ruolo significativo, impedendo diritti fondamentali come salute e istruzione a molte migliaia di persone. Nel solo 2019 l’ONU ha accertato almeno mille attacchi contro scuole ed ospedali, con il raddoppio di quelli operati dagli eserciti, soprattutto in Somalia.

La Somalia è fra i Paesi più interessati: secondo i dati Onu nel 2019 con 1.500 ragazzini utilizzati ed arruolati, per lo più rapiti dalle milizie di Al Shabaab, ma utilizzati anche da esercito e polizia, in quasi 200 casi. Nell’ex colonia italiana siamo presenti con una missione militare europea (EUTM Somalia), composta anche da un centinaio di nostri soldati con la finalità di formare l’esercito di Mogadiscio e una missione di addestramento delle forze di polizia somale (MIADIT), ma non sembra che dal nostro Governo o Parlamento siano giunte parole di condanna per questi crimini.

Nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) 2.506 minori sono stati reclutati dal 2008 e utilizzati fino al loro rilascio, nel 2019, da ben 38 guerriglie. Preoccupa anche il Sahel: nella Repubblica Centrafricana l’ONU ha accertato almeno 200 nuovi casi di minorenni utilizzati come soldati e altrettanti nel Mali, alle prese con il terrorismo.

Il diritto internazionale considera i minori utilizzati nelle guerre vittime della ferocia degli adulti, tuttavia in molti casi sono detenuti, privati delle cure parentali, sanitarie del cibo e sottratti ai propri genitori a causa dell’ appartenenza a gruppi terroristici. A tutto ciò va aggiunto lo stigma sociale, che colpisce soprattutto le ragazze costrette a fare le “schiave sessuali” e pur essendo vittime incolpevoli, poste ai margini della società. Le violenze sessuali, del resto, sono ampiamente usate non solo dai guerriglieri ma anche dagli eserciti nella Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Repubblica Centrafricana, Sudan e Sud Sudan.

Nel 2019, grazie all’Unicef, oltre 13.000 minori sono stati separati da eserciti e guerriglie, però gli ostacoli maggiori al reinserimento sono costituiti da una smobilitazione duratura. Si corre il rischio, infatti, che dopo la smobilitazione, in mancanza di programmi duraturi nel tempo e per scarsità di fondi, gli ex bambini soldato possano essere riarruolati o dedicarsi al banditismo, ad esempio nel Sud Sudan.

Il diritto internazionale punisce questo fenomeno aberrante: ad esempio il Corte Penale Internazionale (CPI) considera l’arruolamento di bambini al di sotto dei 15 anni come un crimine di guerra, mentre l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) definisce il reclutamento una delle peggiori forme di lavoro minorile. Alcuni signori della guerra della RDC sono stati condannati e l’ex presidente del Sudan Omar al Bashir è incriminato da CPI per i reati commessi in Darfur. Non basta, tuttavia, un trattato per rendere effettivo un diritto e, quindi, la mobilitazione della società civile è essenziale, così come il ruolo degli organi di informazione. Il rispetto delle Convenzioni internazionali dovrebbe essere posta alla base delle relazioni fra i Paesi. In particolare dovrebbe essere vietata ogni sorta di aiuto militare. Chi si macchia dei crimini in questione deve essere punito, ponendo fine al muro dell’impunità. I governi responsabili di tali reati dovrebbero essere posti ai margini della comunità internazionale, imponendo nei loro confronti una serie di sanzioni.
La pace resta il mezzo più potente, per eliminare tante sofferenze, ma è necessario passare dalle parole ai fatti. La pandemia offre la grande opportunità di cambiare i paradigmi, mettiamo al primo posto la tutela dei diritti umani, tagliamo drasticamente le spese militari, investiamo ad esempio nei vaccini gratuiti anche nei Paesi in via di sviluppo e ridurremmo le tensioni internazionali e faciliteremmo i processi di pace nel mondo.
By Africa Express


La Grande Muraglia Verde
La Grande Muraglia Verde

19 gennaio 2021
LA DESERTIFICAZIONE IN AFRICA: 14 MILIARDI DI DOLLARI PER LA GRANDE MURAGLIA VERDE


A margine della quarta edizione del One Planet Summit, organizzato dietro iniziativa della Francia in collaborazione con le Nazioni Unite e la Banca Mondiale, Emmanuel Macron ha annunciato un nuovo finanziamento di 14 miliardi di dollari per la realizzazione della Grande Muraglia Verde.
L’ambizioso progetto prevede la creazione di una cintura verde di almeno 100 milioni di ettari che, entro il 2030 dovrebbe attraversare quasi tutta l’Africa, dal Senegal a Gibuti e mira a dare nuova vita a terre degradate e bloccare la desertificazione. L’iniziativa è nata nel lontano 2002 e è stata lanciata nel 2007. E da allora ha migliorata la vita delle persone nelle aree già recuperate.

L’ecologista senegalese, Haïdar El Ali, tra i maggiori esperti mondiali in materia, e direttore generale dell’Agenzia di riforestazione del Senegal e della Grande Muraglia Verde, ha spiegato che è necessario intervenire con la massima urgenza. In occasione di un recente sopralluogo nel nord del Paese ha constatato che lo stato della natura necessita interventi immediati.
In Senegal il progetto dovrebbe coprire una superficie di 500 chilometri di lunghezza, dall’Oceano Atliantico verso est, e 100 di larghezza.
Haïdar El Ali si è lamentato che molte ONG coinvolte nel progetto ricevono parecchi finanziamenti, ma invece di investirli sul campo, organizzano seminari, ricerche e altro. “Da quando sono stato nominato direttore generale non ho mai potuto avere accesso ai fondi. Vogliamo creare una banca dei semi di tutte le specie di alberi che si adattano sia alle zone del nord che a quelle del sud”.
Nel Burkina Faso, che fa parte del progetto della Grande Muraglia Verde, sono già stati messi in sicurezza 30.000 ettari di terreno su un totale di 2 milioni, ma il Paese si è impegnato per un recupero di 5 milioni di ettari entro il 2030. I lavori di recupero sono in ritardo, anche per l’insicurezza che vige in alcune zone. Un problema comune a altri Stati della regione.

La promessa del finanziamento di 14 miliardi di dollari entro il 2025 per la realizzazione della Grande Muraglia Verde è stata fatta per lo più da grandi istituzione come l’Unione Europea, la Banca Mondiale e la Banca Africana per lo Sviluppo, anche l’Istituzione finanziaria panafricana dovrebbe donare 6,5 milioni di dollari.

Il tempo stringe, il 2030 non è poi così lontano e entro tale data dovrebbero essere recuperati 100 milioni di ettari di terreno; finora sono stati sistemati solo 4 milioni di ettari.
By Africa Express


Jomo Kenyatta International Airport
Jomo Kenyatta International Airport

13 gennaio 2021
KENYA: NORMATIVA AFRICANA PER TRACCIARE PAZIENTI COVID


L’8 gennaio scorso, il Ministero della Sanità keniota, responsabile della vigilanza Covid, per ogni viaggatore in entrata o in uscita dal Kenya, ha stabilito che una nuova normativa emessa dall’Unione Africana sarebbe in vigore da oggi per assicurarsi che sia i passeggeri in entrata verso l’Africa sia quelli in partenza dall’Africa possano essere tracciati in caso di infezione da Covid.
La misura, sostenuta tra l’altro dalle Nazioni Unite tramite la sua agenzia UNDP, ha come obbiettivo la certificazione di ogni passeggero in entrata o uscita dal territorio africano con un nuovo sistema di QR Code certificato da Istituti riconosciuti.

L’idea è brillante, tuttavia ha le sue limitazioni: per chi uscisse dal territorio africano con volo verso Europa o Stati Uniti, si tratta di sottoporsi al test PCR presso organizzazioni certificate, e per questo non vi sono problemi perché tutte le più conosciute sono incluse nel pool di certificazione, ma per coloro i quali volessero per turismo andare verso il Kenya o altre destinazioni, i problemi si pongono perché le liste delle Istituzioni certificate sono minime, per la Spagna solo una a Madrid (Abbott), in Italia invece tutte situate in Piemonte e in Inghilterra una dozzina sparse tra Londra in maggioranza e poche altre località.
Forse l’Unione Africana, ispiratrice di questa nuova procedura, non era al corrente che sarebbe stato meglio certificare più organizzazioni in Europa o negli Stati Uniti piuttosto che la pletora locale Africana, perché in fin dei conti si tratta di risollevare il turismo locale che ha sofferto uno dei peggiori colpi di clava da parte della pandemia. Oltretutto, la mobilità ridotta in Europa complica le cose, il che equivale a dire che il potenziale turista siciliano dovrebbe farsi esaminare in Piemonte per potersi imbarcare su un volo per l’Africa, ossia missione impossibile vista la proibizione alla mobilità tra Regioni per i cittadini italiani, e immagino anche per i cittadini europei tutti.
In sostanza, la mancata diffusione di questa arguta pensata legislativa a livello Europeo non aiuta l’Unione Africana poiché i turisti in provenienza da Europa e Stati Uniti (includendo l’escluso Regno Unito) dovranno sottoporsi a forche caudine per ottenere un visto sanitario non ubiquo per potere entrare in territorio africano.
Di più, i siti menzionati dai vari ministeri della Sanità locali africani (www.africacdc.org/trusted-travel, oppure www.panabios.org oppure www.globalhaven.org), a tutt’oggi, data di vigore delle disposizioni, non offrono nessun elemento di chiarezza per potere accedere ad alcun luogo africano di interesse, a meno di essere cittadini tedeschi, inglesi o statunitensi. In aggiunta, tutti questi siti sono di recente creazione oppure sono addirittura in fase di allestimento.
Al minimo, si tratta di una restrizione incomprensibile, al massimo, un lavoro fatto parecchio male, seppur con lodevoli intenzioni.

Forse un maggior coordinamento sarebbe stato auspicabile, perché in fondo non si tratta di soli turisti verso l’Africa, ma anche di imprese straniere desiderose di creare lavoro nel continente e che in questo senso sono private di un’opportunità. Un’altra occasione perduta?
By Africa Express


Momenti di una delle battaglie contro i jihadisti a Cabo Delgado e profughi in fuga
Momenti di una delle battaglie contro i jihadisti a Cabo Delgado e profughi in fuga

6 gennaio 2021
MOZAMBICO: ATTACCO JIHADISTA DI CAPODANNO A GIACIMENTI DI GAS. TOTAL EVACUA IL PERSONALE

L’evacuazione è dovuta alla situazione di pericolo, salita a “livello 4”, a causa degli ultimi attacchi jihadisti troppo vicini agli impianti.

La multinazionale petrolifera francese Total ha deciso l’evacuazione del suo personale dai giacimenti di gas naturale di Cabo Delgado, estremo nord del Mozambico. L’evacuazione di tutte le persone che si trovano sul posto per un periodo indefinito, è una scelta obbligata fino al ripristino delle condizioni di sicurezza. La decisione è stata presa a causa della situazione di estremo pericolo, salita a “livello 4”, per gli ultimi attacchi del 1° e 2 gennaio.

I jihadisti, presumibilmente di Al-Sunnh wa-Jamma, hanno attaccato la penisola di Afungi, 5 km dal campo Total, e ai cancelli del progetto, a 1 km dalla pista aerea. È l’assalto più ravvicinato dall’inizio del terrorismo jihadista, oggi affiliato all’ISIS. Si sa che ci sono stati vari scontri e vittime ma non è possibile stabilirne la gravità di questi due attacchi. È confermato che i jihadisti, durante i raid si sono impadroniti di riserve di cibo, assaltando anche la dispensa della task force di difesa Total.
La settimana scorsa, secondo il sito Pinnacle News, gli insorti hanno attaccato i villaggi di Mondlane e Olumbi (che distano 7 e 10 km dal campo Total). Quindi hanno cercato di sfondare nel cantiere che ospita i lavoratori Total e società controllate. Il gruppo di terroristi è stato messo in fuga dai militari, bene armati, delle Unità di intervento rapido (UIR).
Le UIR sono forze speciali di polizia, le più addestrate e pagate, assegnate dal governo mozambicano per proteggere gli impianti di Afungi. Purtroppo, dai movimenti dei jihadisti, pare che stiano stringendo sempre più il cerchio attorno ai giacimenti di gas dell’area. Due settimane fa l’attacco a Mute, 20 km da Afungi ha allarmato Total, ExxonMobil e ENI che operano ad Afungi. Gli assalti a Monjane e Olumbi hanno aumentato l’inquietudine, fino all’attacco del 1° gennaio che ha fatto scattare l’evacuazione.
Pinnacle News scrive che da due settimane c’è il divieto di navigazione tra Pemba, capitale di Cabo Delgado, e Palma. Nel porto di Pemba, ci sono dodici navi con viveri, attrezzature e perfino un albergo galleggiante destinato ad Afungi. Si stima che dall’inizio del terrorismo jihadista nell’ottobre 2017 ci siano stati 2.500 morti (anche decapitati), soprattutto tra i civili, e 570 mila profughi.
Secondo l’analista Joseph Hanlon, docente alla Open University (Regno Unito), lo sgombero del personale degli impianti di Afungi è un segnale preoccupante. “Quando Total decide di evacuare significa chiaramente che ha concluso che il governo non può proteggerlo”, scrive nella sua newsletter settimanale. E chiede: “Total proverà a costringere il governo ad accettare una presenza importante dell’esercito e della marina francese? O potrebbe arrendersi? Potrebbe decidere che le attività di gas Anadarko/Occidental che ha acquistato altrove in Africa sono una scommessa migliore?”.

Total ha programmato la prima produzione di gas naturale liquefatto (GNL-LNG) per il 2024 con una produzione stimata di 43 milioni di tonnellate all’anno. Il megaprogetto di Cabo Delgado vale 18 miliardi di euro e Total ne detiene una partecipazione del 26,5 per cento acquistato nel settembre 2019 per 3,3 miliardi di euro. Nell’estrazione del gas, off-shore, partecipano anche il gigante petrolifero italiano ENI, che dovrebbe iniziare la produzione nel 2022, e l’americana ExxonMobil.
By Africa Express

Mappa dell’area degli ultimi attacchi vicini ai giacimenti di gas dove operano Total, ENI, ExxonMobil
Mappa dell’area degli ultimi attacchi vicini ai giacimenti di gas dove operano Total, ENI, ExxonMobil
Progetto dell’area degli impianti Total di Afungi
Progetto dell’area degli impianti Total di Afungi


Africa Ultime Notizie 2020
Africa Ultime Notizie 2020

 

 

Africa Breaking News 2020

 

Africa Ultime Notizie 2020

 

Notizie dal continente dimenticato


Africa Ultime Notizie 2019
Africa Ultime Notizie 2019

 

 

Africa Breaking News 2019

 

Africa Ultime Notizie 2019

 

Notizie dal continente dimenticato


Africa Ultime Notizie 2018
Africa Ultime Notizie 2018

 

 

Africa Breaking News 2018

 

Africa Ultime Notizie 2018

 

Notizie dal continente dimenticato