Africa Ultime Notizie 2025



Africa Breaking News 2025
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Notizie dal continente dimenticato


Raila Odinga e Massimo Alberizzi, direttore di Africa ExPress
Raila Odinga e Massimo Alberizzi, direttore di Africa ExPress

15 ottobre 2025
LUTTO IN KENYA: È MORTO IL LEADER DELL’OPPOSIZIONE RAILA ODINGA

La figlia e la sorella erano con lui quando è collassato durante una passeggiata. Era in grado mobilitare la popolazione per protestare nelle piazze e nelle strade contro le ingiustizie.

Il leader dell’opposizione keniota Raila Odinga è morto all’età di 80 anni. Secondo quanto riferito mercoledì dalla polizia locale, si trovava nel sud India nel Kerala per controlli medici. La sua salma è ora nella clinica privata Ayurvedic. Sul Kenya si è abbattuto un vero e proprio terremoto politico che potrebbe trasformare la politica della nazione.


Odinga era una figura di spicco dell’opposizione del Paese, candidato senza successo alla presidenza in cinque occasioni, l’ultima delle quali nel 2022. E’ stato primo ministro dal 2008 al 2023, sotto la presidenza di Mwai Kibaki.
Ma è sempre rimasto una forza dominante, in grado di mobilitare grandi masse, in particolare nella sua regione natale, il Kenya occidentale.
La polizia indiana ha riferito all’AFP che stava passeggiando con sua sorella, sua figlia e un medico personale “quando è improvvisamente collassato”.
“Due agenti della polizia, un indiano e un keniota, erano con loro in quel momento. È stato trasportato d’urgenza in un ospedale privato vicino, dove è stata dichiarata la sua morte”, ha fatto sapere una fonte delle forze di sicurezza del Paese asiatico.
La morte di Odinga è stata confermata ai reporter della France Presse anche da un membro del suo team, che ha chiesto di rimanere anonimo in attesa di un annuncio ufficiale da parte del raggruppamento politico.


Nato il 7 gennaio 1945, Odinga ha trascorso i suoi primi anni in politica in carcere o in esilio, lottando per la democrazia durante il regime autocratico del presidente Daniel Arap Moi.
Membro della tribù Luo, è entrato in parlamento nel 1992 e si è candidato senza successo alla presidenza nel 1997, 2007, 2013, 2017 e 2022, sostenendo di essere stato privato della vittoria nelle ultime quattro elezioni a causa dei brogli.
Si è sempre presentato come un provocatore anti-establishment nonostante appartenesse a una delle principali dinastie politiche del Kenya: suo padre è stato il primo vicepresidente del Paese dopo l’indipendenza nel 1963.


La sua morte lascia un vuoto all’interno dell’opposizione, e non è affatto chiaro se qualcuno avrà la stessa capacità di mobilitare le forze dell’opposizione mentre il Paese si avvia verso un periodo elettorale potenzialmente instabile, in vista delle elezioni del 2027.
L’ex presidente della Corte Suprema del Kenya e attuale candidato alla presidenza, David Maraga, si è detto “scioccato” dalla notizia della sua morte.
Odinga era “un patriota, un panafricanista, un democratico e un leader che ha dato un contributo significativo alla democrazia in Kenya e in Africa”, ha scritto Maraga su X.
“Il nostro Paese ha perso uno dei suoi leader più formidabili, che ha plasmato la traiettoria del nostro amato Paese. All’intero continente mancherà la sua voce di spicco nella promozione della pace, della sicurezza e dello sviluppo. Il mondo ha perso un grande leader”, ha aggiunto Maraga.

By Africa Express


Manifestazione a Nairobi
Manifestazione a Nairobi

26 giugno 2025
KENYA: ALMENO 16 MORTI E OLTRE 400 FERITI DURANTE LE MANIFESTAZIONI DI IERI

Dimostrazioni in tutto il Paese per ricordare le vittime di un anno fa. Amnesty e Commissione per i diritti umani del Kenya denunciano uso eccessivo della forza.

Il Kenya ieri ha celebrato il primo anniversario delle manifestazioni di piazza organizzate per contrastare la legge finanziaria poi annullata dal presidente, William Ruto, per evitare ulteriori rivolte. E mercoledì migliaia di giovani sono scesi nelle strade e nelle piazze di Nairobi, Mombasa e altre città della ex colonia britannica per ricordare la carneficina di allora e la brutalità della polizia che non cessa di versarsi su coloro che manifestano il proprio malcontento contro il governo.


Ieri a Nairobi le forze dell’ordine hanno bloccato con filo spinato le strade di accesso che portano al parlamento e verso altri i punti nevralgici del potere e degli affari.
All’inizio della giornata i manifestanti hanno sfilato in modo pacifico, sventolando la bandiera del Paese, con rose e cartelli con i nomi delle persone ammazzate dalla polizia lo scorso anno, gridando però a gran voce: “Ruto must go” (Ruto, il presidente kenyano, deve andarsene, ndr).
Anche ieri, come un anno fa, la polizia ha caricato i dimostranti che hanno protestato in diverse città del Kenya.


Secondo Amnesty Kenya sono morte almeno 16 persone, per lo più ammazzate dagli agenti di sicurezza; i feriti sarebbero oltre 400, tra dimostranti, agenti di polizia e giornalisti.
La morte di Odinga è stata confermata ai reporter della France Presse anche da un membro del suo team, che ha chiesto di rimanere anonimo in attesa di un annuncio ufficiale da parte del raggruppamento politico.
Nato il Mentre Independent Policing Oversight Authority, un ente finanziato dallo Stato, ha dichiarato che almeno 61 persone sono state arrestate durante le proteste di mercoledì scorso.
Nulla di nuovo all’orizzonte. La volpe perde il pelo, ma non il vizio: Amnesty e Kenya National Commission for Human Rights (KNCHR) hanno rilevato un forte dispiegamento di forze di polizia e hanno accusato un uso eccessivo della forza, compresi proiettili di gomma, munizioni vere e cannoni ad acqua, che hanno provocato numerosi feriti.


Il portavoce della polizia keniota, Muchiri Nyaga, non ha voluto commentare le dichiarazioni di Amnesty Kenya o del KNCHR.
Il governo aveva vietato la copertura radiotelevisiva in diretta delle proteste, ma il decreto è stato poi annullato dall’Alta Corte di Nairobi.
I giovani delle proteste odierne hanno tentato di raggiungere la residenza ufficiale di Nairobi del presidente, ma sono stati respinti dalle forze dell’ordine. E Ruto ha chiesto con insistenza ai manifestanti di non minacciare la pace e la stabilità del Paese.
Ma oggi il ministro Kipchumba Murkomen ha accusato i manifestanti di aver tentato di rovesciare il governo durante la giornata di manifestazioni, osservazioni che secondo i leader della protesta erano un tentativo di sviare l’attenzione dalle loro richieste.


Il silenzio del governo, la censura che aleggia, sono indizi preoccupante di una svolta autoritaria che speriamo non porti a una deriva, soprattutto in un momento in cui Nairobi si appresta a presentare la nuova legge finanziaria. Quest’ultima comprende anche punti di compromesso sociale, ma permane tuttavia punitiva perché costretta a colmare il deficit dovuto all’indebitamento dissennato cui varie presidenze hanno attinto a piene mani oggi come nel passato.

By Africa Express


Albert Omondi Ojwang, il giovane blogger-insegnante assassinato in detenzione
Albert Omondi Ojwang, il giovane blogger-insegnante assassinato in detenzione

23 giugno 2025
IL KENYA URLA GIUSTIZIA PER UN GIOVANE BLOGGER ASSASSINATO IN DETENZIONE

Forti critiche al padre del giovane ucciso per aver accettato un risarcimento dal presidente Ruto. L’autopsia esclude che si sia trattato di suicidio.

“Un padre non può accettare tanti soldi dallo stesso Stato kenyano che quasi certamente gli ha massacrato il figlio in carcere”.
Delusione, rabbia, indignazione. A meno di 3 settimane dalla morte sospetta di un noto blogger e insegnante, Albert Omondi Ojwang, 31 anni, padre di un bimbo di 2 mesi, non si placano in Kenya le proteste contro le forze dell’ordine e il governo.


L’ultimo a riassumere, l’altro giorno, lo stato d’animo della popolazione, soprattutto della generazione Z, è stato il popolare attore e attivista, Eric Omondi, 43 anni, in prima linea nelle manifestazioni di piazza per denunciare l’alto costo della vita e la disoccupazione giovanile.
Eric, che è stato arrestato diverse volte dalla polizia antisommossa, ha espresso pubblicamente il suo disappunto nei confronti di Meshack Ojwang Opyio, genitore del defunto blogger. Eric ha puntato il dito sul fatto che papà Meshack ha accettato dal presidente William Ruto una donazione di 2 milioni di scellini (quasi 14 mila euro), una cifra enorme per una famiglia povera.
“Avevo fatto tanto per raccogliere fondi a sostegno della vedova e del figlio di Albert dopo la sua tragica fine mentre era sotto custodia della polizia. Non c’era bisogno di accettare soldi proprio dal presidente della Repubblica. Prendere denaro dal capo di uno Stato che riteniamo responsabile della morte di Albert è un atto sleale nei confronti dei cittadini che hanno donato per milioni di scellini oltre che un impedimento all’accertamento della verità”.


Una richiesta di giustizia che è scattata subito, l’8 giugno scorso, non appena si è diffusa la notizia che Albert Omondi Ojwang era stato trovato senza vita in una cella della Polizia Centrale di Nairobi. E che oggi, 23 giugno, ha avuto una prima risposta: un ufficiale, tre poliziotti e altre persone sono state rinviate a giudizio per quell’omicidio dal procuratore generale dell’alta Corte di Kibera.
Albert, il 7 giugno, era stato prelevato dalla polizia mentre pranzava con la famiglia, condotto nella prigione di Homa Bay, cittadina del Kenya occidentale a 350 chilometri dalla capitale e poi trasportato a Nairobi.


L’accusa? Sarebbe ridicola se non avesse portato a conseguenze tragiche: aver pubblicato su X (ex Twitter) un post “diffamatorio” riguardante la corruzione nella Polizia e il viceispettore generale della polizia, Eliud Lagat, che aveva sporto denuncia.
La situazione precipita domenica mattina 8 giugno. Il giovane professore-blogger viene trovato esanime in cella. Secondo le dichiarazioni ufficiali della Polizia, “è morto suicida, con gravi ferite alla testa, presumibilmente autoinflitte, ed è stato trasportato d’urgenza in ospedale, dove è morto. Non è morto qui, in custodia. Trovato privo di sensi, è stato immediatamente trasportato all’ospedale di Mbagathi per le cure del caso, come documentato nel registro degli eventi numerato 9/08/06/2025 alle ore 1:39. All’arrivo, è stato dichiarato morto.


Un comunicato stampa reso pubblico l’8 giugno, (si può leggere nel sito ufficiale) conferma che l’arrestato si è ucciso picchiando la testa contro un muro della cella.
Ben diversa la versione fornita dall’avvocato della famiglia, Julius Juma. “Secondo le informazioni da noi raccolte non è morto, come dicono, nell’ospedale di Mbagathi (che sorge nel Kenyatta Golf Course, nella sotto-contea di Kibra, ndr), ma in custodia, poi portato direttamente all’obitorio.
Diversi altri aspetti restano poco chiari: le ragioni dell’arresto, le circostanze della detenzione, la causa della morte, la tenuta in isolamento quando avrebbe sbattuto la testa contro il muro. Il corpo di Albert – ha dichiarato ancora l’avvocato – presentava gravi ferite alla testa, bruciature alle mani e alle spalle. La testa era gonfia dappertutto, soprattutto nella parte frontale, nel naso e nell’orecchio. Tutte ferite che suggeriscono un possibile atto criminale. E’ necessaria un’indagine indipendente”.
I dubbi del legale sono stati condivisi anche dal quotidiano Daily Nation che il 9 giugno ha scritto: “Albert Ojwang non è morto per lesioni autoinflitte. E’ stato ucciso dallo Stato. È morto a causa di una cultura di polizia corrotta e brutale che considera le vite dei giovani kenioti come sacrificabili”.


Il giorno successivo, 10 giugno, ecco che arrivano i risultati dell’autopsia. L’anatomopatologo governativo Berrnard Midia, ha confermato che Ojwang è stato ucciso. “Ha subito un trauma cranico e compressione del collo e altre ferite su tutto il corpo compatibili con un’aggressione. Se la testa fosse stata sbattuta contro il muro, ci sarebbero segni distintivi, come un’emorragia frontale – ha spiegato Midia –, ma l’emorragia che abbiamo notato sul cuoio capelluto era più estesa, sia sul viso che sui lati e sulla nuca. Se si considera il resto delle ferite in tutto il corpo, è improbabile che si tratti di ferite autoinflitte”. I medici hanno rilevato anche segni di colluttazione.
Quanto all’indagine indipendente, è stata richiesta a gran voce da gruppi per i diritti umani e anche da due ex presidenti della Corte Suprema, Willy Mutunga e David Maraga.
Il presidente della Law Society of Kenya, Faith Odhiambo, ha dichiarato “Come i keniani rispettano lo Stato di diritto, anche la polizia dovrebbe seguire la legge per garantire l’uguaglianza”.


Amnesty International Kenya ha espresso una ferma condanna sull’accaduto : “ Nessun keniano dovrebbe perdere la vita mentre è sotto custodia della polizia. Le indagini devono essere rapide, i risultati devono essere resi pubblici e che gli ufficiali ritenuti responsabili devono essere chiamati a rispondere delle loro azioni. Gli agenti di polizia hanno il dovere legale e morale di garantire la sicurezza e il benessere di ogni persona sotto la loro custodia. Questo incidente è l’ennesimo duro monito dell’urgente necessità di trasparenza, responsabilità e riforme di vasta portata all’interno delle nostre istituzioni preposte all’applicazione della legge”.
Manifestazioni di massa si sono tenute a Nairobi, Mombasa, Kisumu e altre città con auto bruciate, barricate, cartelli e cori che dicevano: “Giustizia per Albert, smettetela di ucciderci”.


In Kenya, le uccisioni da parte della polizia sono una sanguinosa realtà. Nel 2023, la Commissione nazionale keniota per i diritti umani ha registrato 61 manifestanti uccisi e 73 rapiti. Esattamente un annofa, durante la rivolta della Generazione Z contro la legge finanziaria, almeno 65 persone sono state uccise, migliaia arrestate e decine sono scomparse senza lasciare traccia. Il documentario della BBC “Blood Parliament” ha documentato gli omicidi commessi durante le proteste antitasse del 2024 e come gli alti ufficiali di polizia ordinassero ai loro agenti di “kuua, kuua” (“uccidere, uccidere” in kiswahili), prima di sparare a proiettili veri contro manifestanti disarmati. I quattro registi kenioti del documentario vennero subito arrestati (e poi rilasciati).
Di fronte alle pressioni della società civile, il Potere ha cercato di correre ai ripari.
Il 10 giugno il ODPP (l’ufficio del Direttore della Pubblica accusa) ha incaricato l’Autorità indipendente di vigilanza sulla polizia (IPOA) di indagare sull’incidente,
Anche se lo scetticismo su un’inchiesta “approfondita, imparziale e rapida” era diffuso e palpabile, qualche risultato si è visto. E’ stato arrestato il tecnico, Kelvin Mutysiam Mutava, che aveva cancellato i filmati delle telecamere a circuito chiuso della stazione di polizia e gli hard disk mentre Eliud Lagat, il pezzo grosso da cui tutto ha avuto origine, è stato costretto a dimettersi (il 16 giugno dopo aver incontrato il presidente Ruto).
Oggi, davanti al procuratore generale, Renson Ingonga, sono comparsi il capo della Polizia di Nairobi, Samson Talaam, gli agenti John Mukhwana, Peter Kimani, e tre civili, John Gitau, Gin Abwao e Brian Njue. Tutti incriminati per l’omicidio. Come si legge anche nel comunicato ufficiale subito pubblicato online.
Nessun cenno invece al pesce grosso, Eliud Lagat. E questa scelta ha scatenato le proteste sui social: “Pagheranno i pesci piccoli. E chi ha dato gli ordini…?”


Il procuratore generale Ingonga, era già stato al centro delle polemiche. Appena il mese scorso sul sito Kurunzi news alcuni critici lo avevano accusato “di aver trasformato il suo ufficio in uno strumento politico dando priorità verso l’esecutivo rispetto alla giustizia” e di essere affetto da cecità selettiva.
La vedova di Albert, Nevin Onyango, ora anche giovane madre single (ha 27 anni), ma piena di coraggio, ha riassunto quelle che sono le angosce e le speranze dei cittadini.


Nevin, come ha raccontato il canale TV Tuko.ke, era stata presentata da Albert ai suoi genitori solo nell’aprile scorso, anche se la loro relazione risaliva a tempo prima, rafforzata dalla fede cristiana e…calcistica (per il Manchester United): “Mai avrei immaginato che avrebbero bussato alla mia porta per sentirmi dire quello che vedevo tante volte in TV. Vogliamo vivere in un Paese sicuro, la polizia deve smetterla di uccidere. So bene che nessuno mi ridarà mio marito, ma se venisse fatta giustizia mi sentirei in pace”.

By Africa Express

Dimostrazione a favore di Albert Omondi Ojwang
Dimostrazione a favore di Albert Omondi Ojwang

Le formiche sequestrate ai trafficanti
Le formiche sequestrate ai trafficanti

21 maggio 2025
MANETTE IN KENYA A CONTRABBANDIERI DI FORMICHE ARRESTATI CON 5.400 REGINE

Online si trova questo tipo di insetto in vendita con prezzi che arrivano anche ai 300 euro l’una.

Li hanno arrestati con oltre 5.000 formiche regine vive tenute all’interno di 2.400 siringhe, senza ago, utilizzate come provette. Si tratta di due diciannovenni belgi, Lornoy David e Seppe Lodewijckx, che erano in una guest house nella contea di Nakuru, dove tenevano il “bottino”.


Tra le regine prigioniere anche le Messor cephalotes, formica rossa originaria dell’Africa orientale e la più grande tra le cinque del genere Messor. Una formica rara quindi difficilmente acquistabile sul mercato e di alto valore economico.
Arrestati per contrabbando e commercio illegale di fauna selvatica e biopirateria i due giovani avevano detto alla Corte che le avevano acquistate per hobby.


Dopo un controllo sugli smartphone dei due ragazzi sono state trovate note che escludevano il loro interesse hobbistico. Anzi, il magistrato, Njeri Thuku, nei messaggi del telefono di David ha scoperto che era membro della “Ant Gang” (Banda delle formiche, ndr). Il giovane aveva scritto di aver acquistato 2.500 regine per 200 dollari.
I giovani si sono dichiarati colpevoli e la giudice li ha condannati al pagamento di un milione di scellini keniani (circa 6.900 euro), o a un anno di prigione.
Stessa sorte per altri due imputati con la stessa accusa: Duh Heng Nguyen, vietnamita e Dennis Nganga, keniota. Nguyen era stato mandato a Nairobi per incontrare Nganga. Sono stati arrestati con 400 formiche regine.
“Non sapevo che vendere le formiche fosse illegale perché questi insetti vengono acquistati e mangiati” – ha raccontato Nganga alla Corte -. La giudice li ha condannati alla stessa pena dei due giovani belgi.


Secondo le autorità le formiche erano destinate ai mercati americani, europei e asiatici nel traffico emergente di specie selvatiche meno conosciute.
La vendita online delle 5.400 formiche regina, secondo quanto dichiarato dal magistrato, in Europa, Asia e in Nord America avrebbero fruttato ai contrabbandieri oltre 800 mila euro.
Il contrabbando delle formiche regina è particolarmente fiorente. Sono le uniche in grado di deporre uova e creare quindi i formicai con formiche operaie, soldato e future regine. Online si trovano in vendita con prezzi che arrivano anche ai 300 euro l’una.
“Il Kenya non tollererà il saccheggio della sua biodiversità – ha dichiarato Erustus Kanga, direttore generale del Kenya Wildlife Service (KWS) -. Che si tratti di una formica o di un elefante, perseguiremo i trafficanti senza sosta”.

By Africa Express


Charles Kahariri e Luca Goretti a Nairobi, Kenya
Charles Kahariri e Luca Goretti a Nairobi, Kenya

31 marzo 2025
AL MERCATO DELLE ARMI: ITALIA E KENYA RAFFORZANO COLLABORAZIONE MILIONARIA IN AMBITO MILITARE

Il cosiddetto “Piano Mattei” promosso dal governo Meloni per promuovere la cooperazione italiana in Africa? Ad oggi solo, o quasi, si è trattato di implementare attività di collaborazione militare-industriale con alcuni Paesi partner del continente.

L’ultimo atto del rafforzamento della presenza delle forze armate e delle industrie belliche italiane in territorio africano risale al 13 marzo scorso. A Nairobi, presso il quartier generale delle forze armate keniane, il Capo di Stato Maggiore della difesa, generale Charles Kahariri, ha ospitato una delegazione dell’Aeronautica Militare italiana guidata dal comandante in capo, il generale Luca Goretti.


All’incontro erano presenti pure il direttore generale delle Industrie della difesa del Kenya, generale Bernard Waliaula, e l’ambasciatore italiano a Nairobi, Roberto Natali.
“Nel corso dell’incontro, le due delegazioni hanno espresso l’intenzione di rafforzare le relazioni militari tra Kenya e Italia attraverso la cooperazione nel settore dell’addestramento, dell’acquisizione di nuovi equipaggiamenti e dello sviluppo di iniziative strategiche presso il Centro Spaziale Luigi Broglio di Malindi”, riporta il sito specializzato Military Africa.
Il capo di Stato maggiore della difesa keniano ha inoltre invitato l’Aeronautica italiana ad accrescere la collaborazione nel campo delle tecnologie spaziali, della raccolta di immagini geo-satellitari, dell’intervento e gestione in caso di disastri, della produzione di droni e dell’Intelligenza Artificiale legata alle attività militari.


“Il generale Charles Kahariri Additionally ha pure enfatizzato la necessità di finalizzare l’Accordo di Cooperazione della Difesa con il governo italiano per rafforzare la partnership tecnologica e migliorare la capacità locale nella manutenzione degli assetti militari”, conclude Military Africa.
Il Centro Spaziale “Luigi Broglio”, di cui si è parlato al vertice di Nairobi, è una base operativa dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) per le attività di lancio e di controllo dei satelliti da terra. Il centro dell’ASI è dotato di sofisticate apparecchiature per la ricezione dei dati satellitari e di tracciamento dei vettori o altri oggetti spaziali.


Il Centro si estende su un’area di circa 3,5 ettari sulla costa dell’Oceano Indiano a circa 32 km dalla città di Malindi ed è stato inaugurato nel 1966.Inizialmente la sua gestione fu affidata all’Università di Roma “La Sapienza” attraverso il Centro Ricerche Progetto San Marco.
Tra il 1967 e il 1988 lo Space Center è stato utilizzato per il lancio in orbita di nove satelliti: quattro del programma italiano “San Marco”, quattro statunitensi e uno del Regno Unito.
Attualmente il Centro ASI collabora con altre agenzie spaziali internazionali: quelle di Kenya ed Egitto; la NASA (USA); l’ESA (Unione europea); il CNES (Francia);CONAE (Argentina).


Tra gli accordi di collaborazione sottoscritti ne esiste pure uno con l’operatore commerciale-militare SpaceX del plurimiliardario Elon Musk (oggi alla guida del Dipartimento per l’Efficienza Governativa degli Stati Uniti d’America con l’amministrazione Trump). In passato il Centro di Malindi ha fornito un supporto chiave ai lanci delle navicelle spaziali “Shenzhou”, nell’ambito del programma di realizzazione della stazione spaziale cinese.
Nel Centro sono presenti tre Stazioni di Terracon relativi sistemi d’antenna. La prima, in Banda S, è adibita ai programmi dell’ASI. Quella in Banda S/X/L è adibita al controllo dei veicoli di lancio Arianespace e Titan e al supporto alle prime fasi di volo di satelliti commerciali LEOP.


La terza stazione in Banda X è adibita alla ricezione di dati di telerilevamento dei satelliti ERS2 (European Remote-Sensing Satellite), SPOT (Satellite Pour l’Observation de la Terre) e Landsat.Il Centro di Malindi è collegato con l’Italia mediante satelliti Intelsat nell’ambito della rete ASI-net.
Le funzioni duali, civili-militari, del Centro Spaziale italiano in Kenya sono ampiamente documentate: l’Aeronautica Militare ha collaborato alle sue attività fin dalla sua realizzazione. Il 16 dicembre 2008 ASI ed Aeronautica hanno pure firmato un accordo esecutivo di cooperazione nell’ambito delle attività di conduzione e gestione del progetto satellitare “San Marco”.
Sotto il punto di vista operativo, a partire del 2009, il Comando delle forze aeree nazionali ha inviato a Malindi personale qualificato (ingegneri ed esperti informatici) per fornire all’ASI supporto e assistenza al funzionamento delle stazioni e al controllo delle attività di tracciamento satellitare.
Interesse in ambito militare per il Centro ASI è stato espresso dalle stesse forze armate del Kenya. In occasione della sua visita ufficiale nello Stato africano (13-16 marzo 2023), il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in compagnia del Presidente ASI Giorgio Saccoccia ha incontrato allo Space Center “Luigi Broglio” il ministro della Difesa keniano Aden Bare Duale e il direttore dell’Agenzia Spaziale nazionale James Aruasa.


Sei mesi più tardi il ministro Duasa è stato ospite a Roma del ministro della Difesa Luigi Crosetto, di quello delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso e dei vertici dell’Agenzia Spaziale italiana. “Il già solido legame tra le agenzie spaziali dei nostri due Paesi verrà ulteriormente rafforzato dopo l’accordo intergovernativo entrato in vigore il 16 dicembre 2020 e che ha una durata di 15 anni con possibilità di rinnovo”, ha dichiarato Urso.
“La sicurezza del Sahel e del Corno d’Africa è strategica e le dinamiche regionali si riflettono sul Mediterraneo e sull’Europa: Italia e Kenya devono crescere insieme e cooperare nel settore della Difesa a beneficio della stabilità”, ha invece dichiarato Crosetto a conclusione del vertice con il ministro Aden Bare Duale.
Con il fine di rafforzare la cooperazione militare tra Unione europea e Kenya, nel maggio 2024 la Marina Militare di Nairobi ha organizzato una grande esercitazione navale nelle acque di Mombasa (Usalama Baharini 24) a cui ha partecipato la fregata missilistica “Federico Martinengo” della Marina italiana.


“Le attività e le esercitazioni svolte hanno contribuito nell’azione di supporto a favore delle autorità del Kenya per un efficace contrasto alla pirateria e a tutte le attività illecite che vengono perpetrate in mare, come ad esempio il traffico di armi e di sostanze stupefacenti”, riporta la nota dello Stato Maggiore della Marina.
L’esercitazione ha previsto anche una dimostrazione pratica tra il team specialistico della Brigata Marina “San Marco”, la Marina Militare e la Guardia Costiera keniana. “L’evento ha mostrato la simulazione di un boarding su una imbarcazione con a bordo dei sospetti pirati, che una volta arrestati, sono stati consegnati prima alla Guardia Costiera e successivamente alle forze di polizia locali”.

By Africa Express

La delegazione italiana, capeggiata da Luca Goretti, in visita al Centro spaziale Luigi Broglio, ASI, Malinidi, Kenya
La delegazione italiana, capeggiata da Luca Goretti, in visita al Centro spaziale Luigi Broglio, ASI, Malinidi, Kenya

La piccola cappella di Vasco de Gama che sta per essere sommersa da una palazzina di cemento
La piccola cappella di Vasco de Gama che sta per essere sommersa da una palazzina di cemento

6 febbraio 2025
SALVIAMO LA CAPPELLA DI MALINDI! FIRMA LA PETIZIONE DI AFRICA EXPRESS

E' stata costruita nel 1502 da Vasco de Gama. Rischia di essere ingoiata da un palazzone di cemento. Raccogliamo le firme per evitare la sua scomparsa.

Un’importante testimonianza di enorme valore storico a Malindi rischia di scomparire, ingoiata dal cemento. E Africa Ex-Press lancia una petizione per salvarla.
Chi pensa che Malindi sia solo sole, mare, cielo azzurro si sbaglia. Nella città costiera keniota ci sono anche dei gioiellini storici che val la pena di visitare, giusto per far qualcosa di culturale e non solo di ludico.
Per esempio, è interessante una visita alla piccola cappella portoghese costruita intorno al 1502 dai membri dell’equipaggio portoghese che accompagnò Vasco de Gama nel suo secondo viaggio verso le Indie.


Certo, non crediate di trovare affreschi o immagini come nelle chiese europee o etiopiche. Il valore di quella cappella è prevalentemente storico. E’ il primo edificio cristiano costruito in Africa orientale dove già per altro esistevano moschee, giacché quella costa del continente faceva parte del sultanato di Zanzibar, a sua volta tributario del sultano dell’Oman.


Il piccolo gioiellino storico è stato preservato nei secoli e in questi anni sottratto agli appetiti di chi voleva abbatterlo per costruire un edificio residenziale. Ora però, come si vede dalle immagini, rischia di venire ingoiato dal cemento di una palazzina che un’azienda cinese gli sta costruendo accanto. La sua destinazione è una sorta di mercato del pesce o un laboratorio per la lavorazione del pescato.
Al di là della legittima domanda “Chi gli ha dato i permessi necessari?” (la cui risposta è scontata in un Paese ad alto tasso di corruzione, ndr) la parte più sensibile della popolazione di Malindi, è insorta, si è rivolta ai giudici che hanno bloccato i lavori.
Ma i pescatori di Malindi, aizzati dai cinesi (probabilmente anche con cospicui versamenti di denaro), hanno risposto raccogliendo firme per invitare i magistrati a ribaltare la loro decisione.
Tra gli indignati contro questo mostro Franco De Paoli, chargé d’affaire dell’Ordine di Malta in Kenya, che ha mobilitato l’ambasciatore del Portogallo, il vescovo di Malindi, Willybar Lagho, la direttrice del museo di Malindi, Doris Kamuye, il nunzio apostolico in Kenya, vanMegen, il rappresentante dell’UNESCO e altre personalità politiche e del mondo diplomatico del Kenya. Tutti a difesa della piccola perla di Malindi.

By Africa Express

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Cappella portoghese di Malindi
Cappella portoghese di Malindi costruita nel 1502 da Vasco de Gama
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