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Latitanza nella Ibiza del Kenya


CONCLUSA LA LATITANZA DEGLI ITALIANI CHE GODEVANO DELL'IMPUNITÀ NELLA IBIZA DEL KENYA

Conclusa la latitanza degli italiani nella Ibiza del Kenya.
Conclusa la latitanza degli italiani nella Ibiza del Kenya.

 

Arrestati su mandato di cattura internazionale tre italiani in Kenya

 

 


2 aprile 2017
L’8 settembre 2015, in una Milano resa vetrina mondiale dall'Expo, il ministro della Giustizia del Kenya, Githu Muigai, dopo aver visitato alcuni padiglioni insieme al suo presidente Uhuru Kenyatta, entrambi accompagnati nella visita dal guardasigilli Andrea Orlando, aveva finalmente siglato un accordo di assistenza giudiziaria e penale con il suo omologo italiano. In altre parole, veniva infine data attuazione a quella norma bilaterale, rimpallata per estenuanti decenni, che consentiva l’estradizione di elementi colpiti da mandati di cattura internazionali emessi dai rispettivi Paesi.
È risaputo che, prima di questo accordo, il Kenya era diventato l’isola felice di un gran numero di malandrini stranieri che, oltre a sottrarsi alla giustizia del proprio paese, non contribuivano certo alla creazione di un’immagine positiva delle proprie comunità in Kenya, soprattutto, per quanto riguarda gli italiani, nella regione costiera.
Ed è il caso di Pietro Canobbio, 53enne originario di Asti, considerato un pericoloso bandito colpito da ordine di carcerazione dalla Procura della Repubblica di Asti per reati commessi in Italia. Dopo essere scappato da oltre vent'anni a Mombasa, e commesso numerosi reati di frode, estorsione e violenza, era persino riuscito a ottenere, attraverso canali di corruzione, la cittadinanza e il passaporto keniota. Canobbio viveva a Kilifi, a metà strada tra Mombasa e Malindi, dove era accusato di diversi reati, tra cui aggressioni e danni a proprietà di altri italiani.
L'allora ambasciatore italiano a Nairobi, Pierandrea Magistrati, così ironizzava sul fatto che i connazionali italiani presenti in Kenya (una massa di ciarlatani, babbei, leccaculi, ladri ed imprenditori collusi col Canobbio)  lo considerassero "un uomo di cuore" : «Un gentiluomo che ha talmente tanti trascorsi criminali da non voler assolutamente rientrare in Italia dove deve scontare diversi anni di prigione per truffa, estorsione e altri reati. Siamo pieni di lettere di connazionali presenti nell'area di Kilfi che denunciavano vessazioni di ogni tipo da parte di Canobbio. Si tratta di una persona che si è comportata in modo del tutto incivile, soprattutto nei confronti degli altri italiani. È una persona che ha fatto molti danni all'immagine dell’Italia e agli italiani presenti qui».
Nel 2008 fu raggiunto da un mandato di espulsione, ma vantando amicizie influenti, non venne neppure arrestato.

Il Kenya ha atteso sedici mesi prima di dare attuazione a questo accordo, ma ha infine deciso di muoversi arrestando Mario Mele di Malindi, Fulvio Leone di Mtwapa e Stefano Poli di Kilifi. I tre, tutti colpiti da mandato di cattura della magistratura italiana, sono stati catturati con un blitz dall'Interpol keniota e detenuti a disposizione della polizia italiana per l‘espatrio.

Mario Mele, 56 anni, gestiva a Malindi una discoteca ballando "la paranza" (... una danza che si balla nella latitanza, con prudenza e eleganza e con un lento movimento de panza...) ed un attivissimo bar: il “Pata Pata” nel complesso del nuovo centro commerciale Nakumatt. Originario della provincia di Nuoro, dove era considerato il “Re delle discoteche”, Mele possedeva numerosi locali in Barbagia e nella Gallura. Latitante dal 2013, a seguito di una condanna emessa dal tribunale di Nuoro per evasione fiscale, l’imprenditore sardo, stando alle risultanze della Guardia di Finanza, aveva frodato le casse dello stato italiano per l’incredibile somma di 17 milioni di euro. Quando i militi si erano recati al suo domicilio per arrestarlo, Mele si era già rifugiato in Kenya.

Diversa e la storia di Fulvio Alberto Leone, un genovese sessantanovenne che viveva, in condizioni di precarietà finanziaria a Mtwapa, nel distretto di Kilifi. Leone era colpito da due mandati di cattura internazionali emessi dai tribunali di Torino e di Genova rispettivamente nel 1992 e nel 2007 che si riferivano a reati commessi nel 1983 quando il pregiudicato era appena trentacinquenne. Si trattava di un cumulo di reati sui quali capeggiava lo spaccio di droga. Leone riuscì a sottrarsi all'arresto approdando in Kenya 23 anni fa e da allora, grazie alla connivenza di alcune autorità locali, ottenne nel 2009 la cittadinanza keniota e poco dopo, nel 2012, gli fu anche rilasciato un certificato di buona condotta, grazie al quale, nello stesso anno, poté addirittura ottenere la licenza di porto d’armi. Tutto questo mentre il mandato di arresto internazionale circolava presso tutte le sedi Interpol del pianeta, Kenya incluso.

Difficile ottenere informazioni dettagliate sul terzo arrestato, Stefano Poli, originario della provincia di Bergamo, che è arrivato in Kenya un anno fa. Al seguito aveva un’enorme moto, cui lui stesso sembra attribuisse un valore di oltre diecimila euro. Ha girovagato un po’ alla ricerca di una casa, finché qualche mese dopo il suo arrivo, ne aveva acquistata una nella zona Boffa di Kilifi. Lì aveva fissato la sua residenza. Villa con piscina e aragoste, cene e feste alla faccia di chi aveva ridotto sul lastrico. Era sparito dalla sua casa di via Taramelli a Clusone, nel febbraio 2016 dopo una condanna in primo grado a 10 anni e 9 mesi per bancarotta fraudolenta e truffa aggravata in concorso e la conferma in appello. Avendo capito che in Cassazione non sarebbe andata meglio, poco prima che il suo ricorso venisse rigettato era salito su un aereo per il Kenya, forse confidando nella fama del Paese africano come porto franco per i latitanti. La condanna era legata al fallimento dell’impresa «Cos edil srl», sede legale a Milano e sede effettiva (con annesso prestanome) a Gorle. Ma Poli era già incappato in indagini per ricorso abusivo al credito (1988), violazione norme sulle imposte indirette (1992), ricettazione (1995, 2002), truffa (1995, 2000), bancarotta fraudolenta (1999, 2008), appropriazione indebita (2008), false fatturazioni per operazioni inesistenti (2001). Nel processo a suo carico erano state accertate: sottrazione e distruzione di documenti contabili per 6.650.000 euro, mancata presentazione della dichiarazione dei redditi con evasione di 15 milioni, Iva evasa per 7.900.000 e liquidazione delle imposte dovute per 316 mila euro. Solo nella cassaforte di casa teneva, per le piccole spese, 13 mila euro in contanti. Ma nascosti da qualche parte si pensa che ci siano almeno 29 milioni. Ha tuttora altri procedimenti aperti, per intralcio alla giustizia (avrebbe cercato di convincere dei testimoni a non dire il vero in tribunale) e minacce (a un creditore, se avesse agito in giudizio contro di lui). Un anno fa la Finanza di Clusone aveva accertato una frode fiscale da 10 milioni legata alla «Bioedil» di Ghisalba.


La stampa locale ha enfatizzato la ferma volontà del governo di non trasformare l'ex colonia britannica in un rifugio per pregiudicati, ma nessuno parla mai delle colpevoli connivenze che hanno consentito a queste persone di installarsi nel Paese godendo di granitiche protezioni.
Nei mesi a venire si potrà meglio valutare la genuinità di queste iniziative perché di pregiudicati nostrani, in Kenya, ce ne sono ancora molti, anche colpiti da condanne molto più pesanti di quelle inflitte ai tre arrestati. Vedremo se tra loro rimarrà intonsa la categoria degli “intoccabili” o se la giustizia del Kenya saprà finalmente riscattarsi da un passato non proprio edificante fatto di favoritismi e di corruzione. A quel punto saremo ben lieti di poter esprimere un plauso incondizionato a questa iniziativa.


Carlo Gentile arrestato in Kenya
Carlo Gentile arrestato in Kenya

 

Arrestato italiano ricercato per due omicidi


19 luglio 2017
Vita durissima da un po' di tempo a questa parte per i latitanti italiani in Kenya: la collaborazione tra le due polizie, tra le magistrature e tra i Ministeri degli Esteri sta portando ad un lavoro di ricerca e cattura di tutti gli elementi che da anni si sentivano al sicuro nel Paese africano.
Oggi è il caso addirittura di un pluriomicida già condannato all'ergastolo per un delitto commesso quattro anni fa e da allora scomparso.
In molti però sapevano che si trovava in Kenya, così da quando carabinieri italiani e forze dell'ordine keniote hanno iniziato a scambiarsi informazioni e passare all'azione unitariamente, la morsa su Carlo Gentile, romano di 51 anni, si è fatta sempre più stretta e ieri è stato arrestato in un centro commerciale di Nairobi.
Gentile, legato in passato al mondo dell'estrema destra, con legami anche con Luigi Ciavardini e Massimo Carminati, era ricercato dal 2015, in quanto ritenuto responsabile degli omicidi di Federico Di Meo, assassinato a Velletri il 24 settembre del 2013 e di Sesto Corvini, assassinato a Roma il 9 ottobre del 2013. In particolare, per l’omicidio di Federico Di Meo, lo scorso 12 luglio, Carlo Gentile è stato condannato all'ergastolo dalla Corte di Assise di Frosinone.
Nel corso degli ultimi due anni, Gentile era stato visto anche a Malindi, dove si dice avesse alcuni amici.


La delegazione italiana e quella del Kenya, alla ratifica dell’accordo sull'estradizione
La delegazione italiana e quella del Kenya, alla ratifica dell’accordo sull'estradizione

 

Estradizione: l’accordo tra Italia e Kenya del 2015 non viene più applicato


11 agosto 2019
Si tratta di un accordo formalizzato dopo decenni di attesa e concluso nel 2015, grazie alla presenza in Italia del presidente del Kenya Uhuru Kenyatta e del suo ministro degli esteri, richiamati a Milano dalla vetrina internazionale dell’EXPO.
Sembrava che, finalmente, l’ex colonia britannica, si sarebbe riscattata dalla sgradevole nomea di essere un rifugio dorato per tutti i truffatori e criminali d’Europa. Infatti, pur se non proprio tempestivamente, il Kenya diede esecuzione a quest’accordo sedici mesi dopo, arrestando nell'aprile 2017, tre pregiudicati italiani: Mario Mele di Malindi, Fulvio Leone di Mtwapa e Stefano Poli di Kilifi. I tre vennero rispediti in Italia e consegnati alle forze di polizia giudiziaria.
Un ottimo inizio che autorizzava la speranza di una profonda pulizia all'interno della corposa comunità italiana, sparsa un po’ in tutto il Kenya, ma prevalentemente concentrata sulla costa, con il suo fulcro maggiore tra Malindi e Watamu. Si tratta di una comunità in larga misura onesta e operosa che ha dato, negli ultimi quarant'anni, un efficace impulso a villaggi locali che, dalla loro condizione di semplici zone dedicate alla pesca, si sono trasformati in ben organizzate cittadine turistiche, d’indiscutibile impronta italiana. All'interno di questa comunità, ci sono anche molti pensionati che hanno scelto il Kenya come destinazione alternativa all'Italia, per la mitezza del clima e il senso di libertà che da sempre l’Africa ispira ai suoi visitatori.
Tutto questo, ha dato un forte impulso all'economia e all'occupazione locali, ma oggi, a quattro anni di distanza dall'accordo in questione, la speranza di vedere realizzata la pulizia attesa, sembra amaramente frustrata. Dopo l’arresto e l’estradizione dei tre pregiudicati sopra riferiti, nessun’altra iniziativa è stata più intrapresa. Eppure gli italiani che si sono rifugiati in Kenya per sfuggire a procedimenti giudiziari in patria, sono parecchi e anche abbastanza conosciuti.
Ma con loro ci si convive e si sviluppa, nel tempo, un senso di accettazione e di fatalismo che spesso, per omertà, paura o semplice indifferenza, finisce in molti casi per scadere in una sorta di collusione.
È significativo notare che quando sui social network compare una notizia che mette in luce l’esistenza di questi pregiudicati, siano ben pochi i commenti o i “like” che le sono tributati, nel timore di esporsi a ritorsioni. Addirittura ci sono portali che si rifiutano di affrontare la questione e proclamano a gran voce che tutto va bene spesso negando perfino l’evidenza.
Si tratta di comportamenti indubbiamente tristi, ma oggettivamente comprensibili. È pericoloso farsi nemici in Africa. Soprattutto quando questi nemici – grazie al denaro prodotto dal crimine – possono comprarsi potenti protezioni presso le autorità locali, corruttibili fino all'osso e non raramente estese fino agli scranni dei giudici. Del resto, quale messaggio può ricevere l’uomo comune quando deve costatare l’elevato livello d’impunità di cui gode chi ha fatto della trasgressione la propria strategia di vita? In che altro modo può essere giudicato l’atteggiamento imbelle della cosiddetta “Giustizia” (che giustizia non è) se non un invito a delinquere, catalogando implicitamente in “furbi” quelli che lo fanno e in “stupidi”, quelli che se ne astengono o che, come spesso accade, ne diventano vittime impotenti?

Sono molte le domande rimaste senza risposta riguardo all'applicazione di questo ormai fantomatico “Accordo di Estradizione”. Quali sono i criteri che lo regolano? Perché può essere reso attivo nei confronti di alcuni e non operare nei confronti di altri? A quali discrezionalità è soggetto? Quanti e quali sono gli ordini internazionali di arresto che l’Italia ha trasmesso al Kenya e – se trasmessi – perché il Kenya non li ha eseguiti, pur avendo sottoscritto l’accordo? Su questo tema le nostre autorità diplomatiche, mantengono sempre le bocche cucite e quando le aprono, è solo per suggerire di tenere, nel merito, un “basso profilo”. Ma questo “basso profilo”, con il silenzio che implica, è proprio la vanga che getta immeritato fango addosso a un’intera comunità e che, per naturale estensione, si scarica anche sulla nazione cui apparteniamo.
by Africa Express