La Costa Orientale Africana


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Mappa politica Africa

 

 

Mappa politica dell'Africa

L'Africa orientale è politicamente ricompresa nelle sovranità dei seguenti Paesi:

 

***  Città del Capo è la capitale legislativa, Pretoria la capitale amministrativa e Bloemfontein la capitale giudiziaria.

 

A questi si deve aggiungere il

che richiede il riconoscimento internazionale e l'indipendenza.

Confini:
L'Africa orientale confina a nord-ovest con il Sudan,a ovest con la Repubblica Centrafricana,Repubblica Democratica del Congo e Angola ed a sud-ovest con il Sud Africa e il Botswana. È bagnata a nord dal Mar Rosso, a nord-est dal Golfo di Aden e il Mar Arabico ed a est e a sud dall'Oceano Indiano.

Mozambico e Madagascar a volte sono considerati facenti parte dell'Africa del Sud.
Burundi e Ruanda sono considerati a volte facenti parte dell'Africa centrale.
Geograficamente anche Egitto e Sudan sono a volte inseriti nell'Africa orientale.


Olorgesailie, Kenya. Questo sito preistorico ha la più grande collezione al mondo di utensili in pietra. Il sito si affaccia su quello che doveva essere stato un lago poco profondo 500.000 anni fa
Olorgesailie, Kenya. Questo sito preistorico ha la più grande collezione al mondo di utensili in pietra. Il sito si affaccia su quello che doveva essere stato un lago poco profondo 500.000 anni fa

 

L'Africa orientale è la regione del mondo dove si ritiene sia nata la specie umana, e dove sono stati scoperti resti di ominidi risalenti a oltre 4 milioni di anni fa.
L'Africa orientale è una delle prime regioni in cui si ritiene che l'Homo sapiens abbia vissuto. Sono state trovate prove nel 2018, risalenti a circa 320.000 anni fa, nel sito keniota di Olorgesailie, della prima comparsa di comportamenti moderni associati all'Homo sapiens, tra cui: reti commerciali a lunga distanza, l'uso di pigmenti e la possibile realizzazione di punti proiettili (In termini archeologici, un punto proiettile è un oggetto che è stato rimosso da un'arma in grado di essere lanciato o proiettato, come una lancia, un dardo o una freccia, o forse usato come un coltello).
Nel settembre 2019, gli scienziati hanno suggerito che l'Homo sapiens è comparso tra 350.000 e 260.000 anni fa attraverso una fusione di popolazioni nell'Africa meridionale e orientale.
La rotta migratoria della teoria "Fuori dall'Africa" probabilmente si verificò nell'Africa orientale attraverso Bab-el- Mandeb nel Mar Rosso. Oggi allo stretto di Bab-el-Mandeb, il Mar Rosso è largo circa 12 miglia (20 chilometri), ma 50.000 anni fa era molto più stretto e il livello del mare era inferiore di 70 metri. Sebbene lo stretto non sia mai stato completamente chiuso, potrebbero esserci state delle isole in mezzo attraverso le quali si poteva passare da una parte all'altra usando semplici zattere.
La principale ipotesi in competizione è l' origine multiregionale degli umani moderni, che prevede un'ondata di Homo sapiens che migra prima dall'Africa e si incrocia con le popolazioni locali di Homo erectus in diverse regioni del globo.
Alcuni resti scheletrici dei primi ominidi sono stati trovati in tutta la regione, tra cui fossili scoperti nella Valle Awash in Etiopia, così come nel Koobi Fora in Kenya e nella Gola di Olduvai in Tanzania.
La parte meridionale dell'Africa orientale è stata occupata fino a tempi recenti dai cacciatori-raccoglitori e pastori Khoisan, mentre nelle Highlands etiopi l'asino e le piante coltivate come il teff hanno permesso l'inizio dell'agricoltura intorno al 7.000 a.C.
Basse pianure e malattie trasportate dalla mosca tse-tse, tuttavia, hanno impedito all'asino e all'agricoltura di diffondersi verso sud. Solo in tempi abbastanza recenti l'agricoltura si è diffusa nelle regioni più umide a sud dell'equatore, attraverso la diffusione di bovini, ovini e colture come il miglio. Le distribuzioni linguistiche suggeriscono che questo molto probabilmente si è verificato dal Sudan nella regione dei Grandi Laghi africani, poiché le lingue nilotiche parlate da questi agricoltori pre-bantu hanno i loro parenti più stretti nel bacino centrale del Nilo.

Caricatura del 1820 che mostra i coloni  attaccati da cannibali "ottentotti". Una visione satirica per ricordare agli emigranti i pericoli che li attendono
Caricatura del 1820 che mostra i coloni attaccati da cannibali "ottentotti". Una visione satirica per ricordare agli emigranti i pericoli che li attendono

Espansione Bantu
Nel III-II millennio a.C. ondate migratorie di pastori cusciti provenienti dall'alto Nilo diffusero verso sud in tutta l'Africa orientale l'allevamento di bovini, e probabilmente la coltivazione del sorgo e dei legumi. A quest'epoca risalgono anche le ondate migratorie di popoli di etnia bantu, dalle coste del golfo di Guinea verso sud e verso est fino alla regione dei Grandi Laghi, da cui nel VII secolo a.C. una seconda ondata migratoria diffuse in tutta l'Africa orientale l'agricoltura e l'uso del ferro. A quest'epoca si fa risalire la nascita della maggior parte delle attuali etnie africane, come gli hutu, che avrebbero gradualmente scacciato, nel corso di tutto il primo millennio d.C., i cacciatori-raccoglitori pigmei twa verso le regioni più interne e i khoisan, popoli indigeni "non Bantu", verso gli altopiani meridionali, per trasformare le aree più fertili in terreni coltivati, pur mantenendo una struttura sociale di tipo tribale, senza cioè stabilire entità statuali di grandi dimensioni.
Le migrazioni di pastori nomadi cusciti dal nord proseguirono anche dopo la sedentarizzazione dei bantu, e i due gruppi sociali talora convissero nelle stesse zone, come nel caso dei nomadi hima, talaltra si integrarono tra loro, come nel caso del cuscita Impero di Kitara, poi regno di Bunyoro, (entrambi nell'attuale Uganda). L'ultima migrazione dei bantu avvenne nell'VIII secolo d.C. dalla regione meridionale dello Zambesi.

Sulla parte costiera della regione dei Grandi Laghi africani, un'altra comunità mista di bantu si è sviluppata attraverso il contatto con commercianti musulmani arabi e persiani. I primi abitanti di bantu della costa orientale del Kenya e della Tanzania incontrati da questi coloni arabi e persiani sono stati variamente identificati con gli insediamenti commerciali di Rhapta, Azania e Menouthias citati nei primi scritti greci e cinesi dal 50 al 500 d.C. Questi scritti forse documentano la prima ondata di coloni bantu che raggiunse l'Africa centro-orientale durante la loro migrazione. Con l'espansione islamica gli Arabi stabilirono basi coloniali lungo le coste dell'Africa orientale, a partire dall'isola di Zanzibar, al largo dell'attuale Tanzania, e del Kenya, chiamata Costa Swahili, che si rifornivano dalle regioni africane interne di oro, avorio e schiavi, e li rivendevano alla madrepatria.
A partire dal XII secolo d.C. le prime colonie arabe si espansero lungo tutta la costa dell'Africa orientale, dando luogo alla cultura e lingua swahili, risultante dalla fusione di elementi arabi e bantu, che si diffuse anche verso l'interno come lingua franca. La cultura swahili emersa da questi scambi evidenzia molte influenze arabe e islamiche che non si vedono nella cultura tradizionale bantu, così come i molti membri afro-arabi del popolo bantu-swahili. Le colonie arabe in Africa orientale commerciavano nei secoli XIII-XV fino all'India e alla Cina. Il geografo arabo Ibn Battuta descrive l'opulenza della città insulare di Kilwa, al largo della Tanzania.

Tra il XIV e il XV secolo, emersero grandi regni e stati dei Grandi Laghi africani, come i regni Buganda e Karagwe dell'Uganda e della Tanzania.
In questo periodo, i bantu dell'entroterra erano dediti in maggioranza all'agricoltura, ma si sviluppò anche un ceto che fungeva da intermediario con gli Arabi delle colonie costiere. Presso il basso Zambesi, in particolare, nell'attuale Zimbabwe, si venne a stabilire, basandosi sulle relazioni privilegiate con gli Arabi, un vero e proprio impero tra il X e il XV secolo, come testimoniato dalle rovine della città di Grande Zimbabwe. Nel XIV secolo un'altra ondata migratoria cuscita portò alla nascita del popolo dei tutsi (o vatussi), cacciatori e allevatori di bovini, ma anche abili guerrieri, che nel corso del XV secolo assoggettarono i bantu stanziali hutu, costituendovi dei piccoli regni con una struttura gerarchica ai cui vertici vi era un re guerriero, come il regno del Ruanda comandato dal clan tutsi dei Nighinya, nell'attuale Ruanda, o il regno di Bunyoro, nell'attuale Uganda, che assoggettò il pacifico e più antico regno di Kitara. In altri casi, come nel Kenya, furono i bantu stanziali kikuyu ad avere la meglio sui nomadi cusciti, scacciati dalle fertili pianure costiere verso gli aridi altipiani interni.

Carta di Abraham Ortelius (1527-1598) con l'indicazione delle località menzionate dal Periplo del Mar Rosso
Carta di Abraham Ortelius (1527-1598) con l'indicazione delle località menzionate dal Periplo del Mar Rosso

Storia antica
Gibuti, Eritrea, Etiopia, Somalia settentrionale e la costa del Sudan sul Mar Rosso sono considerate la posizione più probabile della terra conosciuta dagli antichi egizi come Punt. La prima menzione del vecchio regno risale al 25 ° secolo a.C. Gli antichi abitanti di Punt erano un popolo che aveva stretti rapporti con l'Egitto faraonico ai tempi del faraone Sahure e della regina Hatshepsut.

Il regno di Aksum era un impero commerciale centrato in Eritrea e nel nord dell'Etiopia con capitale Mazabe, che si estese nella regione africana e anche al di là del Mar Rosso, nell'attuale Yemen, per diventare, nel III secolo d.C., una potenza regionale. Esisteva tra il 100 e il 940 d.C. circa, in crescita dal periodo dell'età del ferro proto-aksumita verso il IV secolo a.C. per raggiungere la ribalta entro il I secolo d.C.
Il regno è menzionato nel Periplo del Mare Eritreo, o Periplo del Mar Rosso, come un importante mercato per l'avorio, che fu esportato in tutto il mondo antico. Aksum era allora governato da Zoskales, che governava anche il porto di Adulis. I sovrani di Aksumite facilitarono il commercio coniando la propria moneta aksumita. Lo stato ha anche stabilito la sua egemonia sopra il declino del regno di Kush ed entrò regolarmente nella politica dei regni nella penisola arabica, estendendo infine il suo dominio sulla regione con la conquista del regno himyarita .

La battaglia di Adua
La battaglia di Adua

Storia contemporanea - La colonizzazione
Per maggiori dettagli vedi Colonialismo in Africa

Nel XIX secolo l'impero britannico, che aveva già un protettorato nell'Egitto e nel Sudan, strinse anche rapporti con il negus dell'Etiopia, che tornò in auge, pur restando indipendente. Inoltre, con l'obiettivo di controllare l'accesso al mar Rosso e quindi il passaggio verso lo strategico canale di Suez (1869), i britannici, che già controllavano la colonia di Aden nello Yemen del Sud, acquisirono anche una striscia di terra nell'Africa orientale, il Somaliland britannico. Anche i Francesi ebbero il loro avamposto strategico sulla via dell'Indocina, nella piccola colonia di Gibuti, mentre il sud della Somalia divenne la Somalia italiana.
I Britannici strinsero anche rapporti col sultanato di Zanzibar, importante centro per il commercio delle spezie nell'Oceano Indiano, oltre al controllo delle isole Seychelles e Mauritius. I Francesi, invece, controllavano nell'Oceano Indiano la grande isola del Madagascar ed altre isole minori come Reunion e le Comore.
A partire dalle colonie costiere, nella seconda metà del XIX secolo, i Britannici inviarono esploratori nelle aree interne dell'Africa orientale, come Richard Burton e John Speke nel 1857, David Livingstone nel 1866, Henry Morton Stanley nel 1871, e strinsero accordi commerciali e di protezione con i regni della regione dei Grandi Laghi, come il Buganda. A sud, invece, mentre i Portoghesi controllavano il Mozambico, i Britannici crearono un protettorato nella zona occidentale del lago Malawi, nell'attuale Stato del Malawi.
Dal 1871 anche l'Impero tedesco entrò in competizione con le altre potenze europee nella corsa all'Africa, inviando l'esploratore Karl Peters nel 1884, installando basi coloniali lungo le coste del Tanganica (attuale Tanzania continentale), e stringendo accordi di protezione con i regni del Ruanda e del Burundi.
Nel 1884 la Conferenza di Berlino regolò la spartizione delle colonie africane tra le potenze europee, ma la competizione tra Tedeschi e Britannici in Africa Orientale si concluse soltanto nel 1890, con la definizione delle colonie britanniche di Uganda e Kenya a nord, e della colonia dell'Africa Orientale Tedesca a sud, comprendente Ruanda, Burundi e Tanganica, mentre Zanzibar divenne un protettorato britannico.
L'Africa Orientale tedesca, sebbene molto estesa, non era strategicamente importante come quella britannica situata più a nord. Quelle tedesche erano infatti zone dal clima e dalla geomorfologia più inospitale. Le colonie britanniche, più fertili e adatte all'agricoltura, furono usate per coltivazioni commerciali e di esportazione come il caffè e il tè e per l'allevamento di bestiame da carne e da latte. Grazie anche alle condizioni climatiche favorevoli, i Britannici vi crearono città in stile europeo, come Nairobi o Entebbe, abitate da coloni.
L'Italia, invece, a partire dalla colonia di Assab sul mar Rosso, conquistò l'Eritrea e l'Etiopia nel 1889, e la Somalia nel 1890, ma fu sconfitta ad Adua dal negus Menelik II nel 1896, consentendo all'Etiopia di restare indipendente.
Con la dissoluzione dell'Impero tedesco nel 1918, la Società delle Nazioni affidò anche il Tanganica ai Britannici. In questo modo l'Africa Orientale Britannica venne a comprendere i quattro territori di Uganda, Kenya, Zanzibar e Tanganica. Il Ruanda-Urundi fu affidato invece al Belgio, che diede il potere alla tradizionale nobiltà tutsi, che opprimeva la maggioranza hutu.
Nel 1936, l'Italia fascista sconfisse infine l'imperatore Hailé Selassié, e l'Etiopia fu riunita a Somalia ed Eritrea nell'Africa Orientale Italiana, che tuttavia fu definitivamente dissolta nel 1941, nel corso della Seconda guerra mondiale.

Il forte arabo di Stone Town a Zanzibar. Costruito dagli omaniti, servì a contrastare le aggressioni portoghesi.
Il forte arabo di Stone Town a Zanzibar. Costruito dagli omaniti, servì a contrastare le aggressioni portoghesi.

Storia contemporanea - La decolonizzazione
Al termine della Seconda guerra mondiale si verificò la dissoluzione dell'impero britannico, che cercò di portare gradualmente le colonie all'indipendenza e all'ingresso nel Commonwealth. In Tanganica tale processo fu guidato dal leader Julius Nyerere, che portò il Paese all'indipendenza nel 1961, seguito da Zanzibar nel 1963, e dalla loro federazione nella Tanzania. Il progetto di Nyerere e delle autorità coloniali britanniche era di confederare nell'unione anche Kenya e Uganda, tuttavia in Kenya i Kikuyu diedero vita alla rivolta dei Mau-Mau nel 1963, fondando una repubblica presidenziale guidata dal presidente Jomo Kenyatta, mentre l'Uganda ottenne l'indipendenza nel 1962 con una diarchia tra il primo ministro Milton Obote, federalista, e il re di Buganda, deposto nel '66. Mentre il Kenya intraprese una politica allineata con gli USA e un'economia integrata nel sistema capitalistico occidentale, nel 1967 il presidente tanzaniano Nyerere promosse con la dichiarazione di Arusha un progetto di sviluppo economico autarchico, basato sui villaggi africani (ujamaa), per far uscire il Paese da un'economia coloniale nel sistema capitalistico, ispirandosi al socialismo.
La decolonizzazione riguardò anche la colonia belga del Ruanda-Urundi, che portò alla nascita del Ruanda (1962) e del Burundi (1963). Il primo divenne una Repubblica con presidente Grégoire Kayibanda, espressione della maggioranza hutu, mentre il secondo rimase governato dall'oligarchia tutsi. Nel 1963 il Burundi invase il Ruanda per difendere i tutsi ruandesi. Nel 1965 le elezioni in Burundi furono vinte dalla maggioranza hutu, ma il potere fu occupato dal tutsi Michel Micombero con un golpe; nel 1972 a seguito di una rivolta degli Hutu, Micombero rispose con epurazioni etniche ai loro danni, causandone la fuga verso i Paesi confinanti. Nel 1973 anche il Ruanda divenne una dittatura con il golpe del generale hutu Juvénal Habyarimana.

Storia contemporanea - La guerra fredda
In Uganda il presidente Obote, alleato della Tanzania socialista, fu scalzato nel 1971 dal colpo di Stato del generale Idi Amin Dada, che vi stabilì una dittatura militare filooccidentale. Il progetto di federazione delle tre ex-colonie britanniche nella Comunità dell'Africa Orientale (EAC) segnò una lunga battuta d'arresto, per le contrapposizioni dovute all'appartenenza a schieramenti opposti nella Guerra fredda. A seguito dell'invasione ugandese della Tanzania, Idi Amin fu sconfitto e tornò al potere Obote, instaurando un governo autoritario. Anche Julius Nyerere ebbe una svolta autoritaria in Tanzania, con la revisione costituzionale del 1982 che impose il partito unico. Nel 1985 vi fu un secondo colpo di Stato contro Obote, del generale Okello, ma Yoweri Museveni, che già aveva combattuto Idi Amin a fianco di Obote, sconfisse anche Okello e prese il potere. Contro di lui, nel nord dell'Uganda si formò un partito fondamentalista cristiano guidato da Kony.
Il Burundi rimase controllato da un'oligarchia tutsi anche dopo Michel Micombero, cui successe Jean-Baptiste Bagaza negli anni '70 e '80, e Pierre Buyoya negli anni '80 e '90. Agli Hutu era vietato ogni ruolo di governo e la stessa istruzione superiore.

Storia contemporanea - Il multipartitismo
In Burundi, alle prime elezioni multipartitiche del 1993, fu eletto Melchior Ndadaye, il candidato degli Hutu, ma fu assassinato dall'esercito, che era in mano ai Tutsi; in seguito anche il suo successore Cyprien Ntaryamira fu assassinato nel 1994. Alla notizia di ciò, nel Ruanda di Habyarimana la maggioranza Hutu scatenò una feroce epurazione etnica ai danni dei Tutsi ruandesi. Temendo il propagarsi della ribellione, in Burundi si formò per la prima volta un governo di coalizione tra Tutsi e Hutu. In seguito, Pierre Buyoya tornò al potere nel 1996, ma nel 2001 fu stabilito un nuovo Governo di unità nazionale, che portò nel 2005 all'elezione dell'hutu Pierre Nkurunziza, e nel 2009 all'ingresso di un generale hutu nell'esercito. Il Ruanda è governato dal 1994 da Paul Kagame, rieletto nel 2003 e nel 2010.

Mappa tracciata nel 1725
Mappa tracciata nel 1725

 

 

La costa dell'Africa orientale

Parlando della costa dell'Africa orientale, siamo dispensati dall'entrare nel dettaglio sia geografico che storico di cui conosciamo ben poco in un miscuglio di lingue sui nomi e circostanze poco chiare ed a volte controverse.
Meritano un posto nel nostro lavoro solo relazioni di geografi ed esploratori arabi, avendo avuto, in particolar modo dai Portoghesi, informazioni limitate, non importanti ed ancorché nulle, o fornite sulla base di scritti la cui veridicità non possiamo garantire.

L'Africa era stata a lungo un luogo misterioso, magico e davvero terrificante. Le parti settentrionali furono esplorate per prime, lasciando il resto del paese a lungo avvolto da superstizione, storia, mito e leggenda. Avventurarsi in questa terra inesplorata non è stato un piccolo sforzo e alcune storie incredibili sono nate in seguito a ciò.
La creazione di mappe in anticipo era lontana da una scienza esatta. Alcune delle prime mappe ci forniscono uno sguardo interessante su ciò che pensavamo sulle terre inesplorate.

Traduzione a cura di Kenya Vacanze
Epoca: 1570 d.C.

Costa d'Ajan
Costa d'Ajan

 

C O S T A  D' A J A N

La Costa d'Ajan comprende quella parte d'Africa conosciuta dagli antichi sotto il nome di Azania, la quale però si estendeva alquanto più di quella che è l'odierna Costa d'Ajan. L'Azania degli antichi geografi confinava a Sud col promontorio Raphton verso Quiloa (Kilwa).
Oggi questo paese si estende, dal Sud al Nord, dalla linea Equinoziale fino al Capo Guardafui. Confina all'Est con l'Oceano Indiano, all'Ovest con il Paese dei Galla, e con le montagne da cui scende il fiume Jubo, con cui confina dalla parte del Sud. L'aria di questo paese è caldissima, ed il terreno passabilmente fertile, quantunque arenoso ed arido. Lungo le coste dell'Oceano si trovano parecchi deserti, ma anche terreni assai fertili con frumento, orzo, miglio e varie specie di frutta. I pascoli, sopratutto, sono eccellenti e si allevano mandrie di animali grossi e minuti. Ci sono alcune razze particolari, come vacche bianche senza corna, altre nere, e selvatiche con corna ramose che hanno qualche somiglianza con quelle dei cervi ed altre, delle quali fanno menzione gli esploratori, che hanno un sol corno in mezzo alla fronte. Oltre a ciò c’è una razza di grossi montoni con la testa nera che hanno una larghissima, e lunghissima coda, che talora peserà 25 libbre. La cera e il miele vi si trovano in abbondanza, nonché l'oro e l'avorio.

Questa Costa è bagnata da quattro fiumi principali. Il Jubo, che scende dal Paese dei Galla, e si perde nell'Oceano quasi sotto l'Equatore. Il Magadoxo (Magadoxa, Magadosso, Magadasso, Magadocho o Magadazo), che bagna un Regno nella Costa d'Ajan, che porta questo stesso nome. L'Haovache (Hawash), che ha la sua origine nell'Abissinia e va a perdersi nelle sabbie del Regno di Adel. Il Zeyla, che sbocca nel Mar Rosso presso lo stretto di Bab-el-Mandeb.

Sulla Costa d'Ajan, e nel Paese di questo nome si trovano tre sorte di abitanti. Quelli che abitano sulle spiagge sono bianchi; quelli che vivono all'interno sono negri; ed un'altra razza particolare, detti Bedevini, hanno un colore olivastro scuro e parlano un linguaggio assai affine all'arabo, ma forse è fenicio poiché la parola Beduin significa villani, rustici nel linguaggio maltese, che è il dialetto fenicio. Si crede siano originari della Nubia, nazione errante e vagabonda, e di altre regioni più interne dell'Africa. Questo popolo, che è numeroso non solo in questa parte dell'Africa, ma anche altrove, vive sempre sotto delle capanne nella campagna senza alcuna legge o forma di governo in una indipendenza assoluta. Seguono per la maggior parte la Religione Maomettana, e si circoncidono, ma sono Musulmani ignorantissimi e superstiziosissimi, frammischiando ai dogmi dell'Alcorano, che essi conoscono appena nel nome, le antiche pratiche della religione dei loro antenati.

Tutto il Paese è diviso in quattro differenti Stati, cioè la Repubblica di Brava, il Regno di Magadoxo; il Regno di Adea, e quello di Adel. Tutti questi Stati sono indipendenti l'uno dall'altro:

Il Regno di Adel o Sultanato di Adal.
Il Regno d'Adel, chiamato anche Regno di Zeyla, è il più esteso e più da considerare dei quattro Stati che compongono il Paese della Costa d'Ajan.
Esso occupa la parte più settentrionale ed è bagnato dall'Oceano e dal Mar Rosso. A ponente confina col regno di Fatigar (Abissinia), che è del Prete Gianni (vedi "La leggenda di Prete Gianni" verso il fondo pagina), e a mezzodì col Regno d'Adea. Il Re di questo regno è molto riverito e ritenuto santo fra i Mori perché fa continuamente guerra ai Cristiani, sostenuto dal Re di Arabia, dai Signori della Mecca e da altri Re armeni, con cavalli e quant'altro egli avesse bisogno. Egli ricambia donando in gran numero schiavi Abissini che cattura in guerra, ricevendo così molti regali. Le genti di questo regno sono bellicose, ma sono male armate, sono di colore olivastro e il loro abito ordinario è la camicia. Da questo regno provengono talora genti, con i loro Capitani, ai danni dei paesi di Prete Gianni, prendendo occasione nei tempi in cui gli Abissini obbligano al digiuno, e di fatto indeboliti, non si pongono alla difesa, per cui molte volte sono sconfitti, presi e uccisi. Pare nondimeno, per alcune vittorie avute contro il Re di Adel, che Prete Gianni possieda gran parte del Regno di Adel, per cui le forze del Re di Adel, e di quei Mori contro i Cristiani, sono assai indebolite. Questo è quanto in generale e che si dice di questi luoghi.
Il terreno di questo Regno per lo più è sterile, arenoso, e deserto, ma dove poi non è ricoperto di sabbie, la terra è fertilissima e produce frumento, orzo, miglio, e buoni pascoli, ove sono allevati molti montoni, e grosso bestiame. È da rimarcare in questo paese la presenza di una razza particolare di pecore che hanno una coda lunghissima, ed attorcigliata come i sarmenti delle viti.

Nelle parti interne di questo Regno non piove quasi mai. Gli abitanti suppliscono però a questa mancanza di pioggia per mezzo del fiume Hoavaehe che, in un alveo largo e profondo a somiglianza del Nilo in Abissinia, è condotto attraverso moltissimi canali ad irrigare le terre nelle stagioni di piena. Oltre a tutti i prodotti della terra, di cui gli abitanti fanno traffico con gli Arabi vicini che ne sono sprovvisti, si trovano quantità di oro, avorio, incenso, pepe, e schiavi tratti dall'Abissinia che vengono venduti ai mercanti Arabi in cambio dei loro drappi di seta, collane di ambra, contarie, datteri, ed uve.
Il vestito ordinario di questi popoli consiste in una cintura di tela di cotone, che copre soltanto la metà del corpo. Le persone di qualità vestono pomposamente di seta e tela d'India.
La religione dominante è la Maomettana, di cui il Re (meglio Emiro o Imam) e tutta la sua Corte sono zelantissimi osservatori e difensori. Questo Regno fu un tempo soggetto all'Imperatore dell'Abissinia (o Impero di Etiopia), ma nel 1542, Adal organizzò un esercito efficace, guidato dall'imam Ahmad ibn Ibrahim al-Ghazi, che invase l'impero etiope. Questa campagna è storicamente conosciuta come la Conquista dell'Abissinia. Durante la guerra, Ahmad aprì la strada all'uso dei cannoni, forniti dall'impero Ottomano, che furono schierati contro le forze della dinastia solomonica e i loro alleati portoghesi, guidati da Cristoforo da Gama, figlio quartogenito di Vasco da Gama, ucciso in battaglia. Alcuni studiosi sostengono che in tale conflitto si sia rivelato, tramite l'uso su entrambi i lati, il valore delle armi da fuoco, come il moschetto a miccia, i cannoni e l'archibugio, rispetto alle armi tradizionali. Tuttavia, i moschettieri portoghesi si rivelarono decisivi nella sconfitta di Adal nella Battaglia di Wayna Daga, vicino al lago Tana, nel febbraio del 1543, dove lo stesso Ahmad fu ucciso. Gli abissini successivamente ripresero l'altopiano di Amhara e recuperarono le perdite subite contro Adal. Gli ottomani, impegnati a gestire altri problemi nel Mediterraneo, non riuscirono ad aiutare i successori di Ahmad. Quando Adal crollò nel 1577, la sede del sultanato fu spostata da Harar a Aussa, nella regione desertica di Afar, dando inizio ad un nuovo sultanato.
Sono osservabili in questo Regno i seguenti luoghi:
1. Adel - Città forte fabbricata sopra una sommità, ai piedi della quale scorre un fiume, che ha la stessa denominazione. Essa è la capitale e residenza del Sovrano, ed è situata nel centro del paese verso i confini dell'Abissinia.
2. Zeila (Zayla) - Una delle più forti città di tutto il Regno posta sul mare di Arabia 30 leghe distante dallo Stretto di Bab-el- Mandeb, all'estremità di un piccolo golfo e sull'imboccatura del fiume Zeila. Alcuni geografi credono che questa sia l'antica Città di Aualites, di cui fa menzione Tolomeo ed Arriano nel suo Periplus Ponti Euxini. Essa è una città grande, ricca, ben fabbricata, popolata e mercantile, con un ampio e sicuro porto capace di accogliere un buon numero di bastimenti. Lo storico ed esploratore Ibn Battuta visitò Zeila verso il 1331; impressionato da questa città, scrisse che essa è «la più sporca al mondo, la più laida e la più puzzolente. L'odore nauseabondo che si diffonde viene dal gran numero di pesci che essi consumano e dal sangue dei cammelli che sgozzano nelle strade.»
3. Pidar (Pidora) - È un luogo sulla costa del mare che può essere ritenuto quello che Tolomeo chiama Malao ed a cui conviene anche Arriano. Ha un buon porto coperto da un promontorio che si estende verso Levante. Di questo luogo altro non si legge sulle carte marine.
4. Barbora (Barbara o Berbera) - Città marittima della costa medesima con un porto assai vantaggioso e comodo per il commercio. Si crede che la stessa desse anticamente il nome al vicino mare del Golfo Barbarico. È abitata da Mori e si può ipotizzare che questo luogo fosse quello che già gli antichi chiamarono Alondi insieme con l'isola posta di fronte. A questo luogo arrivano molte navi da Aden e da Cambaia con le loro mercanzie con le quali quelli di Cambaia ne traggono molto oro, avorio e altre cose, mentre quelli di Aden molta carne, mele, cera e altre vettovaglie, perché si dice sia una terra abbondante. Ha dirimpetto a sé una piccola isola la quale porta lo stesso nome. È un'isola buona, ben abitata e ha carni d'ogni sorta. Le genti per lo più sono negre e hanno la loro ricchezza proveniente più dalla carne che da ogni altra cosa.
5. Metb (Meta, Met o Mette) - Città piccola, che alcuni geografi credono essere il Munda di Arriano.
6. Salir (Salira) - È un luogo posto sulla costa in questo Regno di Adel che non appare in alcun scritto, se non nelle carte marine. Si è ritenuto quindi semplicemente di porlo nel posto che esso occupa, ma non senza aggiungere, non senza fondamento, che per gli scritti di Arriano si possa ritenere che qui anticamente fosse il luogo da lui e da Tolomeo chiamato Mosilon.
7. Dardura - Città mediocre situata sulla sponda di un fiume dello stesso nome, poco distante dal mare di Arabia.
8. Guardafui - Anticamente Mossylum Promontorium (Plinio) o Aromatum Promontorium (promontorio delle spezie), è un'isola posta vicina al Capo di Gardafui dal quale prende il nome. È una piccola isola, che appare solo descritta nelle carte marine e di essa non si legge cosa alcuna. Capo Guardafui è uno dei tre capi principali dell'Africa, quali sono il Capo Spartel, il Capo di Buona Speranza. Qui finisce la costa che guarda il levar del sole e da li, guardando al Settentrione, volge verso il Mar Rosso. Tutte le navi che vengono dell'India, passano da questo capo e di là, poi, vanno portando le loro mercanzie a Barbora e Zeila, entrando anche nel mar Rosso per Aden e Ziden, porto della Mecca. Molte volte capita che queste navi, insieme a tutte le loro ricchezze, vengano prese dai Portoghesi. Questo capo è posto tra l'undecimo e il dodicesimo grado di latitudine Nord. Il Capo Roket è un altro Promontorio di questo medesimo Regno molto meno considerato del precedente.
9. Tallar - È un luogo sul mare nel Regno di Adel, che con questo nome si vede solo scritto nelle carte marine.
10. Asum - È una terra del Regno di Adel posta sul mare: è piccola, se pur vi sono in essa molte carni e vettovaglie, ma è terra di poco traffico, che non ha un porto.
11. Soceli, Comizara, Novezara e Ara - Sono città situate all'interno del Regno.

Descrizione dell'Impero Abissino o del Prete Gianni - 1564
Descrizione dell'Impero Abissino o del Prete Gianni - 1564

 

Il Regno di Adea.
Questo Regno segue per importanza quello di Adel ed occupa i territori posti a sud di quest'ultimo.
È abitato da Mori pacifici che rendono obbedienza al Re degli Abissini chiamato Prete Gianni.

Questo regno si estende fino a Magadasso (Magadoxo o Makadsciu, oggi Mogadiscio), città posta sull'Oceano Indiano e confina a ponente col regno di Ojia appartenente a Prete Gianni. È un paese molto fruttifero e in certa parte così pieno di cibo che se non si tagliano gli alberi non si può camminare. Ci sono infinite vettovaglie di ogni sorta e gran quantità di armenti molto grandi, e nel tributo che essi pagarono al Prete Gianni, fu visto un gran numero di vacche grandi, come grandi cammelli, bianche come la neve, senza le corna e con le orecchie grandi molto pendenti.

Alcuni luoghi:
1. Barraboa, cioè riva buona è un luogo del Regno di Adea, non è un posto sulla costa, ma alquanto interno, possiede un sicurissimo porto al quale si arriva navigando contro corrente sul fiume Obӱ, che qui è detto Quilmanco.
2. Granze, è una Capitaneria, o una Signoria nel mezzo di Adea, andando verso ponente c’è il paese dei Pagani mescolati insieme anche ai Cristiani che abitano in diverse parti di questo regno. Confina con i regni di Ojia, Xoa e Gorage.
3. Gamu, è una Signoria grande quasi come un regno ed è abitata da Pagani. Gli abitanti di questo paese sono poco apprezzati, non c’è in questa Signoria un solo Signore, ma molti, che in parti separate signoreggiano. Confina con i regni di Xoa, Ojia e Garage e situata, si legge, più a mezzodì e a ponente di Gamu.
4. Quilmanci (Quilmanca), è anch'esso un luogo di questo regno di Adea, così chiamato dai Mori, il quale si trova quasi alla foce del fiume Obӱ, che perciò qui riceve lo stesso nome e non è molto lontano dal regno di Melinda.
5. Barrama, cioè riva cattiva, è luogo del regno Adea, così detto per essere qui quasi una spiaggia, quindi un'ostacolo per la navigazione.
6. Magadosso (Magadoxo), è una città del regno di Adea abitata da Mori molto ricca e bella. Si legge che fu edificata da alcuni Arabi i quali essendo perseguitati dai Re di locali città, qui si fermarono e la edificarono prima di ogni altra. Pare che questa città abbia un Re o Signore particolare.
È terra con gran traffico di mercanti e vengono qui navi dal Regno di Cambaia e di Aden con panni di tutte le sorti e con altre mercanzie d’ogni qualità e conspecie, ricavandone grandi quantità d'oro, avorio e cera, o altre cose delle quali essi si privilegiano. In questa terra ci sono molte carni, frumento, orzo, cavalli e assai frutti. Gli abitanti parlano tutti la lingua ebraica e sono di colore olivastro. Ci sono Negri ed alcuni bianchi: sono persone con poche armi, usano solo tirare frecce avvelenate per difendersi dai nemici.
7. Fugia. Questa città godeva di tanta grandezza che si era fatta patrona e messa a capo di tutti i Mori di questa costa per lunghissimo tratto.
Ma parliamo dei luoghi interni, ma dei quali si ha notizia sol di due:
8. Lago dei Monachi o Isola dei Monachi, hanno questo nome nel regno di Adea, perché questo lago è così grande che pare un mare, e non si vede da un capo all'altro. Ha in sé un'isola nella quale nei tempi passati il Re degli Abissini fece fare un monastero nel quale, benché fosse edificato in terra dei Mori, pose molti Frati che morirono tutti di febbre, restandone pochi in un piccolo monastero fuori dell'isola vicino al lago.
9. Orgabra, è una terra nella estrema parte del regno di Adea della quale finora non si ha avuto altra notizia.

Costa di Zanguebar
Costa di Zanguebar

 

C O S T A  D I   Z A N G U E B A R

Il primo europeo, che diede relazione dello Zanguebar fu Marco Polo (1254-1324 d.C., nato a Venezia, viaggiatore, scrittore, ambasciatore e mercante italiano), famoso per i suoi viaggi alle Indie Orientali, e per la relazione, che lasciò scritta, e che per lungo tempo fu creduta piena di favole, finché il confronto delle moderne relazioni provarono che non aveva scritto che la pura verità. Questo insigne Veneziano chiama questo paese col nome di Zengobar (Zengibar), nome derivato dalla parola araba Zengue o Zengui, o come scrive Leone l'Africano Zahangi, che significa propriamente negro. Così Zanguebar significa correttamente "Costa dei negri", dove tutti i suoi abitanti sono di quel colore e hanno i capelli arricciati. La maggior parte dei geografi concordemente asseriscono che questo Paese sia l'antico Agisymba di Claudio Tolomeo* (100-178 d.C., nativo di Pelusium o di Tolemaide), bibliotecario ad Alessandria d'Egitto e unanimemente considerato l'ultimo grande geografo dell'antichità.


*  Tolomeo scrisse che circa nel 90 d.C. Giulio Materno (o Matiernus) fece una spedizione prevalentemente commerciale. Dal Golfo della Sirte raggiunse l'Oasi di Cufra e l'Oasi di Archei, arrivando dopo 4 mesi di viaggio con il re del Garamantes al fiume Bahr Salamat e Bahr Aouk, vicino l'attuale Repubblica Centrafricana in una regione allora chiamata Agisymba. Tornò a Roma con un rinoceronte con due corni, che fu mostrato nel Colosseo.

 

I suoi confini sono ad Est l'Oceano Indiano, ad Ovest gli Stati del Monomotapa, di Monoemugi e del Paese dei Galla, al Nord la Costa d'Ajan ed al Sud la Costa di Sofala.
Per una descrizione di queste coste, siamo principalmente in debito con le scoperte di geografi, esploratori, viaggiatori e le conquiste che i portoghesi hanno fatto.
Della parte interna e delle città, siamo ancora estremamente ignoranti e sappiamo solo in generale che l'intera regione è sterile. L'aria generalmente è calda e insalubre, le terre verso il mare basse e paludose, intersecate da fiumi, laghi, fitti boschi e foreste. I suoi frutti sono malsani; i fiumi, per la maggior parte, coperti o soffocati da erbacce, cespugli e boschetti; tutto ciò ristagna così l'aria corrompe il prodotto della terra e rende gli abitanti così malati e indolenti da ricevere poco o nessun beneficio dai suoi prodotti come miglio, riso, erbaggi, legumi, aranci, cedri e somiglianti frutti.
Si trova però in abbondanza del bestiame grosso e minuto, non inferiore a quello dell’Europa; gli arabi beduini sono le uniche persone che ne approfittano, allevando una moltitudine di bovini e vivendo principalmente sulla loro carne e latte, mentre i negri si accontentano di nutrirsi di animali e uccelli selvatici, che letteralmente brulicano.
L'intero paese abbonda però di miniere d'oro e di altri metalli, facilmente ottenibili, che i nativi, oltre al ricco prodotto dell'avorio molto comune in questo Paese, barattano per le necessità e le comodità della vita: ma proprio questa circostanza li rende estremamente gelosi di far penetrare gli estranei nell'entroterra ed in particolare i Portoghesi che si sono fatti padroni di un buon numero di posti lungo questa costa.

Gli abitanti sono neri di colorito, ma non tanto carico quanto gli altri negri della Costa Occidentale dell'Africa. Vengono descritti per la maggior parte come ignoranti e brutali, senza alcuna religione, gli arabi e i turchi li chiamano Caffers (spesso considerato uno degli insulti più offensivi per i negri africani), o Infedeli (dall'arabo kāfir «infedele», cioè «non musulmano»). Fanno eccezione coloro che vivono lungo le coste che sono in gran numero Maomettani da lungo tempo, civilizzati dal commercio con gli Asiatici e con gli Europei ed hanno alquanto frenato il loro selvaggio carattere oltre al loro bestiale temperamento, ed ancor più gli isolani essendo per la maggior parte discendenti da quegli arabi che furono banditi dal loro paese a causa della loro adesione alla setta di Alī e di cui sono ancora professori zelanti.

I Beduini, invece. hanno una specie di religione e osservano una varietà di riti superstiziosi, ma sono poco meno ignoranti e incivili dei negri; si radunano principalmente tra di loro e vivono a una distanza maggiore dalle coste e dalle rive di laghi e fiumi, per la comodità del pascolo per le loro numerose mandrie.
Generalmente si spogliano, sia i Caffers che gli arabi, con l'eccezione di avvolgere un pezzo di stoffa di cotone intorno alla vita, che scende un po' sotto il ginocchio; ma quelli che vivono lungo le coste e sono un po' più civili, hanno un po' più di raffinatezza nel loro vestito e, invece di un panno di cotone, si coprono con le pelli di bestie selvagge, più o meno ricche, secondo il loro rango, con le code di animali che si trascinano dietro per terra. Allo stesso modo adornano collo, braccia e gambe con una varietà di perline, ciondoli e bigiotteria, di ambra, vetro e vari altri materiali, che acquistano dai mercanti con il loro oro, pellicce e avorio. Ci sono tra questi sottobicchieri un gran numero di maomettani, ma un numero ancora maggiore tra gli isolani lungo questa costa; essendo, per la maggior parte, discendevano da quegli arabi che furono banditi dal loro paese, a causa della loro adesione alla setta di Ali, di cui sono ancora zelanti fedeli.

I fiumi principali, che bagnano questo Paese, sono il Kilmanci (Quilmanca o Quilmanci - nome dato dai Portoghesi da un forte e una città costruita alla sua foce) e Zebea (Zebée, Zebeo, Zebde, Kibbee o Kibbei), che sboccano nell'Oceano.

In verità, il fiume Kilmanci è l'unico di cui sappiamo qualcosa e sembra essere lo stesso che sotto nome di Zebea, scende dai monti d'Abissinia. Ha la sua fonte vicino alla montagna di Gravo, nel regno di Narea, soggetto all'impero abissino, vicino ad un villaggio chiamato Bochia (Boxa o Boscham), ed è uno dei fiumi più importanti in tutta questa parte dell'Africa, soprattutto per via della sua lunghezza ed il suo tortuoso cammino. Rumoreggiando si apre un passaggio tra le montagne che separano questo regno da quello di Gingiro**. Questo fiume trae con se una massa d'acqua maggiore del Nilo. Dopo essersi quasi interamente piegato, facendo una specie di cerchio verso nord e verso est intorno a Gingiro, facendolo diventare così una specie di penisola, e dividendo l'insediamento dei selvaggi Galla dall'Abissinia, il fiume, finora solo chiamato con il nome di Zebea, si snoda attraverso il paese dei Makoriti, e sul lato est, nella regione Mossegag Caffers, una nazione barbara, attraversa la linea equinoziale. Quindi prosegue il suo corso lungo le coste di Zanguebar, si scarica nell'oceano nel regno di Melinda, sul lato sud del forte o della città, che gli dà il nuovo nome di Quilmanci, e secondo la maggior parte degli autori dovrebbe essere il Rapte o Rapto, menzionato da Tolomeo nella sua descrizione di questa costa. Gli abissini, in alcune parti dei loro territori, danno a questo fiume il nome di Obeg, da una città con questo nome situata sulle sue rive.


**  Il regno di Gingiro è un piccolo stato di cui conoscono alcune particolarità riferite dal gesuita Anton Fernandez, che aveva tentato, del 1615, di passare dall'Abissinia a Melinda, con un'ambasciata inviata dal re Filippo II di Spagna. Questo paese è posto sulla riva del fiume Zebeo, che per attraversarlo gli abitanti uccidono una vacca, inviluppano i loro fardelli nella pelle e la riempiono d'aria soffiando con forza in essa. Poi uniscono due pertiche in forma di barella e vi si attaccano a due a due da ogni parte per tenere in equilibrio questo mezzo di trasporto che un buon notatore trascina davanti per mezzo di una corda, mentre due altri la spingono da dietro.
La tinta degli abitanti è d'un nero meno carico di quello dei negri. Hanno i lineamenti delicati e regolari quanto gli Abissini e gli Europei. Tutto è proprietà assoluta del re, tutta la nazione è schiava. Allorché il re vuole acquistare qualche oggetto prezioso recato da negozianti esteri, dà loro in cambio il numero di schiavi che vogliono. A tal scopo non fa che prendere dalle abitazioni dei suoi servi, a cui piace dare la preferenza, i figli e le figlie della famiglia. Questo un diritto del trono conservato dal tempo e guai a colui che venisse solamente sospettato di disapprovare una simile barbarie, sarebbe posto a morte senza remissione.
All'udienza di congedo, il re offrì al padre Anton Fernandez la figlia di una delle prime famiglie del regno come schiava, e siccome rifiutò di accettarla gli diede uno schiavo maschio ed un mulo. La corona è ereditaria nella stessa famiglia, ma non per ordine di primogenitura. Il successore è eletto da una razza di sacerdoti che hanno fama di maghi possenti. Dopo l'inaugurazione, il nuovo re compare dinanzi a tutti i favoriti del suo predecessore, ed ordina che siano spediti a seguire il loro caro padrone all'altro mondo. La casa del defunto viene bruciata con tutto ciò che contiene. Lo stesso si fa alla morte di una persona particolarmente privilegiata: si ardono perfino gli alberi e la vegetazione circostante, affinché la morte non prenda mai l'abitudine di fare nuove gite in quel luogo. Allorché il re sta per essere installato nel suo palazzo, si uccidono secondo il numero delle porte, uno o due altri uomini della stessa famiglia privilegiata, per dipingere col loro sangue le soglie ed i pilastri. Il giorno in cui prende le redini del governo, è suo primo atto d'autorità il dare ordini tendenti a far sì che si vada a rintracciare per tutto il regno tutti gli individui maschi e femmine che han la tigna (malattia contagiosa parassitaria della pelle), onde impedire la propagazione del morbo che potrebbe finire per attaccare sua maestà. Onde risanarli egli va alla radice del male, giacché inviati oltre il fiume Zebeo fa recidere a tutti il capo.
Il re, seduto sul suo trono che sembra una gabbia sull'alto della sua abitazione, porta una veste di seta bianca di fabbrica indiana. Il padre Anton Fernandez dice che "gingiro" significa scimmia, e trova che gli atteggiamenti ed i gesti del re nella sua gabbia gli fan fare una figura poco diversa da quell'animale, aggiungendo che a guisa di ciò che fanno le scimmie, il re ferito in battaglia è subito ucciso da coloro che gli stanno vicino o dai suoi congiunti, per timore che possa perire per mano nemica.
Il re è ritenuto un ente soprannaturale, rivale del sole. Non esce che al mattino col chiarore dell'aurora. Se il sole si è alzato prima di lui, sta tutto il giorno nell'interno della sua abitazione, e non sale fino alla sua gabbia, né accudisce ad alcun affare; poiché, dicono gli abitanti, non possono splendere due soli nello stesso momento, e quando l'altro è comparso per primo, sarebbe compromessa la dignità del re se si abbassasse al grado di far da secondo. Il corpo del re dopo la sua morte, rivestito delle più ricche stoffe ed inviluppato in una pelle di vacca, è tratto per la campagna al luogo di sepoltura dei sovrani e deposto in una buca che si lascia aperta. Non si reputa degna la terra di coprire gli avanzi del rivale del sole, che può aver solo il padiglione del sole per mausoleo. Ma se ne inonda il corpo del sangue di una infinità di vacche immolate presso la tomba e poi se ne immola una tutti i giorni sino alla morte del successore. Il sangue scorre nel sepolcro ma le carni vanno ai sacerdoti sacrificatori. Tra le altre cerimonie d'inaugurazione che sarebbe cosa troppo lunga descrivere, il nuovo re è obbligato a schiacciare fra i denti un verme che gli si reca, e che si suppone uscito dal naso del suo predecessore.
Tali sono i barbari e stravaganti costumi dei popoli dell'Africa che lasciano poca speranza di interessanti scoperte per la storia; ma non permettono però di credere che uno stuolo non troppo grande e ben armato trovi gravi ostacoli nell'attraversare queste selvagge regioni.

Tutto il paese è diviso in vari Regni e Stati in alcuni dei quali si è stabilita la potenza portoghese; altri restano sotto il dominio dei loro naturali Sovrani. I più degni di considerazione sono:

Il Regno di Mongale. Questo Regno comincia dal fiume Cuama e prosegue verso il Nord internandosi fra le terre dietro alcune altissime montagne che cingono la Costa e chiamate dai Portoghesi Picos Fragosos (Cime Frastagliate). Abbonda in oro e viene bagnato dai due fiumi Sacomba e Iloranga. Alcuni viaggiatori dicono che il Re di questo Paese sia tributario di quello di Monoemugi, ma altri lo negano sostenendo che sia indipendente. Il Re è di religione Maomettana come tutti i Signori della sua Corte, ma la maggior parte dei suoi sudditi sono idolatri.
L'unico luogo degno di osservazione in questo Regno è Mongallo o Mongale, città grande e popolatissima, sempre frequentata da un gran numero di mercanti. Ha un porto assai agevole, l'ingresso del quale è ben fortificato e sempre difeso da un presidio.

Il Regno di Angossa. Il Regno si estende per più di 10 leghe sulla costa e si espande considerevolmente sul continente. Esso abbraccia anche molte isole sparse sulle spiagge ed è bagnato da vari fiumi. Gli abitanti sono neri e seguono la religione Maomettana. Il Sovrano di questo Paese, quantunque non sia molto ricco, è assai temuto da suoi vicini. Egli abita talvolta in città, ma il più delle volte suole fermarsi qua e là per la campagna abitando sotto delle tende all'uso degli Arabi.
Si notino:
Angossa, ovvero Angoxa, città capitale e residenza del Sovrano in tempo d'inverno. Le isole dette d'Angoxa sono situate in una grande baia e sono molto numerose. Oltre a queste poi ve ne sono altre alquanto disgiunte, fra le quali:
1. Isola del Fuoco, situata dirimpetto all'imboccatura del fiume Quicongo, così chiamata dal faro, che, per ordine del re del Portogallo, era tenuto lì "in fiamme" dal 1 ° luglio alla fine di ottobre.

2. Rasa o Flat Island, conosciuta come il nome di Palm-Tree Island, isola con scogli fra le foci dei fiumi Moma e Salima.
3. Aldeira, una delle isole d'Angoxa situata al Sud della baia.
4. Mafamale o Mafamede e Lagem, poste al Nord della medesima baia.

Il Regno di Mozambico. Il Regno e la Costa con questo nome è situato fra quello di Angossa a Sud e di Quiloa a Nord.
I suoi prodotti sono miglio, riso, erbaggi, ed agrumi. Le sue principali ricchezze consistono in oro, argento, avorio, rame, cera ed ambra. Abbonda altresì di bestie feroci, cervi, cinghiali, elefanti, che infestano e causano gravi danni alle campagne.
Il clima è caldissimo e gli abitanti hanno i capelli corti e ricciuti, il viso ovale, le labbra assai grosse, i denti bianchi e larghi. Essi non ricoprono altre parti del corpo, che le natura lì, che nascondono con un pezzo di tela turchina, o di stuoia fatta di cortecce d'albero. Le persone distinte nel tenore di vita si dipingono il corpo di vari colori, verde, giallo, turchino e rosso, il quale è riservato per le persone di gran riguardo. Sono selvaggi per così dire, cibandosi anche di carne umana, quando fanno dei prigionieri di guerra. Questi barbari non ammettono altri europei a commerciare nel loro Paese, oltre ai Portoghesi.
Il Sovrano del Paese ed i Signori della sua Corte seguono la dottrina di Maometto, ma gli abitanti sono per lo più idolatri, ad eccezione di alcuni pochi convertiti alla fede cattolica dai Portoghesi di Mozambico. Si notino:
1. Dud. Città piccola, ma capitale di tutto il Regno, in cui fa la sua residenza il Sovrano.
2. Mozambica. Città e porto in un'isola (Isola di Mozambico) che porta questo stesso nome. I Portoghesi ne sono i padroni. Questa città è grande, e ben fortificata, per mezzo della quale i Portoghesi tengono in soggezione tutte le nazioni negre ed i loro Sovrani che si trovano nelle vicinanze. I vascelli portoghesi che vanno nelle Indie Orientali, ordinariamente approdano e si fermano a questa città per prendervi dei rinfreschi. Il Re del Portogallo vi tiene un Governatore, subordinato al Vicerè di Goa, e che non dura in carica più di tre anni. I Domenicani in Mozambica hanno un bel convento. L' isola nella quale questa città è costruita, abbonda di palme, limoni, cedri e fichi d'India. Scarseggia di acqua dolce e bisogna andarla a cercare nel vicino continente. Con tutto ciò l'industria degli abitanti fa che vi si trovino in abbondanza degli animali grossi e piccoli, buoi, capre, montoni dalla coda grossa e porci, la carne dei quali è molto più delicata e sana che in Europa. I Portoghesi si resero padroni di questa città fino al secolo XVI. Essi la ricostruirono e la resero allo stato di città fortificata fabbricandovi un castello, che si stima la fortezza migliore dei Portoghesi su questa costa dell'Africa. Le case sono regolarmente costruite e vi sono inoltre sei Chiese e parecchi Monasteri di Religiosi. Uno di questi detto di S. Domenico serve da Ospedale per dar ricovero ai marinari ammalati che qui approdano dall'Europa o dalle Indie Orientali. Il castello è disgiunto dalla città, difende il porto e domina la medesima. Esso ha forma quadrata e ogni angolo viene difeso da un bastione fornito di numerosa artiglieria. Oltre tutto ciò è circondato da un triplice muro e da un largo e profondo fossato. L'Ammiraglio olandese Van Caarden, nel 1606, lo assediò invano per un mese dopo aver preso la città e fu costretto a ritirarsi con la sua squadra.
3. Quirimba. Isola abitata dai Portoghesi, che hanno fabbricato circa 25 case qua e là sparse, con una chiesa custodita da un sacerdote domenicano mandato qui dall'Arcivescovo di Goa. Tutti gli abitanti sono tra di loro eguali, ed hanno i loro schiavi e la proprietà dei loro beni. Quest'isola è situata al Nord di Mozambica e fu in altri tempi popolata dagli Arabi, scacciati poi dai Portoghesi.
4. Oibo. Altra isola vicina alla precedente, ove l'aria è più sana e temperata. Questa è dominata da un particolar Signore portoghese, che ha una bella abitazione a guisa di castello. In essa si trovano moltissime sorgenti di ottima acqua, il che la rende ancor più pregiata. Le altre isolette sparse sulle spiagge non hanno nulla che sia degno di considerazione: la maggior parte delle medesime è deserta, non avendo porti, né rade, a motivo del loro bassi fondali che le circondano ed impediscono ai vascelli di approdarvi.

Il Regno di Quiloa (Sultanato di Kilwa). Il Regno di Quiloa è un ampio paese, che trasse il nome da un'isola vicina alla costa, all'estremità di un piccolo golfo ed all'imboccatura del fiume Cuavo (Enabo, Coavo, Cuavi o Quavi), che ha la sua sorgente dal lago di Zambra (Zambre, Zara, Zaire, Zembere, Zambere, Zambeze), 160 leghe distante dall'Isola di Mozambico - Il Vòssio ed altri eruditi scrittori di geografia sostengono, che questa sia la Menuthias degli antichi geografi, uno degli ultimi luoghi dell'Africa conosciuta nelle navigazioni degli antichi. Quest’isola è composta da un terreno assai fertile e atto a produrre ogni sorta di grani e frutta. Le canne da zucchero vi crescono naturalmente, ma i Portoghesi non le coltivano, attendendo che dal Brasile giungano i bastimenti carichi di zucchero, che vengono in queste spiagge a fare il commercio degli schiavi. Gli abitanti di quest'isola e Regno, sono più colti e civilizzati degli altri regni nei dintorni. Essi usano vestiti di seta e cotone, ornamenti d'oro e d'argento, e seguono la religione maomettana parlando comunemente l'Arabo. Il Re è assoluto sui suoi sudditi, ma tributario del Re del Portogallo, a cui paga annualmente il valore di 100 mila crociati. Si notino:
1. Quiloa (Kilwa Kisiwani). Città capitale del Regno e dell'isola in cui è fondata: è bella, ben fabbricata alla Portoghese, fortificata e difesa da una fortezza che domina il suo porto. Questa città fu altre volte la residenza del Re, ma nel 1507 fu presa e saccheggiata dai Portoghesi sotto la condotta di Francesco Almeida, il quale vi fece fabbricare la fortezza e rese tributario il Regno. In essa soggiornano i mercanti, che sogliono trafficare in oro, argento, ambra, perle, muschio. Ogni anno vi approdano per trafficarvi molte navi d'Europa e delle altre parti del mondo.
2. Quiloa Vecchia. Città situata sul vicino continente sulla sponda di un fiume. Essa è grande, bella e forte, ben popolata. Riconosce la sua fondazione da certo Aly figlio di Hascem Re di Persia. In questa città suol fare la sua ordinaria residenza il Sovrano del Regno.
3. Zenzibar o Zanzibar. Isola da cui ha tratto il nome da Zanj, parola origine del toponimo "Zanzibar". Essa ha 15 leghe circa di lunghezza e 40 di circonferenza. È fertile di ogni sorta di grani (cereali) e frutta, ed è soggetta ad un piccolo Principe, che prende il titolo di Re. L'isola e il regno di Zanzibar è situata di fronte alla baia di San Raffaele, tra Pemba e Momfia, a circa otto o nove leghe dalla terra. È stato tributario al Portogallo da quando la loro flotta è apparsa su questa costa, il re si sottomette a pagare loro un peso annuale d'oro e trenta pecore. Produce molto riso, miglio, canna da zucchero e foreste di aranci e cedri. Abbonda di fiumi e svolge un commercio molto importante con i regni adiacenti; così tanto che i Portoghesi in soli due mesi presero, vicino alle sue coste, non meno di quattordici navi da quegli isolani, ricche di varietà di merci. Tra quest'isola e il continente c'è un canale, o meglio stretto, così stretto, che nessuna nave può attraversarlo senza essere visto da entrambi i lati.

4. Quiloa Nuova. Città fabbricata sull'isola con questo nome dai Portoghesi, fu poi distrutta dai medesimi e l'isola data in potere al Re, il quale nondimeno continua ad essere tributario, come prima dei Portoghesi, che frequentano ancora questa Costa. I popoli Zimba uniti ai Jagga hanno ridotto questo Sovrano in declino e miseria, devastando tutto il suo Stato.
Nelle vicinanze di questo litorale si trovano le isole di Quiloa, Monfia (Mafia), Zanzibar, che è la maggiore delle altre, e Pemba. Tutte le isole sono molto fertili.

Il Regno di Mombaza. Il Regno di Mombaza abbonda di tutte le cose necessarie alla vita e comprende una grande estensione del paese sulla Costa, oltre all'isola con questo nome, che forma con essa un piccolo Golfo. Il suo terreno è assai fertile: si coltivano miglio, riso, erbaggi ed agrumi. L'aria è temperata, benché il Regno sia posto nella zona torrida. I suoi pascoli sono eccellenti ed alimentano gran quantità di grosso e di minuto bestiame. I Portoghesi avevano convertito alla Fede Cattolica la maggior parte degli abitanti, ma dacché essi furono cacciati totalmente dal Paese, il Re e la sua Corte sono ritornati al Maomettismo di prima, mentre il basso popolo si è sempre conservato idolatra.
Il Sovrano di questo Regno è uno dei più potenti Monarchi, e dei più stimati fra i negri. Si crede che potrebbe metter in campo un esercito di 80 mila soldati. Egli si dà il titolo d'Imperatore dell'Universo. Si noti:
Mombaza (Mambasa, oggi Mombasa - vedi anche Isola di Mombasa). Città capitale dello Stato, grande, ricca, popolosa, con un porto eccellente, situata all'imboccatura di uno dei rami del fiume Zebea (Zebée, Zebeo, Zebde o Kibbee). Essa è fabbricata sopra una rupe, ed è ornata di belle fabbriche e abitazioni all'uso d'Europa. Il famoso Francesco Almeida, comandante portoghese, se ne impadronì nel 1507, e dopo averla saccheggiata e bruciata, la ricostruì nella forma che si vede al presente. Qualche tempo dopo Nugno d'Acugna la saccheggiò nuovamente, lasciando un buon presidio in un forte castello per mantenersi in possesso dell'isola e del suo ricco commercio. I Portoghesi lo tennero per lungo tempo, finché ne furono scacciati dagli abitanti. Recuperarono poscia il possesso della Fortezza nel 1631 e vi si mantennero fino al 1700, anno in cui ne furono scacciati dagli Arabi Muskati, che passarono a fil di spada tutto il presidio e vi fecero un ricco bottino, sopratutto di 200 casse di avorio del valore di 250 mila zecchini. Finalmente nel 1729 i Portoghesi tornarono un'altra volta ad impadronirsi della medesima fortezza e dell'isola, la quale ha circa 12 miglia di camminamenti ed un terreno molto fertile.


Il Regno di Melinda. Questo Stato è governato da un Re Maomettano, il cui dominio si estende fino alla Costa di Ajan, ed al fiume Quilmancy. Confina questo Paese con la Repubblica di Brava, e con il Monoemugi. Il suo Sovrano è molto rispettato da suoi sudditi e vicini, benché sia quasi tributario dei Portoghesi che lo sostentano contro il Re di Mombaza. Gli abitanti sono in parte olivastri, in parte negri, ma le donne sono per lo più bianche, e mentre gli uomini vestono meschinamente, esse portano abiti di seta e di drappo finissimo. Il terreno è molto fertile e la popolazione assai numerosa. Si noti:
Melinda (Melinde, oggi Maindi). Città grande, bella, ben fabbricata, e capitale di tutto il Regno. Essa è situata in un'amena pianura all'imboccatura del ramo settentrionale del fiume Zebea (Zebée, Zebeo, Zebde o Kibbee). I Portoghesi ne sono i padroni. Vi si contano diciassette Chiese, nove Monasteri di Religiosi e molte belle fabbriche alla Moresca ed all'Europea. Ha un ottimo porto, quantunque l'ingresso sia reso difficile dagli scogli e bassi fondali. È difesa altresì da una forte cittadella fabbricata dai Portoghesi. Fra le pubbliche fabbriche più ragguardevoli si distinguono il Palazzo del Governatore, il fondaco, e la casa dei Mercanti. Questa città esercita un gran commercio, che tutto resta in mano dei Portoghesi. Essi vi portano tutte le merci e manifatture d'Europa e ne ricevono in cambio oro, denti d'elefante, schiavi, penne di struzzo, cera, droghe diverse, zibetto, ambra grigia, incenso, e copia grandissima di riso, che viene trasportata agli altri loro stabilimenti. La popolazione di questa gran città e delle sue adiacenze ammonta a 200 mila persone, la maggior parte Cristiani. I contorni della città sono incantevoli, ricolmi di giardini e case di delizie.
Pemba. L'isola e il regno di Pemba si trova di fronte alla baia di San Raffaele, nel regno di Melinda. È collocata a circa 5 gradi di latitudine sud, proprio di fronte alla città di Mombaza. È piccola e irrilevante, anche se i suoi principi assumono il titolo di re, come quelli di Mombaza e Melinda.

Arcipelago di Lamu
Arcipelago di Lamu

 

STATI SITUATI TRA MELINDA E AJAN

Tra la costa d'Ajan e quella di Melinda si trovano ancóra altri due Regni, i quali però non molto sono conosciuti dagli Europei.
Il primo di questi Regni è quello che si denomina di Pata e l'altro dicesi di Lamo: ambedue però sono molto ristretti e di poca considerazione. I Portoghesi da lungo tempo li resero tributari alla loro potenza. Si notino:
1. Pata (oggi Pate). Quest'isola prende il nome dalla capitale situata alla foce di una baia molto spaziosa, chiamata dai Portoghesi Baya Formosa, a circa un grado di latitudine sud. È una grande città ben costruita e popolata, ha un comodo porto e svolge un considerevole commercio con i regni e le isole vicine, in particolare quelle di Lamo, Ampasa, Sian e Chelichia che la circondano a breve distanza ed hanno ugualmente i loro nomi dalle rispettive capitali, nessuna delle quali è abbastanza importante da richiedere un'ulteriore descrizione. Il re di Pata è un maomettano e così pure la maggior parte dei suoi sudditi, tributario del governatore portoghese di queste coste, che è poco meglio di un tiranno, come si può giudicare dalla vergognosa esecuzione del Re di Lamo in quest'isola dove ha o aveva un forte. Pata aveva un'altra città e un altro porto, di nome Moudra; ma la città fu successivamente presa e rasa al suolo da Tommaso de Sousa, ammiraglio portoghese, per aver rifiutato, o solo trascurato, di pagare il solito tributo.
2. Lamo (oggi Lamu). L'isola o il regno di Lamo ha la sua capitale in una città che porta lo stesso nome, con un buon porto, ben murata e fortificata. Il Re e il governo, essendo musulmani, sono spesso assaliti e in guerra con il resto degli abitanti, che sono idolatri, sebbene l'intera isola sia tributaria del Portogallo, come il resto di questo piccolo arcipelago. Nell'anno 1589 il Re maomettano fu decapitato dai portoghesi. Il suo nome era Panebaxita e il suo crimine, reale o preteso, fu quello di aver tradito Rock Britto, governatore della costa di Melinda. Per questo fu catturato nella sua capitale, insieme ad altri quattro dei suoi sudditi maomettani, dall'ammiraglio portoghese Sousa Contingo e portato nella successiva isola e regno di Pata, dove fu giustiziato pubblicamente. Da quel momento a Lamo risiede un Principe che ha continuato ad essere tributario dei Portoghesi.
3. Mondra. Città nei passati tempi riguardevole, ma avendo il Sovrano della medesima ricusato di pagare un tributo al Re del Portogallo, fu presa e distrutta dalle fondamenta da Tommaso de Sousa, ammiraglio portoghese.
4. Ampaza o Ampasa. Città capitale di un Regno, o piccolo Stato con questo nome. I Portoghesi comandati da Alfonso di Mello, capitano di vascello, distrussero questa città, a motivo che il suo Sovrano ricusava di pagar tributo alla Corona del Portogallo. Dopo quest'epoca, convenuto il Sovrano ad un accordo con i Portoghesi per il tributo preteso, la città fu di nuovo ricostruita.
5. Cbian o Sian, e Chelicia. Sono altri due piccoli Stati, ora tributari dei Turchi, ora dei Portoghesi.

Costa Cafra o Cafreria Orientale - 1650
Costa Cafra o Cafreria Orientale - 1650

 

C O S T A  C A F R A   O  C A F R E R I A  O R I E N T A L E

La Cafreria Orientale si estende dalla foce del fiume Sofala fino a quella del Cuama, sviluppandosi molto più nell'interno che sul mare, avanzando fino alle altissime montagne di Lupata, dette la Spina del mondo, che si estendono da Nord a Sud. Essa contiene ciò che anticamente formò gli Stati del Monomotapa, dal quale si sono ribellati, e sottratti molti regni, e nazioni. È uno dei paesi più fertili, e più ricchi di miniere d'oro che si conoscano sul globo, tanto che i Portoghesi chiamarono il potentissimo Principe di Monomota imperatore dell'oro. I suoi abitanti sono per lo più ben fatti, robusti, e valorosi. Fanno parte della Cafreria Orientale i seguenti Paesi:

Il Regno di Sofala.
Il Paese, Costa, o Regno di Sofala, detto altrimenti di Sena, comprende un ottimo paese fertilissimo, e ricchissimo d'oro. Gli abitanti sono per la maggior parte Neri, e pochi sono i Bruni discendenti da quegli Arabi che frequentarono queste spiagge prima che vi giungessero gli Europei.
Appena i Portoghesi ebbero cognizione di questa ricca contrada, pensarono di impadronirsene, il che riuscì loro rendendosi tributario il Re, che prima era vassallo del Monomotapa. Questo Sovrano ha la sua residenza nella parte Occidentale del Regno sulle sponde del fiume Sofala. Segue la religione Maomettana, come pure la maggior parte della sua corte, ma gli altri suoi sudditi sono tutti Cafri o per meglio dire "Caffers", quindi "Infedeli".

Le miniere d'oro di questo Paese sono tanto ricche, che al dire degli abitanti, ogni anno si ricavano in oro più di due milioni di zecchini, la maggior parte del quale viene trasportato in Arabia dalle navi di Zidem, o Gedda, e della Mecca, ed il rimanente passa nelle mani dei Portoghesi. Tutto ciò fa credere, che questo sia veramente il Paese di Ofir, dove giungevano le flotte di Tiro, e di Salomone partendo dal Porto di Asiongaber (situato ove finiva il Golfo Elanitico - Sinus Elaniticus, poi Golfo di Akabah, che è nient'altro che il corno orientale del Mar Rosso). Questa congettura trova appoggio in alcuni antichi edifizi di struttura forestiera, con alcune iscrizioni in caratteri sconosciuti, che tuttavia in qualche parte sussistono. Si notino:
1. Sofala o Zefala. Città piccola capitale di tutto il Regno è situata sulla spiaggia del mare, un poco al Nord della foce del fiume Sofala. I Portoghesi se ne reſero padroni nel 1586, e vi regnava allora un Principe Maomettano, che si rese tributario della Corona del Portogallo. Essi vi fabbricarono poi una Fortezza che assicura il loro commercio coi Cafri, che vi portano dell'oro, e dell'avorio. Gli Arabi la chiamano Sofalat- al-Daheb, miniera dell'oro.
2. Hantema, Dandema, e Dangala. Sono gli altri luoghi degni di considerazione di questo Regno.
3. Sajona e Boccagasta. Sono villaggi.
4. Le Isole Bazarute o Isole di Bazaruto. Dette dai Portoghesi, Las Bosicas, si trovano al Nord del Capo S. Sebastiano.
5. L'Isola Sarsta. Situata alla foce del fiume Sofala dirimpetto alla città.

Il Regno di Sofala è chiamato da alcuni geografi Quiteni; ma questo è il nome del Sovrano, non del paese. La capitale, secondo il Danville, si chiama Zimbaoé, ove fa la sua residenza il monarca Quitené, in un palazzo costruito di bambù e cinto da una siepe di denti di elefante, ed è situata secondo questo geografo verso il Nord-Ovest sul fiume Sofala. Secondo il Davity il nome di Zimbaoé significa in linguaggio del paese Corte. All'Ovest del Regno di Sofala si trova quello di Manica, bagnato dal fiume dello Spirito Santo, o di Manica. Il Sovrano è tributario del Monomotapa, e si chiama col nome di Cacanga. Questo regno è assai montuoso, ed in esso hanno origine tre importanti fiumi, che sono il Manica, il Sofala, ed il Manzoro, che si unisce poi al Cuama.

Regni di Monomotapa e Monoemugi
Regni di Monomotapa e Monoemugi

 

Il Regno di Monomotapa.
Il Monomotapa*** comprende buon tratto della Cafreria Orientale e si stende fra i due fiumi Manica e Cuama, dalle loro sorgenti fino alla foce. Alcuni geografi chiamano questo Regno col nome di Benomotapa.
A Nord confina col Regno di Monoemugi, da cui è separato per mezzo del fiume Cuama; ad Ovest si inoltra fino al Paese degli Ottentotti ed altre selvagge popolazioni di Cafri; a Sud ha il fiume Manica o di S. Spirito; e ad Est l'Oceano Indiano.
Il fiume Cuama o Quama, detto altrimenti Zambese Empondo (Zambesi, ingl.Zambezi; port. Zambeze) è uno dei maggiori fiumi dell'Africa, ricevendo le acque di altri ragguardevoli suoi affluenti, quali il Manzoro, Mocaras, Cabreze, che formano il Chireira, il Mangaja, Suabo e Pinguagem. Tutti questi fiumi rendono il Cuama copiosissimo d'acqua.
Questo Regno è situato fra il Tropico del Capricorno e soffre perciò un clima caldissimo. Il terreno è fertile e produce in abbondanza frumento, riſo, eccellente frutta, e canne da zucchero, che senza coltura crescono sulle sponde dei fiumi. Vi si trovano ottimi pascoli, ma è un gran danno per questo Paese, che non vi siano fra suoi quadrupedi né cavalli, né altri animali da soma. Gli elefanti sono in grandissimo numero e dei loro denti si fa un traffico considerabile. Secondo le relazioni dei viaggiatori, ci sono anche degli struzzi tanto grossi quanto un bue ed una specie di cervi detti Alsingè, che sono assai feroci. Tutte queste ricchezze però sono poco apprezzabili in confronto all'oro, di cui questo regno abbonda più di qualsivoglia altra parte dell'Africa, in modo che il Sovrano, che vi regna, è chiamato dai Portoghesi l'Imperatore dell'oro. Le più ricche miniere di questo metallo sono quelle di Massapa nel Regno di Mongas, dette anche Ofur, che alcuni scrittori sostengono essere l'Ofir di Salomone. Comunque sia, è certo che sono ricchissime; gli esploratori raccontano che una volta fu trovato un pezzo d'oro del valore di 400 mila ducati. Ma questa deve essere una esagerazione degli scrittori, o una errata traduzione, atteso che gli Europei conoscono ancora troppo poco questo paese, per poterne parlare con precisione. Il Monomotapa è abitato dai Cafri idolatri, e tale ancora si conserva il suo Sovrano che mantiene una Corte numerosissima. Il Regno è diviso in varie Provincie, fra le quali gli esploratori fanno menzione di alcune soltanto, onde basterà elencare i luoghi principali conosciuti nella Geografia, che sono i seguenti:

1. Madragam, ovvero Banamotapa, o Monomotapa. Città grande ricca e ben fabbricata, posta sopra un braccio del fiume Cuama. È circondata di grosse ed alte mura che la rendono una delle piazze più forti di tutto il Regno. Il Re, o Imperatore, vi fa la sua ordinaria reſidenza in un palazzo magnifico, adorno di torri e fornito di suppellettili preziose. Le abitazioni degli abitanti più importanti sono tutte fabbricate con grosse pietre bianche, imbiancate, di dentro, e di fuori.
2. Simbaù. Luogo di delizie dell'Imperatore, e città magnificamente fabbricata. Il palazzo del Sovrano passa per una delle meraviglie del paese.
3. Chituchin. Città grande e mercantile al Nord di Madragam.
4. Belegura. Città e fortezza di frontiera molto popolata e ben difesa.
5. Vallonta. Città capitale di un Regno con questo nome. È molto bella, ben fabbricata, popolata, mercantile e giace sul fiume di Natal.
6. Moscata. Città capitale di un Principato con questo nome. Essa è una delle maggiori città del Regno.
7. Garma. Altra città appartenente allo stesso Principato di Moscata.
8. Abigasso. Città capitale di un Regno di queſto nome, molto eſteſo, e ricco. Essa è una città piccola, ma ben fabbricata, ed assai forte, e giace sul fiume Enfans.
9. Cumisa. Città grande sullo stesso fiume Enfans.
10. Tialso. Città capitale di un Regno col suo nome.
11. Zimbra. Città grande appartenente all'antecedente Regno di Tialso. È situata sul fiume Jama.
12. Burro e Galilo. Città capitale del regno di Burro, situata presso le miniere che abbondano d'oro.
13. Dobel. Fortezza considerabile.
14. Quinticui. Città situata a poca distanza dal fiume Zambeze, in un territorio assai ricco di miniere d'oro.
15. Butua. Città grande, murata e ben costruita, situata ſulla sponda di un bel fiume. L'Imperatore è solito soggiornarvi in estate. È la ca pitale di un regno con questo nome confinante con quello di Mataman e limitato dalle Montagne della Luna, e dal fiume Manica. Il paese in cui è posta questa città è completamente piano, ma fertile, con tutti prodotti naturali e miniere d'oro.
16. Mairagasi. Città capitale d'un regno vastissimo posto al Nord di quello di Butua. La città è grande, ma aperta, ed è situata sulla spiaggia del fiume Zambeze. In essa si fa gran commercio d'oro e di avorio.
17. Meace. Città piccola, ma ben fabbricata, e ca pitale di un Regno di queſto nome, uno de più grandi, e più fertili di tutto l'Impero, essendo irrigata regolarmente ogni anno dal fiume Zambeze.
18. Chicova. Piazzaforte, capitale di un regno che porta questo nome. Giace sul fiume Zambeze.
19. Tete. Luogo fortificato sul fiume Zambeze, ove altre volte soggiornavano i missionari gesuiti portoghesi.

20. Massapa. Città capitale del Regno di Inbamior, che giace al Nord. Qui i Portoghesi posseggono una fortezza.
21. Sena. Fortezza portoghese situata sul fiume Zambeze.
22. Mongas. Regno indipendente dall'Imperadore del Monomotapa, che si estende sulle sponde dei fiumi Cuama, e Zambeze, e comprende un paese assai fertile ed abbondante.
È detto Ofur, ed in esso si trovano le miniere d'oro.


***  Il termine Monomotapa è una traslitterazione portoghese del titolo reale africano Mwenemutapa, che significa principe del regno. È derivato da una combinazione di due parole Mwene col significato di principe, e Mutapa col significato di regno.
Lo stato di Monomotapa fu conosciuto la prima volta dagli Europei nel secolo XVI. I Portoghesi stabiliti sulle coste di Zanguebar furono i primi a penetrarvi, e seppero guadagnare la buona grazia di quell'Imperatore, in modo che ottennero una intera Provincia di 90 leghe di estensione per stabilirvisi. Riuscì ancora ai medesimi di introdurre fra questi popoli il Cristianesimo attraverso dei Missionari Gesuiti, e di farvi un gran numero di Proseliti. Finalmente nel 1560 lo stesso Imperatore con la sua famiglia, e più di 300 principali Signori ricevettero il battesimo per mano del P. Gonsalvo Silveyra, Portoghese Gesuita; ma poco dopo insinuatisi alla Corte i Missionari di Maometto, non fecero gran fatica a persuadere il Principe neofito, e la sua Corte a seguire piuttosto l'Alcorano, che l'Evangelio, dando loro ad intendere, che il Gesuita fosse uno stregone, e che per ciò bisognava farlo decapitare, il che fu subito eseguito. Nel 1569 Francesco Baretto, gentiluomo portoghese, fu dichiarato dall'Imperatore suo Governatore Generale, e posto alla testa delle sue armate destinate a conquistare tutte le miniere d'oro di Manica, e dei paesi mediterranei possedute dai Cafri. Questo comandante però dopo molte battaglie, e conquiste, abbandonò l'impresa per volare in soccorso di Mozambico, ove s'era formata una insurrezione. Gli fu surrogato Vasco Homen nel comando, il quale internatosi nel paese senza ordine, né diſciplina, e senza ben conoscerlo, cadde in una imboscata dei Cafri, ove restò morto con tutta la sua gente. Dopo quell'epoca i Portoghesi non ebbero più grande influenza nel governo dell'Impero di Monomotapa; ma seguitarono per altro a trafficarvi per lungo tempo. Oggi però questo commercio è andato in total decadenza.

Il Regno di Monoemugi o Monoemughi.
È un paese vastissimo situato nel cuore dell'Africa. Esso confina al Nord con il paese dei Galla, e con gli stati del Re di Gingiro, al Sud col Monomotapa, all'Est con lo Zanguebar, all'Ovest con il Congo e con Makoko o Macoco.
Il suo terreno in parte è montuoso ed in parte piano. Nella parte montuosa si trovano i rinomati Monti della Luna. Il clima è caldissimo, ma generalmente salubre. Vi si trovano varie miniere d'oro, d'argento, di rame, e quantità di elefanti. Gli abitanti è certo che sono negri, del colore e della fisionomia dei Cafri. Essi sono idolatri ed ubbidiscono ad un Sovrano che ha sotto di se alcuni altri Re tributari. Tutto il paese è diviso nelle quattro seguenti Provincie:
Provincia di Gazabala.
Questo Regno, o Provincia che voglia dirsi, occupa la parte più meridionale di questo ampio stato. Si notino in esso:
1. Gazabala o Gazabela. Città capitale non solo della Provincia, ma di tutto il regno di Monoemugi. In essa fa la ſua ordinaria residenza il Sovrano. È città ben costruita e fortificata, ed è posta sulle sponde di un piccolo lago, che deriva da quello di Zaflan
. Lago grandissimo formato dalle sorgenti che scendono dai famosi Monti della Luna, ai pedi dei quali è situato. Si dice che la sua estensione sia grandissima e che contenga parecchie isole (Lago Zaflan ovvero l'odieno Lago Vittoria Nyanza. Il Nilo, il Congo, il Cuama o Cuamo -Zambesi- e i "mostruosi fiumi che scorrono verso Sud" apparentemente il Sabi e il Limpopo, vengono fatti sorgere da questo lago). ***

2. Maboga. Città deliziosissima, situata in una ampia ed assai fertile pianura.
Provincia di Gorga.
Il Regno, o Provincia di Gorga. è situata intorno del gran Lago di Zaflan. In essa si trovano i seguenti luoghi da prendere in considerazione:
1. Gorga. Città capitale posta sulla riva di un fiume che va a scaricarsi nel mare sopra il Paese di Quiloa. È città grande e ben fortificata.
2. Gaftat o Gafat. Mediocre città mercantile circa otto miglia distante dal Lago di Zaflan.
3. Hierb o Hier. Città considerabile nel commercio vicina ad un braccio dello stesso lago.
Provincia di Tirout.
Questa Provincia è la maggiore di tutte in estensione, e giace a Sud di quella di Gazabala. Contiene:
1. Tirout o Tirut. Capitale di tutto il paese.
2. Matafuna. Città grande, forte, ben costruita che esercita un gran commercio di ogni ſorta di mercanzie.
Provincia di Camour.
La Provincia di Camour fu anticamente una Repubblica, ma fu poi soggiogata dal Sovrano di questo Impero. Si notino:
1. Camour o Camur. Città capitale, grande e molto mercantile.
2. Angoja ed Astagoa. Luoghi di gran commercio.
3. Leuma. Luogo assai delizioso.

 

***  Nelle mappe di Forlani (Paolo Forlani cartografo veneto. Nasce a Verona probabilmente nella terza decade del XVI secolo. Nel 1567 pubblicava la sua prima opera "Il primo libro delle città et fortezze principali del mondo". È probabile che sia morto durante la peste che si propagò a Venezia nel 1575) e altre del XVI secolo, il Nilo, lo Zaire, Cuama e lo Spirito Santo furono fatti scorrere dal lago Zambere o lago Zaire. Il Nilo, in particolare, anche dal lago Zaflan. Il cartografo e geografo francese Guillaume Delisle, detto anche Guillaume de l'Isle (1675-1726) fu il primo a riformare queste assurdità.
La mappa africana di Tolomeo [vedi la mappa del continente del 1554 di Sebastian Münster ] mostra il Nilo che scorre da due laghi paralleli alimentati da acque di montagne (le Montagne della Luna, anche se non nominate lì). Ha citato come fonti i racconti del mercante greco-romano Diogene vissuto tra il 70 e il 130 d.C. e di altri viaggiatori che sostenevano di aver viaggiato nell'entroterra dalla costa dell'Africa orientale e di osservare due grandi laghi e montagne innevate. Diogene, in particolare, marciò nell'interno del continente africano fino a due grandi laghi dietro i quali si ergevano le montagne innevate da dove pensò nascesse il Nilo. Egli chiamò rispettivamente "Monti della Luna" le vette innevate dei monti Meru e Kilimanjaro, "Laghi della Luna" il lago Vittoria, il lago Eyasi e il lago Natron e "Altopiani della Luna" quelli dei territori corrispondenti alla pianura del Serengeti. Così Claudio Tolomeo attestò che al centro del continente africano vi erano sicuramente quei grandi laghi alimentati dalle "Montagne della Luna" dai quali usciva il Nilo. Senza che Tolomeo ne proferisse il nome, questi laghi su mappe successive acquisirono i nomi di Zaire lacus (Lago Zaire) e Zaflan lacus (Lago Zaflan). A volte erano allineati fianco a fianco; spesso, uno veniva posto in avanti rispetto all'altro. Questa tradizione nelle mappe dell'Africa ha continuato fino al 1700. Guillaume de L'Isle (1675-1726), spesso chiamato il padre della geografia moderna a causa del suo approccio scientifico alla materia, fu il primo cartografo a scartare i laghi. Sulla sua mappa “L'Afrique dressée sur the osservazioni of Ms. de l'Academie Royale des Sciences. . . ”, Pubblicato per la prima volta nel 1700, ha dato la fonte corretta per il Nilo azzurro come Lago Tsana (Tana) in Abissinia (Etiopia), senza dubbio sulla base dei resoconti dei missionari portoghesi del 17° secolo, tra cui Pedro Páez e Jerónimo Lobo.

La prima "spedizione" conosciuta sul Nilo fu intrapresa da due centurioni inviati dall'imperatore romano Nerone nel I secolo d.C., ma non riuscirono a superare il Sudd—La grande palude di boschetti e vegetazione acquatica del Nilo Bianco che si trova tra le latitudini 5° e 10° nord nel sud del Sudan. Fino alle esplorazioni del 1860 di Burton, Speke, Baker e Grant - ulteriormente confermate da Stanley nel 1870 - fu risolto il puzzle dei laghi. Le fonti del Nilo Bianco si trovano nei torrenti di alimentazione e nei fiumi del Lago Vittoria; le sue acque fuoriescono a Ripon Falls (ora sommerso dalla diga di Owen Falls) e poi attraversano il Lago Alberto e si uniscono al Nilo Azzurro a Khartum. Concepibilmente, il lago Vittoria e il lago Alberto erano i due laghi di Tolomeo. Il gruppo montuoso Ruwenzori, al confine tra l'Uganda e la Repubblica Democratica del Congo, tra il Lago Alberto e il Lago Edoardo, contiene cime innevate che superano i 16.000 piedi. Identificato per la prima volta da Stanley nel 1880, queste montagne sono ora solitamente associate alle Montagne della Luna di Tolomeo. La borsa di studio ha dimostrato che Tolomeo non ha originato il concetto di "Montagne della Luna" e il loro ruolo di sorgente del fiume Nilo - probabilmente era un'idea araba ereditaria - ma la popolarità della sua La Geographia [vedi Tolomeo ] ha ampiamente contribuito alla sua propagazione. [Per una discussione approfondita, vedi William Desborough Cooley, Claudio Tolomeo e Il Nilo. . . (Londra, 1854).]

Isole dell'Africa nel Mar Indiano - 1650
Isole dell'Africa nel Mar Indiano - 1650

 

ISOLE DELL'AFRICA NEL MAR INDIANO NEL 1841

Le Isole dell'Africa nel Mar Indiano sono le seguenti:
1. L'isola di Socotòra è posta vicino al capo Guardafui. Essa fu scoperta dagli Spagnoli nell'anno 1501, ed era governata da un Re particolare, che dipendeva da uno Sceicco d'Arabia; ora è passata sotto il dominio dell' Inghilterra.
2. Le isole Pemba, Zanzibar, Monfia, Quilòa e molte altre di minor considerazione, sono poste presso la costa di Zanguebar da cui geograficamente dipendono (vedi Arcipelago di Zanzibar).
3. Le isole di Serchelles, formano un gruppo di 30 isolette poste a settentrione del Madagascar. Esse appartenevano ai Francesi, i quali le cedettero agli Inglesi nel 1814. La città principale è Mahè, fornita di ottimo porto.
4. Le isole Amirantes, formano un piccolo gruppo di 11 isolette, poste ad oriente delle precedenti, e le maggiori sono quelle di Juan de Nova e di S. Pietro. Esse appartengono agli Inglesi.
5. Le isole Comore, in numero di quattro Comora, Angiuan o Johanna, Mayotta e Mehilla, una volta floride e popolate, ma oggi devastate e quasi deserte per le incursioni dei pirati madagascaresi; ciascuna di esse è governata attualmente da un principe indigeno indipendente, eccetto Mayotta, oggi francese. Situate all'ingresso settentrionale del canale di Mozambico, sono abitate da Arabi pirati, che una volta erano tributari dei Portoghesi, i quali le scoprirono. La principale è Comora, che ha dato il nome a questo gruppo.
6. L'isola di Madagascar, che è la più grande dell'Africa, è divisa dal continente per mezzo del canale di Mozambico. Quest' isola è traversata da settentrione a mezzogiorno da una lunga catena di alpestri montagne da cui discendono molti fiumi, e comprende il regno di Madagascar, che occupa la maggior parte dell'isola, e la Parte Indipendente di questo regno ripartita fra diversi piccoli capi. Il regno di Madagascar, è stato fondato dal giovane Radama capo degli Ovas, i più industri e potenti fra i popoli madecassi; questo conquistatore che aveva cominciato la difficile e gloriosa impresa dell'incivilimento dei suoi sudditi, fu avvelenato nel 1828 dalla moglie per porre sul trono un suo favorito. Alcuni fra i popoli, da costui sottomessi, si ribellarono e questo portò ad una completa dissoluzione del regno. All'epoca della morte del suo fondatore comprendeva molti stati, tra i quali:
- Il Paese degli Ovas, occupa il rialto interno dell'isola, ed ha per capitale Tana Narive (Tananarive o Tanane-arrivu), città di circa 50 mila anime.
- Il Paese dei Seclavi, che si estende sulla costa nord-ovest dell'isola, ed i luoghi più riguardevoli sono: Bombetoc, città commerciante con porto, e Muzangara (Muzangaye), città commerciante, con porto e 30 mila anime ed il cui capo, dopo la morte di Radama, si è dichiarato e reso indipendente dal regno di Madagascar. Ivi trovasi il bel porto Luquez, ultimamente ceduto agli Inglesi.
- Il Paese degli Antavari, sulla costa nord-est dell'isola con la baja Woemar nella parte settentrionale del paese. Nella parte più meridionale trovasi la superba baja Antogil, col porto Choiseul, ove i Francesi hanno uno stabilimento (la parola "stabilimento" indica la fissazione, da parte di persone fisiche o giuridiche, della propria dimora e del centro della propria attività economica in uno stato diverso da quello di origine e appartenenza), la cui città principale è Tintingua, luogo ragguardevole, occupato militarmente dai Francesi nell'anno 1829. Di faccia a questo paese è situato lo stabilimento francese dell'isola S. Maria, con il forte S. Luigi.
- Il Paese de Betimsaras, sulla costa orientale al sud della precedente: la piccola e commerciante città di Foulepointe è il luogo principale. Ivi i Francesi hanno uno stabilimento.
- Il Paese dei Betanimeni, al sud del precedente, è il paese più fertile e più commerciante dell'isola, ed ha per capitale Tamatave, città forte con una rada sicura: questa città fin dal 1829 è occupata dalle truppe francesi.
- Il Paese degli Antacimi, ove si trova Andevurante, il più grosso villaggio dell'isola.
- Il Paese di Ancove, i cui abitanti passano per i più industriosi.
Tra i paesi indipendenti si osserva:
- Il Paese di Anossr, sulla costa sud-est dell'isola, diviso tra vari capi amici dei Francesi. Ivi trovasi il Porto S. Lucia, e le rovine del Forte Delfino, uno degli stabilimenti francesi in quest'isola. La costa sud-ovest è pressoché incognita, poiché è abitata da gente inospitale e feroce. Quest'isola è abitata da Africani e da Arabi al numero di circa 3 o 4 milioni. Il loro governo è dispotico-feudale; in alcuni luoghi è indipendente. La religione che vi si professa è il feticismo; vi sono pure maomettani. Alla parte orientale di questa si vedono le isole di Sabbia e d'Angasar.

7. L'isola di Francia, fu scoperta nel 1598 dagli Olandesi, che la nominarono Maurizio, poi se ne impadronirono i Francesi, i quali nel 1814 la cedettero agli Inglesi, che la dominano per mezzo di un governatore, che risiede a Porto Luigi o Porto Nord, città commerciante con 20 mila. anime, sede del governatore generale di tutti questi stabilimenti. Le più importanti dipendenze di quest'isola sono: le isolette Diego Garzia ed Agalega, e l'isola Rodriguez con porto e 125 abitanti, importante per la sua situazione, e per la quantità di testuggini che vi si prendono.
8. L'isola di Borbon (Bourbon) detta ancora isola Mascaregna dal portoghese Don Mascarenhus che la scoprì nel 1545. Essa fu conquistata nel 1649 da Francesi ai quali tuttora appartiene. La sua capitale è S. Dionigi, città commerciante, con buon porto e con 10 mila anime, contandosene in tutto 85 mila. In quest'isola c'è uno spaventoso vulcano.
9. L'isola S. Giovanni di Lisbona, l'isola Nuova, l'isola di Amsterdam, l'isola S. Paolo, l'isola della Desolazione o Terra di Kerguelen, e molte altre piccolissime, giacciono a qualche distanza dalle coste verso il sud dell'Africa.

La mappa africana di Tolomeo del 1554 di Sebastian Münster
La mappa africana di Tolomeo del 1554 di Sebastian Münster

Africa 1650

La leggenda del Prete Gianni
La leggenda del Prete Gianni

 

LA LEGGENDA DEL PRETE GIANNI

Il regno del Prete Gianni, una delle leggende più interessanti del Medioevo, può accendere l'immaginazione anche oggi ma nel passato più che mai.
Non c'e da stupirsi che gli occhi e il cuore dei monarchi e dei papi fossero rivolti a est, dove si cercava un leggendario regno caratterizzato da potere inimmaginabile, ricchezza, miracoli e al tempo stesso una pura vita cristiana.
La prima testimonianza scritta su Prete Gianni ci giunge dalla cronaca di Otto von Freising, che era presente a Viterbo quando Papa Eugenio III ricevette la legazione del sovrano di Antiochia, Raimondo, il quale chiedeva aiuto nella lotta contro i musulmani in Terra Santa e menzionava un potente alleato, Gianni, che non era solo un re, ma anche un prete il quale era pronto a sostenere le crociate, ma le acque impetuose del fiume Tigri glielo avevano impedito.

La credenza nell'esistenza di questo potente stato accrebbe quando lo stesso Gianni scrisse nel 1165 una lettera all'imperatore bizantino Manuele I Comneno, lettera giunta poi nelle mani di papa Alessandro III e dell'imperatore Federico Barbarossa.
È interessante notare che in questo contesto papa Alessandro III fu l'unico a rispondere anche in forma di lettera all'epistola di un potente prete-sacerdote. Nel 1177, a Venezia, Alessandro III scrisse una lettera che proponeva a Gianni un'alleanza con la Chiesa romana. Insieme alla lettera mandò il suo uomo più fidato, il medico Filippo. Sfortunatamente, non sappiamo quale fu l'esito del viaggio del dottore ma una cosa è certa: questi non tornò dalla spedizione e non si ebbero più sue notizie.
La credenza dell'autenticità della missiva di Gianni era così forte che, dopo l'invenzione della stampa, questa lettera era ancora diffusa e tradotta in molte lingue e l'era delle scoperte geografiche portò a cercare il regno in diverse direzioni. La posizione del regno di Gianni è uno dei principali misteri della leggenda. La cultura nel Medioevo "era tenuta" nei monasteri, quindi la comprensione dell’universo era un sguardo attraverso il prisma del Creatore. I cosmografi medievali erano di solito persone associate alla Chiesa che accettavano la Bibbia come fondamento del loro lavoro di ricerca. Dal loro punto di vista esisteva un mondo in cui tutto, anche le mappe, era assoggettato a Dio.

La ricerca della potenza del Prete iniziò già nel XII secolo e proseguì nel corso dei secoli. L’Asia era la prima destinazione per messaggeri e viaggiatori, si passò poi all'India, ma a partire dal XIV secolo spedizioni cambiarono la loro direzione: i viaggiatori si diressero verso l’Africa: l'Egitto prima, la Nubia infine l'Etiopia. La lettera conteneva una descrizione molto dettagliata del regno. L’autore si concentrava sulla ricchezza, sulle meraviglie e su tutte le cose straordinarie che erano sotto il suo controllo. E questi beni erano considerevoli: settantadue re gli pagavano il tributo, settantadue province erano a lui sottomesse. Queste province, sebbene non cristiane, gli pagavano un tributo insieme ai loro governanti. Gianni distribuiva l’elemosina ai suoi sudditi cristiani: "Sono un devoto cristiano e ovunque proteggo e sostengo con elemosine i cristiani poveri governati dalla sovranità della mia Clemenza".

Lo stato di Gianni descritto nella lettera era una terra di miele e latte fluido. Era abitato non solo da gente, ma anche da creature straordinarie come giganti, ciclopi, fauni, satiri. La ricchezza proveniva da giacimenti minerari: Gianni aveva enormi depositi di smeraldi, topazi, ametiste e zaffiri. Anche la flora era insolita: in nessun altro luogo cresceva la pianta "assenzio", che aveva proprietà protettive nella lotta contro Satana. I mari del regno erano sabbiosi, i fiumi ricchi di pietre, ma anche i pesci erano copiosi. Il sovrano viveva in un enorme palazzo di gioielli, in cui ogni giorno faceva una festa per diecimila ospiti. Gianni era un sovrano saggio e giusto, timorato di Dio e il suo esercito doveva fare una grande impressione.
Tuttavia, non furono le ricchezze e le magnificenze descritte nella lettera a fare in modo che papi e imperatori decidessero di cercare Gianni. Le promesse di ricchezza e miracoli eccezionali potevano essere allettanti per i viaggiatori, per coloro che cercavano avventure. Il Prete nel suo scritto tentò i sovrani dell’Europa di allora con la frase: "Abbiamo in voto di visitare il Santo Sepolcro con un grandissimo esercito, in quanto si addice alla gloria della nostra Maestà umiliare e sconfiggere i nemici della croce di Cristo ed esaltare il suo nome Benedetto".
La lettera tradotta in molte lingue nei secoli successivi fu decisiva per l’espansione cristiana dell’Occidente verso l’Oriente. Fino al XVIII secolo, anche se il contenuto della lettera dimostrava miracoli inimmaginabili, la lettera era considerata autentica. La questione di chi fosse l’autore era secondaria. Indovinare lo scopo per cui venne scritta la lettera sarebbe molto utile per risalire al suo autore. Sfortunatamente oggi è praticamente impossibile: l’epistola del Prete Gianni potrebbe essere cosi un'opera letteraria, uno scherzo goliardico come un potente strumento di propaganda politica o religiosa.

Il regno del Prete Gianni era ricco di innumerevoli straordinarietà: mari senza acqua, pepe di alta qualità, sorgenti miracolose, ruscelli insoliti, piante preziose (comprese quelle che proteggevano dagli spiriti maligni), fiumi pieni di pietre preziose e sulle terre di Gianni dal cielo cadeva la manna.
Certamente l’altra parte più fantastica e diversa del regno di Gianni erano i suoi abitanti. Non potevano essere "persone come tante" perché non sarebbero mai state allettanti per quelli che cercavano il Prete.
Quanto grande fosse la credenza nelle strane creature nella mente delle persone, comprese quelle degli scienziati, è dimostrata dal fatto che non potevano separare la finzione dalla realtà nonostante la visione sempre più consapevole del mondo.
La convinzione che in queste terre esistessero unicorni, sirene, arpie o anche persone con la testa di un cane era comune. Certamente, in gran parte, dobbiamo questa credenza alla mitologia, e la mancanza di prove della non esistenza di queste meravigliose creature implicava la loro esistenza.
Anche il rapporto tra la religione e la creazione divina ebbe il suo ruolo: tutti gli esseri, anche i più strani, dovevano essere opere dello stesso Dio. Seguendo questo percorso non sorprende che Gianni abbia menzionato nella sua lettera creature sempre più insolite che nella mente della gente non incutevano paura in quanto anch'esse erano l’opera di Dio, ma piuttosto l’estasi e l’ammirazione per la diversità delle opere del Creatore.
Gianni nella sua missiva dedicò molto spazio agli abitanti del regno: “Nei nostri domini nascono e vivono elefanti, dromedari, cammelli, ippopotami, coccodrilli, metagallinari, cameteterni, tinsirete, pantere, onagri, leoni bianchi e rossi, orsi bianchi, merli, cicale mute, grifoni, tigri, sciacalli, iene, buoi selvatici, sagittari, uomini selvatici, uomini cornuti, fauni, satiri e donne della stessa specie, pigmei, cinocefali, giganti alti quaranta cubiti, monocoli, ciclopi, un uccello chiamato fenice e pressoché ogni tipo di animale che vive sotto la volta del cielo”.
“Abbiamo altre genti che si cibano solo di carne, tanto degli uomini quanto degli animali bruti e dei feti e che non temono la morte. Quando qualcuno dei loro muore, sia i consanguinei che gli estranei lo mangiano con grande avidità e dicono: ≪È atto santissimo mangiare carne umana≫. Queste genti si chiamano: Gog e Magog, Amic, Agic, Arenar, Defar, Fontineperi, Conei, Samante, Agrimandi, Salterei, Armei, Anofragei, Annicefelei, Tasbei, Alanei. Proprio queste, insieme a molte altre generazioni, il giovane Alessandro Magno, re dei Macedoni, rinchiuse tra monti altissimi, verso settentrione”. Vale la pena notare, che l’autore della lettera in primo luogo nella sua lista menziona "Gog e Magog". Sia Gog che Magog appaiono nella parte apocalittica della Bibbia, ma hanno anche la loro parte non solo nel ciclo siriano delle leggende su Alessandro Magno.

La leggenda medievale sul regno perduto del Presbitero Gianni diventò l’ispirazione per molte generazioni di viaggiatori, cronisti e scrittori. A seconda del periodo, tuttavia, la visione di questa storia cambiava. Per la gente del Medioevo il regno era assolutamente reale e nessuno metteva in dubbio la sua esistenza. Era come parte dell’immagine del mondo, il mondo in cui Gianni aveva il proprio posto garantito. Se sia il Papa che i governanti credevano nell'esistenza di Giovanni, come poteva la gente umile non credere in lui? Chi avrebbe osato dire che il Papa aveva torto? E inoltre, c’era la questione della lettera: dopotutto, la missiva doveva avere un autore. Per la gente del Medioevo era indubbiamente il Presbitero. La lettera non perse il suo valore nemmeno nell'era delle scoperte geografiche in quanto era una sorta di prova dell’esistenza del regno misterioso. In effetti, l’unica prova.
Naturalmente le scoperte geografiche, e quindi l’approfondimento della conoscenza del mondo, conclusero finalmente la fase di ricerca di un paese inesistente. È interessante, tuttavia, notare che la fede nel regno è rimasta immutata per tanti secoli. Non c’e da stupirsi, quindi, che il tema dello stato situato nel paradiso terrestre abbia risvegliato e continui a risvegliare l’immaginazione.

 Alberi Waq-Waq dai frutti umani
Alberi Waq-Waq dai frutti umani

 

ALLA SCOPERTA DELL'ALBERO "WAQ WAQ"
E
DELLA PIANTA ASSASSINA "YA TE VEO"

Se apparite abbastanza bizzarri alla gente comune, sappiate che non c'è bisogno di cercare un lontano pianeta in cui rifugiarvi, ma c'è l'isola di Waq Waq in qualche mare ignoto che vi aspetta!
Se le case dei mussulmani sono generalmente spoglie, non lo sono certo i giardini arredati con recipienti in metallo o marmo, fontane, gabbie per gli uccellini, perché è qui che scorre la vita che, dal punto di vista di una certa letteratura e pittura orientalista, il giardino è il luogo dove si coltiva la lussuria, dove non si fa altro che fumare, bere caffè, farsi leggere la fortuna e intrattenere da musici e ballerine.
Un altrove tra vissuto e immaginario in cui incarnare sogni maschili di spensierato e grossolano piacere vagheggiato, e non solo, in certi racconti delle “Mille e una notte”, favoleggiato in leggende che rappresentavano l'albero della fertilità con falli appesi ai rami.
Nel corso degli anni all'osservazione accurata di piante e fiori si affiancò un universo vegetale dettato da un contenuto primordiale dell'inconscio collettivo.
Tra i resoconti storici, senza dubbio quello dell’albero Waq Waq, dai cui rami pendono come frutti dei piccoli esseri umani e l'albero mangia-uomini Ya-Te-Veo sono quelli più degni di nota.
Si favoleggiava di certe isole tropicali dove cresceva un albero, il waq waq, che produceva frutti d'aspetto femmineo. Anzi, vere e proprie donne nude di incredibile bellezza però mute, a parte appunto il verso wak-wak, appese ai rami per i capelli, a disposizione degli uomini che potevano staccarle dall'albero e goderne a loro piacere.
Già agli inizi del 14° secolo al di là di Sofala, in Mozambico, c'era l'oscuro regno di Waq Waq (Il mito di questo albero antropogenico e fantasmatico situato, secondo autori musulmani, all'estremità remota dell'Oceano Indiano. Il mito dell'albero di waq waq è legato alla Persia, ma di lontana origine indiana, i cui rami o frutti si trasformano in teste di uomini, donne o animali mostruosi (secondo le versioni) che gridano "wāq-wāq", che in persiano significa "guaito". L'albero antropico è un elemento familiare in tutti i racconti e leggende persiani, che può assumere varie forme ed è legato al mistero della rigenerazione e della vita, evoca l'energia vitale rilasciata dall'albero e i suoi grandi poteri divinatori).
Ampiamente diffuso in vaste aree culturali, il favoloso albero waq waq trova spazio nella letteratura araba del navigatore persiano Al-Ramhormuzi, nel suo libro del 10° secolo "Ajaib al-Hind" (Le meraviglie dell'India), la cui caratteristica secondo la leggenda è quella di produrre dei frutti bizzarri di aspetto umano che hanno la facoltà di lanciare il grido "wāq wāq". Secondo alcune versioni essi davano il nome al paese dove nascevano, secondo altre lo ricevevano da esso. Per Férrand (1933) questo paese sarebbe il Madagascar, che in malgascio è detto Vahoaka, in cui cresce in abbondanza una sorta di pandanus che produce grandi frutti chiamati vakwā. Più correnti sono le varie versioni della leggenda, diffusa dai resoconti fantastici dei marinai arabi e persiani a partire dal 8° secolo, che attribuiscono l'albero waq waq a un'isola dei mari orientali dell'India o della Cina. La più antica testimonianza della leggenda, in cui compare un albero che produce come frutta dei piccolissimi bambini che non parlano, ma che possono ridere e agitarsi, è tuttavia contenuta in un'opera cinese di epoca T'ang, il "T'ong-Tien" di Tou Yeou, scritto fra il 752 e l'801, che riporta il racconto appreso all'estero da un certo Tou Huan, il quale aveva soggiornato nel paese degli Arabi per dieci anni dopo la battaglia di Talas del 751, in cui probabilmente era stato fatto prigioniero.
Secondo la versione riportata da al-Jāḥiẓ (morto nel 869) nel suo "Kitāb al-ḥayawān" (Libro degli animali), la pianta produce invece animali e donne appese per i capelli, le quali appunto lanciano continuamente il grido; nel "Libro delle meraviglie dell'India" (Kitāb 'Ajā'ib al-Hind di Buzurg b. Shahriyār, 10° secolo) un albero produce frutti simili a una zucca con le sembianze di un volto umano. Per il "Libro della geografia" (Kitāb al-Jughrāfiyya) dell'Anonimo di Almeria (12° secolo) nell'isola Waq Waq dei mari della Cina su un albero crescono frutti che giorno per giorno lentamente assumono, cominciando dai piedi, la forma di bellissime fanciulle appese per i capelli, che, a maturazione, cadono lanciando il grido. Teste umane e animali produce l'albero waq waq nella leggenda accolta nelle "Meraviglie del Creato" ('Ajā'ib al-makhlūqāt) di Qazvīnī (morto nel 1283).

La leggenda s'intreccia e si contamina, almeno sul piano iconografico, con quella di Alessandro Magno, che nella tradizione islamica è il Dhu'l-Qarnayn (il Bicorne) menzionato nel Corano (XVIII, 82, 96) ed è considerato come un devoto profeta musulmano combattente contro i nemici di Dio, eroe di meravigliose avventure consacrate dall'epopea iranica, dallo "Shāhnāma" di Firdousī (morto nel 1010) e da Niẓāmī (morto nel 1191) nel cui "Iskandarnāma" Alessandro si imbatte in India negli alberi profetici del sole e della luna.
L'immagine dell'albero wāq wāq è legata a tradizioni leggendarie e iconografiche tra loro interferenti e si ricollega senza dubbio ad antiche rappresentazioni zoomorfe dell'albero della vita.

L'iconografia dell'albero waq waq è nota soprattutto, a partire dal 14° secolo, da miniature dove compare l'albero con frutti a forma di teste umane e di animali sia a illustrazione, per es., dei testi di Qazvīnī (Meraviglie del Creato, 1388, Parigi, BN, Suppl. persan 332, c. 160v), sia della leggenda degli alberi profetici che sussurrano presagi di Alessandro (Shāhnāma di Firdousī, inizi del sec. 14°, Washington, Freer Gall. of Art). Probabilmente sono da considerare fra le più antiche rappresentazioni fino a ora note di alberi waq waq i bassorilievi sui due lati di una lastra marmorea proveniente da uno dei palazzi sultaniali dei Ghaznavidi a Ghazni (Afghanistan), databile ai secoli 11°-12°, dove compaiono degli alberi o meglio degli arbusti stilizzati, i cui rami, popolati da esseri fantastici, portano frutti configurati come teste di animali o come busti umani (Ghazni, Rauza Antiquary).

Si suppone sia riconducibile alla leggenda dell'albero waq waq e alle sue varianti la tematica dell'ornato a tralci e girali vegetali da cui si sviluppano teste umane e animali della metallistica e della ceramica islamica, specialmente iranica e siriaco-mesopotamica del 13° secolo (Baltrušaitis, 1955, figg. 46 a-b, 48, 50, 61b). Sia dalla leggenda sia dai modelli figurati l'iconografia dell'albero waq waq si trasmise in Europa forse già nel 9° secolo, come attesta il Salterio Chludov (Mosca, Gosudarstvennyj Istoritscheskij Mus., Cod. 129), dove compare un albero del paradiso fiorito di teste umane, iconografia che dagli inizi del 13° secolo incontrò particolare favore, cominciando sembra dalla Germania renana, a simboleggiare l'albero della vita (Hortus deliciarum di Herrada di Landsberg, 1205, già Strasburgo, Bibl. Mun.), dove confluirebbero "elementi dei manoscritti beneventani, dell'iconografia bizantina e delle speculazioni cosmografiche dell'Islam" (Baltrušaitis, 1955, fig. 57a) e, nella variante con teste umane e teschi, l'albero della vita e della morte (Baltrušaitis, 1955, fig. 57c).

Le leggende sugli zoofiti e le iconografie connesse ebbero, in effetti, particolare diffusione in Occidente a partire dalla fine del 12° secolo in relazione alla penetrazione mediante traduzioni latine di trattati arabi e giudaici. Queste leggende in seguito furono raccolte anche dai pellegrini e viaggiatori occidentali. Odorico da Pordenone (1331) descrive un albero del Malabar che produce uomini e donne della dimensione di un cubito e un'altra pianta dell'area caspica da cui nascono meloni che contengono un agnello. Quest'ultima pianta è fatta risalire a Jean de Mandeville (1360 ca.), che ne conosce anche la variante antropomorfa ai confini fra l'India e la Cina. La leggenda raccolta da Odorico e da Mandeville si ricollega a quella ancora viva ai primi del 16° secolo dell'agnus scyticus, la cui pelle si diceva venisse importata dai veneziani da Samarcanda, motivo per cui la pianta prese il nome di Smarcandeos. Nel 14° secolo si narrava che in Fiandra, in Inghilterra e in Irlanda crescessero alberi che producevano uccelli: notevole è la miniatura del "Livre des Merveilles" del duca di Berry (Parigi, BN, fr. 2810, c. 210), dove il racconto di Jean de Mandeville è illustrato con tre occidentali che mostrano un ramo d'albero con frutti ornitomorfi a una coppia di orientali che, a loro volta, mostrano il prodigio dell'agnello contenuto in una sorta di melone. A differenza dell'Oriente, in Occidente l'albero che porta frutti in forma di animali ha sempre una connotazione negativa di albero del male.

Albero Ya-Te-Veo
Albero Ya-Te-Veo

L'albero mangia-uomini del Madagascar.
Nel 1881, l'esploratore tedesco Carl Liche, dal ritorno dall'isola africana scrive una lettera per il giornale South Australian Register, ove racconta di un suo personale incontro con l'albero e di ciò che avveniva intorno ad esso.
La storia viene riportata a galla nel 1924, questa volta in un libro, Madagascar, Land of the Man-eating Tree, scritto e redatto dall'allora governatore del Michigan, Chase Osbron. Nel libro vengono accennati racconti di preti missionari, anch'essi consapevoli dell'esistenza dell'albero assassino e dei sacrifici a lui dati da parte degli autoctoni.

Lo Ya-te-veo (dallo spagnolo "Già ti vedo") è il nome con cui si indica una specie di pianta carnivora che crescerebbe nella giungla dell'Africa nera.
La pianta è stata descritta come possedere molti tronchi gracili e lunghi molto somiglianti ai tentacoli delle piovre, che si animano di vita alla vista di prede.
Nel libro "Land and Sea" (1887) di J.W. Buel, viene raccontato - tra i tanti argomenti - della pianta, e si racconta del suo cibarsi continuo di grandi insetti ma anche di indigeni.

Ya-Te-Veo ("Now-I-See-You") è il famigerato "Man-Eating Tree of Madagascar" che ha ispirato decine di racconti in romanzi, film e musical. Nel suo libro Buel racconta un racconto di viaggiatori sul "meraviglioso Minotauro vegetale" che per primo assomiglia a un comodo divano, ma rapisce rapidamente la sua vittima a riposo: “Nel momento in cui i suoi piedi sono posizionati nel cerchio, delle orribili spine si alzano come serpenti giganteschi, e si intrecciano su di lui fino a quando non viene attirato sul moncone, allorché spingono rapidamente i loro pugnali nel suo corpo e completano così il massacro. Il corpo viene schiacciato fino a quando ogni goccia di sangue viene espulsa da essa e viene assorbita dalla pianta amante del sangue, quando la carcassa secca viene espulsa e la terribile trappola viene rimessa in posizione".

Tra i resoconti storici di piante assassine, senza dubbio l’albero mangia-uomini del Madagascar è quello più di degno di nota.
Il “caso Madagascar” si riferisce ad una lettera straordinaria presumibilmente ricevuta dal giornale South Australian Register durante il 1870 (diverse fonti danno date diverse, come 1881) dal biologo polacco dott Omelius Fredlowski (a volte scritto ‘Friedlowsky’). Secondo il contenuto della lettera, un esploratore ha affermato di aver assistito ad un fin troppo reale, fatale incontro con un mostro botanico. Come già detto, la storia viene riportata a galla nel 1924, questa volta in un libro, Madagascar, “Land of the Man-eating Tree”, scritto e redatto dall'allora governatore del Michigan, Chase Osbron. Nel libro vengono accennati racconti di preti missionari, anch'essi consapevoli dell’esistenza dell’albero assassino e dei sacrifici a lui dati da parte degli autoctoni.
La lettera era di Carl Liche (anche variamente dato come ‘Karl’ come e ‘Leche’ in una varietà di combinazioni!), un esploratore tedesco che era stato in visita ad una tribù primitiva chiamata Mkodos sull'isola di Madagascar. Mentre era lì, lui e un collega occidentale chiamato Hendrick hanno osservato un albero dall'aspetto grottesco, che i Mkodos indicarono come il “Tepe”, per il quale gli esseri umani vengono sacrificati.
Ed ecco il racconto del sacrificio di una donna appartenente a questa tribù: "Se si può immaginare un ananas di otto metri di altezza e dallo spessore in proporzione appoggiata sulla sua base e denudata di foglie, si avrà una buona idea del tronco dell’albero, squallido color marrone scuro, e apparentemente duro come il ferro. Dall'apice del tronco otto foglie appese al suolo. Queste foglie erano lunghe circa 11 o 12 piedi, si assottigliavano verso una punta acuminata che sembrava un corno di vacca, e con una faccia concava con forti ganci spinosi. L’apice del cono era una bianca figura concava rotonda come una piccola piastra di impostare all'interno di uno più grande. Questo non era un fiore, ma un ricettacolo, e ci trasudava in esso un chiaro liquido melassa, miele dolce, e possedeva delle forti proprietà inebrianti e soporifere. Da sotto il bordo una serie di lunghi viticci verdi pelosi si estendevano in ogni direzione. Questi erano lunghi 7 o 8 m di lunghezza. Sopra questi, sei tentacoli quasi trasparenti rivolti verso il cielo, in grado di contorcersi con un moto incessante meraviglioso. Sottili come giunchi, a quanto pare erano alti 5 o 6 m.
Improvvisamente, dopo una sessione urlante di preghiere “Tepe! Tepe!” a questo albero sinistro, i nativi hanno circondato una delle donne della loro tribù, e la costrinsero con le loro lance a scalare il tronco, fino a quando finalmente si fermò alla sua sommità, circondata dai sui tentacoli come ballando su tutti i lati. Gli indigeni hanno detto alla donna che era condannata a bere, quindi lei si chinò e bevve il fluido di riempimento superiore dell’albero piatto e fu colta da una frenesia selvaggia ed isterica. Ma lei non ha saltato giù, anche se sembrava volesse farlo.
Oh no! L’albero cannibale atroce che sembrava così inerte e morto ha improvvisamente preso vita. I palpi delicati e magri, con la furia di serpenti affamati, tremarono in un istante sopra la testa, poi fissarono su di lei rotoli improvvisi intorno al collo e le braccia, poi, mentre le sue urla terribili e le risate ancora più terribili sono salite, la donna fu selvaggiamente strangolata di nuovo in un gorgoglio gemito, i viticci uno dopo l’altro, come serpenti verdi, con energia brutale e rapidità infernale, si tirarono indietro, avvolgendosi piega dopo piega, sempre stringendo con crudele rapidità e con la stessa tenacia selvaggia che le anaconde stringono la loro preda. Poi le grandi foglie lentamente si alzarono e rigidamente si eressero in aria, avvicinate l’un l’altra e chiusero quindi sulla vittima morta ostacolandola con la forza silenziosa di una pressa idraulica.

Anche se ho potuto vedere le basi di questi grandi leve pressanti più strettamente verso l’altro, dalle loro interstizi vi scorrevano nel gambo degli alberi grandi flussi di fluido viscoso simile al miele mescolato orribilmente con il sangue e trasudano visceri della vittima. Alla vista di queste orde selvagge intorno a me, urlando all'impazzata, delimitata in avanti, affollata per l’albero, la strinse, e con le coppe, le foglie, le mani e lingue ciascuno ottenuta abbastanza del liquore di mandarlo pazzo e frenetico. Poi seguì un'orgia grottesca e indescrivibilmente ripugnante. Posso non vedere mai più un tale spettacolo.
Le foglie retratte del grande albero mantennero la loro posizione verticale per dieci giorni, poi quando arrivai una mattina erano inclini di nuovo, i viticci allungati, il galleggiante palpi, e nient’altro che un teschio bianco ai piedi dell’albero per ricordarmi del sacrificio che aveva avuto luogo lì”.
Liche successivamente battezzò la pianta con il nome di "Tepe" Crinoida dajeeana (ritenendo una somiglianza immaginaria alle stelle marine legate al genere dei crinoidi o gigli di mare e in onore di un noto medico di Bombay, il dottor Bhawoo Dajee), ma non è stato l’unico visitatore di Madagascar a provare questa specie di incubo.

Durante la fine del 20° secolo e al termine del 19° un certo numero di esploratori hanno cercato l’albero mangia uomini in Madagascar non rendendosi conto che la storia era una bufala.
Il primo ricercatore dell’albero mangia uomini è stato lo scrittore di viaggi americano Frank Vincent autore di “Africa Actual”. Ha viaggiato per tutto Madagascar miei primi anni del 1890, ma senza riuscire a trovarlo.
Quasi ogni dettaglio della storia si è verificato fittizio, Né sono stati i Mkodos una vera tribù. L’albero in sé si è rivelato pura fantasia, un horror gotico d’epoca coloniale.