Diritti umani nelle discariche del Kenya


Una discarica di rifiuti tossici nei dintorni di Mombasa
Una discarica di rifiuti tossici nei dintorni di Mombasa

 

19 febbraio 2018

La terra dei veleni in Kenya: indiani e cinesi interrano i rifiuti, una donna sfida le cosche

 

Passano sferragliando in piena notte sul fondo delle piste sterrate che conducono ai remoti villaggi delle zone rurali intorno a Mombasa. Sono vecchi autocarri privi d’insegne che scaricano i loro veleni entro un raggio di 30/50 km dalla capitale costiera. Basta una manciata di scellini per ottenere il consenso all'operazione e pochi minuti per completarla, poi i camion tornano ai rispettivi luoghi di approvvigionamento, subito pronti per un altro viaggio, un’altra scellerata distruzione della terra d’Africa e delle genti che la popolano.

Questo scempio si compie da decenni, ma nessuno ne parla, neppure le vittime, timorose di porre termine a questa lucrosa attività, ancorché criminale. Ci voleva il coraggio di una donna keniota, Phyllis Omido, che sfidando la connivenza delle lobby imprenditoriali e politiche, l’ha denunciata all'attenzione del mondo. L’ha fatto mettendo a rischio la propria vita e quella del figlio, King David. Benché sia stata arrestata e sia miracolosamente sfuggita a un tentativo di sequestro, lei non desiste e – rifiutando le generose prebende con cui si cercava di comprare il suo silenzio – è infine riuscita a portare il caso davanti all'alta corte di Mombasa che ha fissato una prima udienza al prossimo 19 marzo.

Phyllis è una donna comune e una madre single, come spesso accade in Africa, terra in cui i padri hanno la tendenza a dileguarsi appena divenuti tali. Lavorava come impiegata presso la fonderia, “Metal Refineries EPZ Limited”, nello slum Owino Uhuru di Mombasa. Pur svolgendo le sue mansioni in ufficio e non essendo quindi in diretto contatto con i processi produttivi, il latte con cui allattava il proprio figlio si rivelò avvelenato e riuscì a salvargli la vita solo grazie a un’immediata assistenza medica che riscontrò nel sangue di King David una percentuale di piombo 35 volte superiore al limite stabilito dall’WHO, l’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Questo evento, che solo miracolosamente non sfociò in tragedia, fu la molla che indusse la giovane madre a dare inizio a una strenua battaglia contro i potenti che avvelenavano la sua terra e a farla diventare la paladina dei diritti di oltre tremila concittadini, vittime come lei della stessa patologia. Con il supporto di conoscenti e amici, fonda l’NGO “Center for Justice, Governance and Environmental Action” che diventa presto nota in tutta l’Africa per i suoi seat-in e per le manifestazioni contro l’inquinamento che distrugge la terra e le genti del continente. Quando i media e le organizzazioni internazionali s’interessano al suo caso, questo divampa nel mondo intero coinvolgendo le maggiori testate occidentali, l’ONU e le associazioni per i diritti umani.

In un primo tempo era apparso piuttosto singolare che, oltre alle persone che lavoravano nell'azienda incriminata, la stessa patologia fosse anche riscontrata in chi non aveva mai avuto rapporti con la stessa, finché si scoprì che nel piccolo corso d’acqua che attraversava lo slum, l’azienda scaricava i rifiuti tossici prodotti dalle sue lavorazioni. Una scelta criminale della quale i responsabili della Metal Refineries, dovranno ora rispondere in una Corte di giustizia, benché l’attività produttiva sia cessata sin dal 2013, lasciando però migliaia di persone affette da gravi e insanabili patologie.

Le EPZ, il cui acronimo sta per “Export Processing Zone”, sono aziende nate come funghi nel territorio della contea di Mombasa. Si approvvigionano di materie prime, che arrivano via mare e procedono alle necessarie lavorazioni i cui prodotti sono destinati ai paesi esteri. Beneficiano di varie esenzioni doganali e fiscali, mentre il Kenya ricava utilità dalla loro presenza soprattutto a fini occupazionali. Sono prevalentemente aziende a conduzione cinese e indiana, ma l’esperienza vissuta da Phyllis Omido, dimostra che sono soggette a un controllo quantomeno disinvolto.

La coraggiosa madre keniota, ha ottenuto nel 2015 l’ambito riconoscimento del Goldenman Prize, destinato a coloro che si battono strenuamente per la difesa dei diritti umani, ma nonostante il risalto internazionale della sua opera, Phyllis è ancora bersaglio di minacce e intimidazioni che la costringono a cambiare casa continuamente per proteggere la propria incolumità e quella del figlioletto. Finalmente, tra meno di un mese, la giustizia si occuperà formalmente dei fatti da lei denunciati. Africa ExPress ne darà puntuale e dettagliato risalto.

by Africa Express

La discarica di Dandora, Nairobi-Kenya
La discarica di Dandora, Nairobi-Kenya

 

19 febbraio 2018

Le disperate condizioni delle gente che vive attorno e dentro la più grande discarica dell’Africa Orientale, a Nairobi.

 

La discarica di Dandora, a soli 8 chilometri dal centro di Nairobi, è la più grande di tutta l’Africa orientale. Nonostante sia stata dichiarata piena già da un decennio, resta ancora l’unico punto di raccolta dell’immondizia di 3.5 milioni di persone, ognuna delle quali produce giornalmente 600 grammi di rifiuti solidi urbani (all'incirca 850 tonnellate al giorno).

Circa 10.000 persone “lavorano” dentro la discarica: il 55 per cento sono bambini sotto i 18 anni e di questi più del 65 per cento sono in età scolare. La maggior parte di loro contribuisce così al reddito familiare. Molti altri vanno in discarica in cerca di cibo. I 43 ettari di immondizia vengono divisi in mucchi di diversi materiali, in parte anche destinati al riciclo.

 

Molti altri sono i dati scioccanti rispetto alle condizioni di vita intorno a Dandora. Si pensi solo che sono almeno 200.0000 le persone che vivono ai confini della discarica rispettivamente negli slum di Korogocho, Lucky Summer, Babadogo e Dandora. La maggior parte di quanti raccolgono i rifiuti per rivenderli alle compagnie di riciclo ne ottengono minimi guadagni con enormi danni alla salute.

 

Le infezioni, soprattutto del tratto respiratorio, sono innumerevoli e sono responsabili del maggiore numero di morti. Almeno il 25 per cento delle persone incontrate in discarica avevano ferite causate da metalli e rifiuti tossici. Il 53 per cento dei bambini hanno infezioni del tratto respiratorio, tosse e asma. Più della metà dei bambini che vivono nelle zone limitrofe a Dandora hanno i livelli del piombo nel sangue sopra i 10 mg/dl e livelli di emoglobina al di sotto della norma.

Le conseguenze in termini di salute sono numerose, cancro, ritardo nel processo di apprendimento, anemia, danni al sistema nervoso, infertilità, nascite sottopeso.

La delinquenza è molto diffusa, e l'area è in parte sotto il controllo dell'organizzazione criminale  dei Mungiki, nota tra l'altro per l'usanza di decapitare gli affiliati che tentano di fuoriuscirne.

 

Ma ci sono altre discariche anche in altre città in tutta la nazione, come quella di Eldoret, cittadina che conta circa 280 mila abitanti verso il confine con l’Uganda.

L’immagine che si delinea non è troppo diversa da quella di Nairobi: nonostante i seri rischi per la salute e la violenza, migliaia di persone – tra cui anche molti bambini in età scolare – ogni giorno scavano con le braccia immerse fino ai gomiti nella spazzatura di qualunque tipo con il solo scopo di sostenere le proprie famiglie guadagnando non più di 2 euro al giorno.

Molti dei lavoratori della discarica, condividono nelle vicinanze del sito delle minuscole baracche con altri famigliari, mentre chi è meno ‘fortunato’, dorme per strada, soggetto ad abusi e violenza. In queste condizioni vivono anche numerose madri-single che però per poter guadagnare qualcosa e badare contemporaneamente ai figli piccoli, devono portarli con sé alla discarica.